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“Fascist Legacy”: l’Eredità fascista

“Fascist Legacy”: l’Eredità fascista

appunti

“Fascist Legacy” / “L’eredità fascista” / è un documentario della BBC realizzato dal regista Ken Kirby con la consulenza dello storico italo-americano Michael Palumbo. L’anno di produzione è il 1989.

Fascist Legacy fu acquistato da La7 nel 2003, fu proposto una sera al pubblico italiano nel 2004 e poi scomparve per non essere più visto. In realtà fu acquistato da Rai Uno e poi non venne più trasmesso. Il motivo?

Il documentario mostra senza remore i crimini del colonialismo fascista in Libia, Etiopia e Jugoslavia mostrando immagini, in gran parte inedite, di atrocità di ogni tipo.

Già nel 1989 erano nate forti polemiche quando la BBC mandò in onda il filmato sui teleschermi inglesi: il primo a protestare fu Boris Biancheri, nostro ambasciatore a Londra; in Italia invece le parole più dure furono quelle di Mario Cervi sul “Giornale”.

Evidentemente il documentario scardinava uno dei miti fondanti il nostro paese: che gli italiani abbiano fatto guerre, conquistato e amministrato territori senza mai scadere nelle forme umilianti e violente tipiche di tanto colonialismo europeo (“Italiani brava gente”). Io ritengo invece che “F. Legacy” sia un documentario rigoroso sul piano storico.

La seconda parte del documentario si sofferma sull’ipocrisia dimostrata tanto dagli Stati Uniti quanto soprattutto dai britannici in questa fase. Etiopia, Jugoslavia e Grecia richiesero l’estradizione di 1300 criminali di guerra italiani – i più attivamente ricercati furono Pietro Badoglio, Mario Roatta, Pirzio Biroli e Rodolfo Graziani – che non furono mai consegnati alla Giustizia dei singoli paesi né pertanto processati. Vedremo dopo attraverso quali alchimie politiche fu possibile l’impunità per i nostri criminali di guerra.

Come commento alle immagini del documentario, due brevi citazioni. Una è di Moni Ovadia, personaggio che non ha bisogno di presentazioni:“Il fascismo italiano fu una brutale dittatura, liberticida e guerrafondaia, fu un regime colonialista violento che si macchiò di crimini di guerra contro popolazioni inermi. Dimentichiamo troppo spesso che dietro la retorica cortina del topos “italiani brava gente”, i fascisti italiani si macchiarono di atrocità inenarrabili. Come possiamo dimenticare le stragi nelle ex colonie d’Africa, il genocidio dei Libici – si calcola ne siano stati uccisi uno su otto – le pulizie etniche nei territori della ex Jugoslavia, i Campi di concentramento – valga il Campo di Arbe per tutti – dove venne causata la morte per stenti e torture di migliaia di prigionieri? Le documentazioni dei crimini commessi dal fascismo italiano sono innumerevoli, raccolte meticolosamente per dovere di giustizia e di memoria, dagli Istituti per la Resistenza dei vari paesi che subirono le violenze, dagli storici, dalle Università, dai Tribunali”.

Seconda citazione. Recentemente alcuni studiosi del calibro di Marcello Flores, Giovanni Gozzini, Brunello Mantelli e Mariuccia Salvati hanno proposto al museo dello Yad Vashem di modificare un passo dedicato all’Italia.

Il passo attualmente nel museo di Gerusalemme suona così: “In Italia furono emanate le leggi razziali, ma secondo la tradizionale tolleranza italiana furono applicate in modo parziale”.

Gli storici citati poco fa chiedono che lo Yad Vashem faccia proprio questo testo:“In Libia nel 1930-33, in Etiopia nel 1935-41, nelle regioni balcaniche occupate durante la seconda guerra mondiale nel 1940-43, le forze militari italiane agli ordini del governo fascista si resero colpevoli di misure di deportazione, concentramento, persecuzione ai danni delle popolazioni civili. Il 40 per cento degli ebrei deportati verso i lager nazisti venne arrestato soltanto da militi della Repubblica fascista di Salò senza neppure la collaborazione dei tedeschi.

E’ necessario che questi dati di fatto, ormai largamente documentati, entrino a far parte della memoria pubblica nazionale e internazionale riequilibrando vecchi e superficiali luoghi comuni sulla “tradizionale tolleranza” e sugli “italiani brava gente”.

La seconda parte del documentario di Ken Kirby racconta l’affossamento dei procedimenti giudiziari che avrebbero riguardato circa 1300 criminali di guerra italiani.

Non si fece nulla e si creò una sorta di circuito perverso che lega fatti apparentemente lontano come Marzabotto, Basovizza e il lager italiano di Arbe: se l’Italia avesse reclamato i criminali di guerra nazisti, gli stati invasi dall’Italia avrebbero reclamato i nostri criminali, in particolare le autorità jugoslave chiedevano a gran voce i nostri militari protagonisti di crimini in Slovenia e Montenegro. Le autorità greche i criminali italiani in questo territorio. Nello stesso tempo le autorità italiane reclamavano i criminali che avevano infoibato gli italiani in Istria e a Trieste.

Nel clima della Guerra Fredda non si fece nulla, complice la volontà americana e inglese di insabbiare i processi contro gli italiani: la nuova Germania doveva divenire un baluardo di contenimento dell’Unione Sovietica (nessuna estradizione verso l’Italia), la Jugoslavia di Tito doveva essere valorizzata in funzione antisovietica (dal ’48 in avanti), l’Italia doveva rinforzare le proprie strutture statali nel quadro della Nato senza l’incubo di processi che avrebbero scardinato lo stato e reso vacillanti i governi italiani.

Di più, Churchill non si fidava dei comunisti al potere in Italia nel ’45-46. Temeva che i processi a carico dei vari Roatta, Graziani e Badoglio fossero un regalo ai comunisti italiani dietro ai quali intravedeva l’ombra di Stalin.

“Il leone del deserto”

Prima di alcune considerazioni che vorrei fare segnalo un film sul colonialismo italiano che pochi hanno visto. Il titolo è “Il leone del deserto” del regista siriano Mustapha Akkad con attori del calibro di Antony Quinn, Irene Pàpas, Oliver Reed nei panni di Mussolini, Rod Steiger (nei panni del generale Graziani), Raf Vallone e Gastone Moschin.

E’ un film che in alcuni momenti ha il sapore di un colossal come “Lowrence d’Arabia” con ben 8.000 attori. L’anno di produzione è il 1979. Naturalmente negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia il film è stato visto e molto apprezzato.

In Italia per molti anni il film non ha avuto la certificazione necessaria per circolare nelle sale. Dopo la visita di Gheddafi a Berlusconi nel 2010 il film fu proposta da Rete 4. Il principale finanziatore del film fu il leader libico Gheddafi che ne fece una sorta di bandiera nazionale.

Il film racconta l’epopea di Omar el-Muktar, maestro nelle scuole coraniche e poi a capo per dieci anni della rivolta della Cirenaica contro la brutale occupazione italiana di Badoglio e Graziani.

Colonialismo “liberale”

Torniamo a “Fascist Legacy”. E’ vero che il documentario denuncia con vigore i crimini del colonialismo fascista con immagini e considerazioni inoppugnabili. Ma non bisogna dimenticare che l’imperialismo italiano non nasce con il fascismo ma all’interno dell’Italia liberale di fine secolo.

La data è il 1885 quando l’Italia con i buoni uffici del governo britannico mette piede a Massaua in Eritrea. Le ambizioni sono molte e con le ambizioni il disprezzo razzista nei confronti delle popolazioni locali che non ha nulla da invidiare a quello dell’età fascista.

Il generale Baldissera, comandante delle truppe in Eritrea, scrive nel 1888: “L’Abissinia ha da essere nostra, perché tale è la sorte delle razze inferiori; i neri a poco a poco scompaiono, e noi dobbiamo portare in Africa la civiltà non per gli abissini ma per noi”. Crispi che era con Garibaldi ai tempi dei Mille dichiara nel 1885 alla Camera: “Qual è il nostro scopo? Uno solo: affermare il nome dell’Italia nelle regioni africane e dimostrare anche ai barbari che siamo forti e potenti! I barbari non sentono se non la forza del cannone; ebbene questo cannone al momento giusto tuonerà”.

Da Dogali ad Adua

Poi verrano i tempi amari di Dogali nel 1885 quando le truppe eritree massacrarono 500 soldati italiani. Fu necessario trattare direttamente con il negus di Etiopa Menelik per riconoscere il protettorato italiano sull’Eritrea nel 1890.

Il tentativo successivo di conquista dell’Etiopia a fine secolo fu un totale fallimento che rivelava la natura di quell’ ”imperialismo straccione” successivamente biasimato da Lenin.

Nel 1895 le truppe italiane furono massacrate sull’Amba Alagi e nel 1896 ci fu la sconfitta di Adua con l’uccisione di 5.000 soldati italiani più 2.000 prigionieri.

Ma l’ ”imperialismo straccione” dell’italietta liberale non è solo sinonimo solo di sconfitte brucianti. È anche sinonimo di una dura politica coloniale per nulla diversa rispetto agli anni del fascismo.

“Italiani brava gente?”

Angelo Del Boca in “Italiani brava gente?” ricorda la prigione di Nocra in Eritrea in cui marcirono un migliaio di detenuti dalla fine dell’800 e nei primi anni del ‘900, più tardi il lager accolse gli oppositori dell’Etiopia fascista.

In Eritrea gli italiani non fecero nulla neppure per combattere la piaga dello schiavismo sfruttando la manodopera locale con modalità che ancora oggi fanno orrore.

L’Italia in Cina

L’Italia liberale partecipa alla spedizione in Cina contro i Boxer nell’anno 1900. La rivolta che dilagava in tutta la Cina era una conseguenza della politica di apertura verso gli interessi capitalistici delle maggiori potenze che stavano mettendo in ginocchio la Cina tradizionalista fatta di piccoli agricoltori e modesti artigiani.

Il contingente italiano contava circa 2.000 soldati compresi gli ufficiali. Siamo nell’anno 1900.

Dopo la conquista tutti i militari si abbandonarono alla razzia e dopo la razzia pretesero dalla Cina un forte pagamento in denaro. L’Italia ottenne la città di Tianjin con 17.000 abitanti.

La conquista della Libia

Il promotore è forse uno dei più capaci e lungimiranti politici che l’Italia ha avuto: Giovanni Giolitti, il quale scrisse che “politica democratica non vuol dire politica fiacca”.

Anche questa fu una guerra brutale in cui le rappresaglie costarono la vita a migliaia di arabi. Per esempio dopo l’ ”incidente” di Sciara Sciat che costò la vita a 500 soldati italiani, scattarono feroci rappresaglie con alcune migliaia di arabi uccisi perché accusati di “tradimento”. In un giorno nella Piazza del Pane a Tripoli furono impiccati contemporaneamente 14 arabi rivoltosi.

Sempre nel 1911 furono inviati presso le isole Tremiti 4000 arabi, tanti altri a Ustica, Ponza, Caserta, Favignana e Gaeta con 600-700 morti complessivi.

Scrisse a Favignana il poeta di Misurata, Fadil Ash Shalmani, condannato a 25 anni di reclusione:

“Siamo in piccole celle, pressati

Senza la luce del sole

Chiuse le porte di ferro serrate.

E ovunque io guardi, non vedo che italiani”

Poi la Libia, tranne la costa, fu persa durante gli anni della Prima guerra mondiale. Ma prima ancora della decisione di Mussolini di riconquistare la Libia a partire dal 1923, era già all’opera il generale Graziani.

Le responsabilità del fascismo sono evidenti e il documentario lo dimostra. Ma l’Italia liberale, tra la fine dell’800 e la Marcia su Roma, non può essere assolta e giustificata:

–         Le linee di sviluppo del colonialismo italiano fascista sono le stesse dell’Italia liberale: Libia, Eritrea, Somalia e Etiopia.

–         I metodi di conquista sono molto simili contando sulla debolezza dell’opposizione parlamentare nel periodo liberale

–         Il grande massacro della Grande Guerra trova il suo corrispettivo solo nell’enorme numero di civili e soldati morti durante il secondo conflitto mondiale

–         Razzismo e violenza sono strumenti utilizzati dalla due Italie

–         Tra l’Italia liberale e quella fascista sono operanti gli stessi miti: l’italiano bravo colonizzatore; il mito di Roma; l’Italia che diffonde la civiltà e il diritto

L’Italia liberale e l’Italia fascista non possono andare confusi, ma la nostra storia coloniale sembra attenuare le differenze.

Strani parallelismi

La continuità storica del colonialismo italiano unisce anche l’Italia liberale con l’Italia repubblicana. Per esempio Enrico De Nicola, futuro presidente provvisorio della Repubblica, fu sottosegretario nel primo Ministero delle colonie istituito da Giolitti nel 1912.

Nel 1919 nel governo Nitti è sottosegretario alle Colonie Bartolomeo (Meuccio) Ruini, al quale si deve la bozza della Costituzione vigente.

Nel governo Facta (1922), Ministro delle Colonie fu Giovanni Amendola (a cui dobbiamo un tentativo riuscito di riconquista violenta della Libia), poi vittima dello squadrismo fascista.

Giancarlo Restelli

 

 

 

2 commenti

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