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Carlo Borsani, 29 aprile 1945

Carlo Borsani, 29 aprile 1945

Carlo Borsani, legnanese di nascita, figura importante nell’organigramma della classe dirigente della Repubblica sociale di Mussolini, fu ucciso da alcuni partigiani il 29 aprile di 71 anni fa a Milano in Piazzale Susa.

Una sintesi della storia di Borsani e della sua fucilazione è raccontata da Gianpaolo Pansa nel recentissimo “L’Italiaccia. Misteri, amori e delitti del dopoguerra senza pace” (pp. 203-205).

Era un quotidiano nuovo, fondato nel gennaio 1944, quattro mesi dopo la nascita della Repubblica sociale. Il ministro per la Cultura popolare, Ferdinando Mezzasoma, ne aveva affidato la direzione a Carlo Borsani, cieco di guerra, medaglia d’oro al valor militare e leader dell’Associazione nazionale mutilati.

Borsani aveva 27 anni e impresse a “Repubblica fascista” una linea politica che non poteva essere accettata da Mussolini e soprattutto dai più fanatici tra i suoi ministri. Lui sosteneva la necessità di arrivare a una conciliazione nazionale tra fascisti e antifascisti. L’unica via per concludere la guerra civile.

La direzione di Borsani non superò l’estate del 1944. Mezzasoma era un fascista intransigente e decise di metterlo in disparte. Gli scrisse una lettera che diceva: “I tuoi scritti stonano maledettamente con la testata del giornale affidato alla tua direzione, così pienamente impegnativa dal punto di vista fascista. Per noi fascisti non può esservi altro punto d’incontro di questo: la vecchia bandiera fascista, che è la bandiera per la quale e contro la quale il mondo si è schierato in due campi opposti”. Poi il ministro silurò Borsani…

Sino alla fine del maggio 1945, Milano divenne un inferno per chi era stato fascista o in rapporti con la Repubblica sociale. Tra i tanti fucilati ci fu pure Borsani, l’ex direttore di “Repubblica fascista”. Non aveva commesso nessun delitto e meno che mai incitato alla violenza. Anzi il vertice della Rsi lo considerava quasi un avversario perché predicava la riconciliazione fra gli italiani.

All’alba di venerdì 27 aprile, i partigiani andarono a prelevarlo all’Istituto Oftalmico e lo portarono negli scantinati del Palazzo di giustizia. Quella stessa sera venne condotto lì un sacerdote di quarantasei anni: don Tullio Calcagno. Aveva fondato e diretto il settimanale “Crociata italica”, un foglio che usciva a Cremona dove poteva contare sulla protezione del ras locale, Roberto Farinacci. I partigiani lo arrestarono a Crema sempre il 27 aprile. E lo trasferirono subito a Milano.

Nel pomeriggio di domenica 29 aprile, Borsani e don Calcagno furono tradotti nelle scuole elementari di viale Romagna.

Il primo era cieco e mi ferisce il cuore se lo immagino spinto a forza mentre cammina a tentoni. In quell’edificio si era insediato un tribunale del popolo. Il processo durò pochi minuti e si concluse con la condanna a morte di entrambi. I prigionieri furono trasportati in Piazzale Susa. Il primo a essere ucciso fu don Calcagno. Poi toccò a Borsani.

Il suo cadavere venne gettato su un carretto della spazzatura. Qualcuno gli mise al collo un cartello che diceva: “Ex medaglia d’oro”. Il carretto fece un lungo giro per le vie dell’Ortica, del quartiere Monluè e di Città Studi. Sempre accolto dalle urla di una folla imbestialita che imprecava, lanciava sassi, sputava. Lo spettacolo proseguì per più di un’ora. E si concluse all’obitorio”.

Pur con qualche enfasi il racconto di Pansa è corretto all’interno di un testo, “L’Italiaccia”, modestissimo da tutti i punti di vista e talvolta imbarazzante. Evidentemente dopo più di tredici anni di “rovescismo” sistematico Pansa oggi ha poco da dire.

E’ difficile parlare di Carlo Borsani: pesa su di lui la damnatio memoriae decretata dai nostrani “guardiani della memoria” per cui parlare di un fascista, operazione per alcuni sempre negativa, vuol dire riportarlo a una dignità civile immeritata e pericolosa.

Probabilmente alcuni non hanno capito che nella storia non ci sono argomenti indicibili, ossia temi tabù; tutto può e deve essere oggetto di analisi storica senza passioni ideologiche inutili e con la necessaria presa di distanza dal tema della propria ricerca.

Altrimenti come giustificare la vastissima letteratura sul fascismo e Mussolini? Tutti storici prezzolati e di orientamento revisionista?

Siamo convinti che con lo stesso spirito (sine ira et studio) si deve affrontare anche la personalità e il ruolo che Borsani ebbe durante l’ultima parte del fascismo. Ad oggi ravvisiamo questo totale vuoto di memoria che permette a organizzazioni neofasciste di richiamarsi impunemente a Borsani e di rivedicare il suo operato.

Leggiamo in Pansa che con Borsani fu fucilato un prete fanatico quale don Tullio Calcagno, lui sì fascista esagitato fino al punto di essere sospeso a divinis dalla Chiesa.

Pansa poche pagine dopo parla anche del suicidio di Giovanni Preziosi: con la moglie si era lanciato nel vuoto dal proprio appartamento qualche giorno prima della morte di Borsani. La lirica di Pansa qui arriva al grottesco descrivendo Preziosi quasi come un martire.

Preziosi (fanatico antisemita dai primi anni Venti fino alle Leggi Razziali e poi nella Rsi) e Calcagno rappresentano l’anima nera della Rsi di Mussolini: ossessioni antisemite e complicità nella deportazione ad Auschwitz degli ebrei italiani (Preziosi), “crociato” fascista e intransigente persecutore di partigiani e civili (Calcagno).

Borsani non si macchiò mai le mani di sangue, anzi fu uno dei rappresentanti di quella corrente minoritaria (e utopica) nella Rsi che si batteva per evitare, dopo l’8 settembre del ’43, la guerra civile tra italiani, che sarebbe scoppiata a partire dall’autunno del ’43 e avrebbe insanguinato l’Italia fino a dopo il 25 aprile del ‘45.

La reazione alla sua apertura nei confronti dei non fascisti in nome dell’Italia in guerra la conosciamo nel testo di Pansa: la direzione della “Repubblica Fascista” gli fu tolta dopo pochi mesi di attività.

Il resto lo sappiamo: la cattura da parte dei partigiani nelle giornate convulse segnate da Piazzale Loreto e la fucilazione del 29 aprile. Il paradosso è che moltissimi dirigenti di primo piano del fascismo riuscirono a salvarsi fuggendo in Svizzera, nascondendosi nei monasteri con la complicità del Vaticano oppure mettendosi nelle mani degli inglesi. Borsani invece rimase al suo posto consapevole di quello che gli sarebbe accaduto.

Se fosse sopravvissuto ai giorni delle “epurazioni selvagge”, l’”amnistia Togliatti” (così generosa anche con i delinquenti e i torturatori delle varie formazioni armate della Rsi) l’avrebbe restituito alla sua famiglia.

Come giudicare Borsani? Compito della storiografia non è tanto il giudizio “etico” quanto capire il ruolo che un personaggio ha avuto in un determinato contesto storico.

Semplicemente Borsani deve essere studiato per quello che è stato, con le sue inevitabili contraddizioni e oscillazioni, con le sue utopie, cercando di capire quali motivazioni l’hanno portato a dedicarsi anima e corpo alla repubblica di Mussolini dopo il disastro dell’8 settembre.

Quindi da parte mia nessuna parificazione tra partigiani e fascisti o pacificazione tra le opposte vulgate.

Borsani come oggetto di studio e non di contumelie, contrapposizioni frontali e schematismi ideologici: è chiedere troppo?

– Per conoscere più a fondo la storia di Borsani

– Carlo Borsani, Adunata mutilati d’Italia – Milano

– Il “sangue dei vinti” anche a Legnano

http://www.legnanonews.com/news/1/48121/cosa_accadde_ai_fascisti_legnanesi_dopo_il_25_aprile_