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Italia e Libia, dalla pace di Losanna (1912) alla cacciata degli italiani

Italia e Libia,

dalla pace di Losanna (1912) alla cacciata degli italiani decisa da Gheddafi

Appunti

Inizia la “grande rivolta araba”

Con la pace di Losanna (1912) in Italia si pensa che il peggio è passato, ma è ancora un’illusione. Di lì a poco gli italiani rischieranno di essere buttati a mare!

Ora la guerra non è più italo-turca ma contro la Senussia. Con la pace l’esercito italiano occupa la Tripolitania.

Si tratta di una occupazione precaria perché l’esercito italiano non controlla né il Fezzan e neppure la Cirenaica.

Si decide l’occupazione del Fezzan, grande come l’Italia (metà del ’13). L’incarico è affidato al tenente colonnello Antonio Miani, con 1.100 uomini di cui 108 coloniali, contro 4.000 combattenti arabi armati dalla Senussia (secondo Cadorna fu l’“impresa coloniale più temeraria e intempestiva di tutta la storia coloniale”).

Terminò con una fuga precipitosa verso la costa (fine del ’14) a causa della rivolta araba estesa a gran parte del territorio. Ferdinando Martini, ministro delle Colonie confida: “Peggio di Adua”. Il bilancio è molto grave: 3500 morti e 1500 prigionieri. Gli arabi riconquistano il Fezzan, parte della Cirenaica e il Gebel.

La fuga precipitosa degli italiani verso la costa permette agli arabi di mettere le mani su cospicue dotazioni dell’esercito italiano che alimenteranno la rivolta per tutti gli anni Venti.

Gli arabi insorgono perché tra il ’13 e il ’14 le condizioni di vita in Libia precipitano: in Cirenaica periscono due terzi della popolazione che passa da 300.000 a 120.000 individui. Le cause sono la guerra, le malattie, la denutrizione, i cattivi raccolti, le locuste… Soffrono anche i soldati italiani. Non cessano le fucilazioni sommarie. A chiamare le popolazioni alla “guerra santa” è stato il Gran Senusso.

Altre cause della ribellione sono il disprezzo italiano per la cultura araba, l’incapacità di trarre a sé i notabili oppure favorire la nascita di una classe dirigente locale; non viene concessa nessuna autonomia amministrativa; le donne non sono rispettate; primi espropri di terre aggravano la situazione; i maneggi tedeschi e turchi, ora nemici dell’Italia, rendono fragile la presenza italiana.

Non si ritira solo Miani: tutti i presidi dell’interno sono abbandonati precipitosamente. Forse 10.000 morti italiani. Durante la ritirata sono innumerevoli gli episodi di brutalità dei soldati ai danni dei civili (massacro nel suk di Tripoli).

Con la rivolta araba gli italiani sono trincerati a Tripoli, Homs e Zuara e nelle città cirenaiche. Si ritorna ai confini del ’13.

La partecipazione dell’Italia alla Grande Guerra aggrava la situazione in Libia. Dopo Caporetto Cadorna addirittura vorrebbe il ritiro di tutto il contingente dalla Libia!

I Patti di Acroma del ’17 riservano al capo senusso Mohammad Idris il titolo di emiro e la gestione della Cirenaica interna. In cambio Idris riconosce l’autorità italiana lungo la costa. In realtà negli accordi c’è un’ambiguità paradossale perché l’Italia non rinuncia alla sovranità mentre la Senussia non rinuncia ai suoi diritti su tutto il territorio.

Alla vigilia della Marcia su Roma

Finita la guerra il governo italiano riconosce nel ’19 Statuti particolari per Cireniaca e Tripolitania, con l’istituzione di parlamenti locali. È istituita una “cittadinanza italiana della Tripolitania” distinta da quella metropolitana. Italiani e libici non sono sono un piano di parità, in ogni caso sono le concessioni più liberali estese ai libici. Nonostante la loro pochezza gli Statuti non diverranno mai operativi.

Il finanziere Giuseppe Volpi (aveva concordato le condizioni di pace a Losanna) diventa governatore della Tripolitania nel 1921 nominato da Bonomi. Volpi decide con Amendola (ministro delle Colonie) la riconquista della Tripolitania, che verrà poi completata dal fascismo. Il primo atto è la conquista di Misurata (avviene con il governo Bonomi, gennaio ‘22).

Alla base del successo è il mutamento profondo della strategia militare fin lì seguita: ora bisogna attraversare il deserto con colonne motorizzate, puntare soprattutto sulle truppe coloniali, valorizzare radio, aviazione; l’obiettivo è distruggere l’avversario con azioni rapide e fulminee di pochi uomini e non  occupare inutilmente il territorio. Fece le sue prime esperienze Rodolfo Graziani, che diventa subito un mito.

La riconquista della Tripolitania inizia mesi prima della Marcia su Roma, nel ’25 è completata. La classe dirigente tribale non esiste più.

Invece in Cirenaica lo Stato italiano punta a cercare accordi con un nemico sicuramente più difficile rispetto ai deboli e divisi capi tripolini. Nel ’20 è firmato il patto di er-Regima che prevede la costa agli italiani e l’interno alla Senussia. Negli accordi è prevista la nascita di un parlamento cirenaico che si riunirà fino al ’23, in realtà dotato di pochi poteri.

Una guerra sempre più moderna

Che cosa permise alla conquista italiana di essere vincente mentre in precedenza l’esercito guadagnò solo brutte figure?

Cambiò la strategia (ricerca di molti scontri sanguinosi con i ribelli piuttosto che la ricerca di grandi battaglie), ma soprattutto cambiò radicalmente la tecnologia militare applicata alla conquista:

–         si utilizzarono colonne di automezzi per il trasporto a grandi distanze di uomini e mezzi

–         si valorizzarono le unità di autoblindo e autocarri armati, frutto delle esperienze nella Grande Guerra

–         stazioni radio trasportabili, mitragliatrici e l’aviazione fecero la differenza rispetto alle formazioni arabe tripolitane che combattevano come dieci anni prima

–         fu determinante soprattutto l’aviazione perché permise di individuare e inseguire i “ribelli” segnalando la loro posizione

–         si usò il gas

–         aumentò drasticamente il numero di truppe coloniali (ascari) a cui affidare le missioni più rischiose permettendo così di contenere il numero di vittime italiane

Il fascismo “normalizza” la Libia: la “terza guerra italo-libica”

Le cose cambiano in Cirenaica quando il fascista Federzoni diventa governatore subito dopo la Marcia su Roma. Le operazioni militari in Cirenaica iniziano dal ’23.

Muhammad Idris, che aveva ottenuto dall’Italia il titolo di emiro, si trasferisce al Cairo nel 1922 per evitare la repressione italiana. Rimane a combattere un sessantenne irriducibile: Omar al-Mukhtar.

Davvero straordinaria la figura di questo condottiero, ben rievocata nel film “Il leone del deserto” di Moustapha Akkad (1981). Grazie a una forza di 1000-2000 uomini, ben sostenuti dalla popolazione cirenaica, Mukhtar tenne in scacco le agguerrite formazioni italiane (fino a 20mila uomini) rinforzate sempre di più da truppe di colore provenienti da Eritrea e Somalia (gli ascari).

Il fatto è che in Cirenaica la popolazione era unita intorno alla Senussia mentre una delle ragioni della sconfitta degli arabi tripolini fu l’invincibile tendenza alla discordia e alla separazione tra le tribù. Per sconfiggere Muktar era quindi necessario rompere il legame della popolazione con il capo dei ribelli utilizzando misure draconiane.

Badoglio (governatore di Tripolitania e Cirenaica, dal dicembre ‘28) decise di emulare Volpi contando sulle capacità e l’esperienza di Rodolfo Graziani, il cui nome incuteva rispetto tra i combattenti arabi.

La strategia di Graziani pone come obiettivo la distruzione dell’avversario piuttosto che la mera occupazione del territorio. Altra novità Graziani punta su una strategia capace di valorizzare tutti i mezzi moderni.

Basta quindi con lunghe marce a piedi di migliaia di soldati sotto il sole oppure di notte perdendo spesso la direzione. Radio, aerei da ricognizione e da bombardamento, autocarri armati, autoblindomitragliatrici faranno la differenza rispetto alla guerriglia araba.

Rispetto a Caneva Graziani valorizza meglio le truppe coloniali (rapide perché utilizzano cammelli) lanciandole all’inseguimento dei “ribelli” mentre al nostro esercito è riservato il compito di sbaragliare e annientare gli arabi con manovre rapide tali da sorprendere e demoralizzare il nemico.

Badoglio e Graziani: “macellai degli arabi”

La svolta in Cirenaica avviene nel giugno 1930 quando Badoglio scrive a Graziani: “Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale, largo e ben preciso, tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica”.

Non ci furono problemi per ottenere l’avallo di Mussolini e di De Bono (uno dei Quadrumviri della Marcia su Roma), allora Ministro delle Colonie.

La popolazione della Cirenaica era di 200.000 persone che allevavano un milione di ovini e migliaia di cammelli, cavalli e bovini.

La riconquista durò due anni e avvenne con deportazione di 100.000 abitanti del Gebel cirenaico (è la metà della popolazione totale) verso i lager della costa (in totale 15 campi tra cui i peggiori: Marsa Brega, Soluch ed El Ageila nella Sirte), terribili campi di concentramento dove i cirenaici morivano di fame e malattie non potendo contare sul bestiame che in gran parte era stato abbattuto.

Il percorso a piedi variava dai duecento chilometri fino a più di mille. Animali e persone non più in grado di proseguire erano uccisi. Chi veniva trovato sugli altipiani era passato subito per le armi.

Non sappiamo il numero esatto degli internati, dei morti nei lager e dei morti durante i trasferimenti coatti. Ma quando i campi vennero chiusi nel ’33-34 la popolazione cirenaica era di 140.000 individui rispetto alle 200.000 unità di pochi anni prima. Dei 60.000 mancanti, 20.000 erano riusciti a raggiungere la frontiera con l’Egitto, 40.000 erano morti durante la deportazione o all’interno dei lager.

La parola genocidio non è esagerata. Il bestiame era quasi interamente scomparso. Per vivere ora dovevano sottomettersi ai conquistatori italiani.

Ma non ci furono solo le deportazioni, i lager e le “marce della morte”. Per strangolare il “governo della notte” di Muktar, Badoglio non esitò anche a stendere un lunghissimo cordone di filo spinato di 270 chilometri lungo la frontiera egiziana. I pozzi vennero cementificati.

Poi ci fu la conquista dell’oasi di Cufra nel gennaio ’31, l’ultima roccaforte dei “ribelli” nell’estremo Sud della Libia e l’inevitabile cattura e impiccagione di Muktar nel settembre ’31. In questo momento Muktar ha 73 anni e da dieci anni guida la resistenza all’Italia.

L’Italia ricorse anche ai gas, seppure in modo non sistematico come poi in Etiopia. In almeno due occasioni (1928 e 1930) Badoglio e Graziani fecero uso dei gas nonostante l’Italia avesse aderito nel 1925, con altri 25 Stati, a un trattato che proibiva l’uso di agenti chimici.

“Macellaio degli arabi” verrà definito Graziani dai rivoltosi e non  avevano torto!

La guerra aveva quindi fine: era durata 15 anni in Tripolitania e 20 in Cirenaica e nel Fezzan. Era costata 100.000 morti libici tra combattenti e civili, ossia un ottavo della popolazione del 1911 (valutazioni di Del Boca).

La colonizzazione

Con Volpi inizia la colonizzazione della Tripolitania (1921). All’opinione pubblica italiana e internazionale si disse che le terre incolte sarebbero diventate demaniali e concesse ai coloni italiani. In realtà invece Volpi non considerò la i diritti tradizionali del pascolo dei contadini libici chiedendo a loro inesistenti certificati di proprietà. Ovunque le terre vennero definite incolte nell’impossibilità di produrre attestati di proprietà.

Bisogna tener presente che le terre disponibili erano poche, quasi tutte nelle oasi, stante la grave penuria di acqua in quasi tutto il territorio libico. Quindi i contadini libici vennero spinti verso le terre povere degli altipiani con notevole peggioramento delle condizioni di vita oppure si guadagnarono da vivere mettendo a disposizione degli italiani le loro braccia in cambio di salari risibili. A partire dal ’23 sono confiscate le terre dei ribelli o presunti tali.

Tutto questo sconvolse alla radice i delicati rapporti tra le tribù basati sul nomadismo.

Nonostante questa gigantesca espropriazione di terre ai danni dei libici le famiglie italiane stanziate sono sempre poche: 1500 nel ’33. Con Balbo le cose cambiano.

Balbo giunge a Tripoli nel gennaio del ’34 come governatore. Con la legge del maggio ’38 lo Stato assume a proprio carico le opere pubbliche, il finanziamento dei lavori di trasformazione fondiaria e le spese sostenute dai coloni per l’avviamento del podere. L’obiettivo sono 20.000 coloni l’anno. I primi 20.000 arrivarono nell’ottobre del ’38.

Nel ’40 gli italiani arrivati grazie a Balbo erano circa 40.000 a cui bisognava sommare altri 70.000. Vanto del regime la “Balbia”: 1900 chilometri costieri tra Tunisia ed Egitto (1937).

Non si risolsero però i problemi del Sud italiano: i coloni erano pochi rispetto ai sei milioni e mezzo di emigranti in quegli anni ed erano quasi tutti veneti. Le spese per permettere ai coloni di lavorare e vivere furono enormi, e in gran parte a carico dello Stato. Balbo dà spazio al lavoro indigeno solo come manovalanza.

Molte le difficoltà di insediamento dei coloni italiani con frequenti ritorni in Italia.

Dopo il Secondo conflitto. L’Italia perde le colonie

La tecnologia militare italiana poteva andare bene per vincere in Libia e in Etiopia contro popolazioni povere ma di fronte all’esercito inglese non c’era alcuna speranza.

Dopo una serie di scontri nell’Africa settentrionale con il gennaio del ’43 l’Italia perde definitivamente la Libia con la conquista inglese di Tripoli e Bengasi.

Al termine della guerra da “scatolone di sabbia” la Libia era ridotta a “scatolone di ferraglia”: gli aspri combattimenti tra forze alleate e gli eserciti italo-tedeschi avevano coperto ampie zone di residui bellici, tra cui le micidiali mine antiuomo che aumenteranno sensibilmente il numero di libici morti o mutilati. Su queste mine morirono anche alcuni amici e parenti stretti del giovane Gheddafi.

Con il trattato di pace del 1947 firmato a Parigi l’Italia perde tutte le colonie più l’Istria e la Dalmazia.

Sforza e De Gasperi fecero di tutto per legare ancora l’Italia almeno alla Tripolitania (amministrazione fiduciaria). Compromesso Sforza-Bevin del ’49 per cui l’Italia avrebbe amministrato la Tripolitania, La Francia il Fezzan e l’Inghilterra la Cirenaica.

Gran parte del mondo politico italiano chiedeva a gran voce che l’Italia rimanesse in Libia e nelle altre colonie. Benedetto Croce riteneva inaccettabile la rinuncia alle colonie che l’Italia“aveva acquistato col suo sangue, amministrate e portate a civile vita europea col suo ingegno”. Anche Pci e Psi volevano la restituzione all’Italia di tutte o parti delle vecchie colonie. Si cerca di sfuttare la leggenda degli “Italiani, brava gente”.

Su pressioni sovietiche l’Onu decise nel novembre ’49 l’indipendenza della Libia e nel dicembre del ’51 nacque il Regno di Libia sotto Muhammad Idris. Dopo il ’51 rimangono in Libia 27.000 italiani, erano 44.000 nel 1948.

Idris piace agli inglesi che pensano di poterlo manovrare senza difficoltà, come poi sarà. Malumori a Tripoli per la sua designazione.

La Libia diventa uno Stato federale (tre regioni con due capitali) e monarchico. La bandiera è verde, rossa e nera. I poteri di Idris sono molto ampi, non esistono partiti e sindacati. Le elezioni sono palesi. La politica estera di Idris è di pendolo tra Occidente e Lega Araba.

I rapporti tra italiani e libici durante il regno di Idris sono discreti, soprattutto perché conservano le loro proprietà. Gli italiani perdono ogni potere politico con la caduta dell’ipotesi del mandato fiduciario.

Con la valorizzazione del petrolio libico (dal 1960) l’Italia diventerà subito il primo partner economico (import-export). Gli italiani sono 44mila nel ’48 ma nel ’64 sono scesi 27mila di cui ben 24mila solo a Tripoli. Nella diminuzione del numero pesa l’incertezza della normativa sullo status degli italiani e il crescente odio arabo. Dal ’60 agli italiani residenti si uniscono migliaia di tecnici che lavorano a contratto.

Antisemitismo in Libia

La comunità ebrea libica, forte di diverse migliaia di persone, non subì mai pressioni da parte degli arabi fino al 1945 quando una serie di pogrom sanguinosi fece emergere l’odio arabo nei loro confronti. Nel novembre del ’45 il primo, quando il mondo stava prendendo coscienza di Auschwitz; altre violenze, soprattutto a Tripoli, nel giugno del 1948, all’indomani della nascita dello Stato di Israele; nel ’67 l’ultimo, all’epoca della Guerra dei Sei Giorni. Nel ’67 gli ultimi ebrei (5mila) lasciano la Libia.

La comunità ebraica, durante la guerra, era stata in parte internata, per ordine di Mussolini (a partire dal 1942) nel campo di concentramento di Giado a 180 chilometri a sud di Tripoli. I morti furono 560 (Eric Salerno, “Uccideteli tutti”).

Gheddafi prende il potere. Gli italiani sono cacciati

Il lungo regno di Idris si caratterizza in senso conservatore, soprattutto quando verrà scoperto il petrolio e una grande ricchezza si rovescerà sul Paese. Idris appare incapace di riforme nonostante un notevole fermento in Libia.

Si diffondono sempre più sentimenti panarabi e filonasserriani tra la popolazione: in prima linea studenti e ufficiali dell’esercito.

Il 1 settembre del ’69 Gheddafi prende il potere in modo incruento. Stati Uniti e Gran Bretagna non accolgono l’invito di Idris a intervenire militarmente. Anche la Cirenaica volta le spalle al proprio re.

Seimila italiani partono subito. Gli altri 20.000 sono costretti a partire dopo il decreto del 21 luglio ’70 con cui il governo confisca le loro proprietà terriere più le proprietà immobiliari. Rimangono solo poco meno di 2000 tecnici. Le proprietà di Eni e Fiat invece non sono toccate.

L’agenzia Jana fece i conti: furono sequestrati 37.000 ettari di terra, 1750 case di abitazione, 500 esercizi commerciali, 1200 fra veicoli, aerei, macchine agricole. Valore totale: 200 miliardi di lire (valore 1970). In più la cattedrale di Tripoli divenne una moschea, i monumenti italiani vennero abbattuti, venne smobilitato il cimitero italiano di Tripoli, così che il governo italiano fu costretto a riportare in Italia 20.000 salme di soldati italiani morti in Libia (compresa la salma di Balbo). Negli stessi giorni il governo italiano vende grossi quantitativi di armi a Tripoli.

Le espropriazioni mostrano che la presenza italiana era fatta soprattutto di artigiani, negozianti e microimprenditori, soprattutto proprietari terrieri. Deboli e imbarazzate proteste del governo di Roma.

In realtà tra Italia e Libia cambia poco: l’Italia è il primo fornitore del mercato libico, il secondo acquirente di petrolio. Storico accordo con la Fiat (anni Settanta, maggior investimento estero della Libia). Addirittura nel 1986 gli italiani sono 18.000!

Bilancio del colonialismo italiano

Secondo Sergio Romano, “La quarta sponda”, Corbaccio, il colonialismo italiano non è stato nel complesso peggiore rispetto ad altri. L’errore maggiore fu l’aver escluso qualunque forma di partecipazione da parte di elementi libici alla gestione del potere. In sostanza non nacque una classe dirigente libica seppure in funzione subalterna rispetto alla dirigenza italiana. Francesi e inglesi ebbero una diversa sensibilità.

La prova migliore è la totale assenza, tranne per la scuola elementare, di scuole superiori per i libici sia in Italia che in Libia.

Visto il totale ritorno degli italiani in patria, il bilancio finale del colonialismo italiano non può essere che negativo.

“Almeno il generale dei generali in Libia, il Generale Graziani,

avrebbe dovuto essere giustiziato dai soldati (italiani),

in punizione delle migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini

che egli fece morire di fame e di sete in Cirenaica nel 1930

e della popolazione abissina di Addis Abeba che egli fece massacrare in massa nel 1937.

Ma quel che non fu fatto ieri speriamo che sia fatto domani”

Gaetano Salvemini, 1941

 

Giancarlo Restelli