Torna a Foibe ed esodo giuliano-dalmata

A proposito di una testimonianza di Lucia Bellaspiga. Come gli esuli raccontano la storia

La storia che racconta Lucia Bellaspiga è di quelle che non dimentichi. Pola, maggio 1945, l’arrivo dei titini: le violenze, le foibe, i campi di concentramento… e la partenza di un’intera città evacuata nel giro di pochi mesi di fronte all’invadenza slava e al passaggio della città nella nuova Jugoslavia del maresciallo Tito. Anche la sua famiglia dovette andarsene dalla propria casa, dalla propria terra, e la seperazione fu drammatica, come per tanti altri italiani.

http://www.legnanonews.com/news/cronaca/910002/foibe_accanto_agli_esuli_istriani_per_difendere_la_verita_

Quindi, tutto bene? No, perché la giornalista dimentica un capitolo importante, che in genere è eluso da gran parte del mondo degli esuli giuliano-dalmati.
Nella sua ricostruzione storica la Bellaspiga parte dall’8 settembre del ’43, quando con l’armistizio di Badoglio si creano al Confine orientale d’Italia le condizioni per dare voce al nazionalismo slavo espresso da Tito e dai suoi infoibatori.
Ma questa storia non è così recente, non inizia solo nel ‘43. Affonda le proprie radici esattamente cento anni fa quando l’Italia entra in guerra contro l’Austria-Ungheria e pone con forza il dominio non solo su Trieste e Gorizia ma anche sull’Istria e sulla Dalmazia, ossia su territori dove la presenza italiana era minoritaria o addirittura marginale.
Trieste, Pola, Rovigno, Umago, Montona… in Istria e poi Sebenico, Zara e Spalato in Dalmazia rappresentano “isole” di italianità ma la campagna è compattamente slava: non si parla l’italiano (solo croato o sloveno) e la parola “Italia” non suscita nessun entusiasmo.
Quindi un primo dato di fatto: l’Italia porta i suoi confini nel 1920 in territori dove è marginale la propria lingua e cultura.
Secondo dato di fatto. L’Italia liberale e poi fascista (dalla Marcia su Roma) vuole italianizzare rapidamente queste terre dove l’ostilità anti italiana è palpabile.

Possiamo immaginare i metodi dei fascisti nel corso del Ventennio:
– italianizzazione forzata dei nomi di città, paesi e montagne
– italianizzazione forzata dei nomi e cognomi
– imposizione di un’unica scuola italiana dove le lingue slave sono rigorosamente bandite
– cacciata dei preti e maestri slavi che rappresentano l’identità etnica di questi popoli
– violenze sui singoli, associazioni politiche e culturali per annullare l’identità slava
– espropriazioni di terre ai contadini slavi

Potremmo continuare…. Certo, anche dall’altra parte non si scherza. Gli italiani a Spalato, Sebenico, a Fiume (fino al ’24) … devono vedersela con un nazionalismo esasperato tanto quanto quello italiano. Nazionalismo fascista e nazionalismo jugoslavo: ecco una prospettiva di ricerca che nel mondo degli esuli non è ancora iniziata.

E poi si dimentica quanto è avvenuto in Slovenia, Croazia, ma anche Montenegro e Grecia durante la Seconda guerra mondiale quando il nostro esercito di occupazione si è macchiato di veri e propri crimini di guerra con deportazioni, fucilazioni sommarie di partigiani e civili slavi, incendio di villaggi e violenze varie sulla popolazione.
Il simbolo di queste infamie è il campo di Arbe (Rab in croato) dove in due anni (1941-43) verranno deportate anche intere famiglie slave come risposta alle azioni dei partigiani. E ad Arbe moriranno più di un migliaio di civili.
E poi i campi in funzione antislava in territorio italiano: Gonars e Visco (Udine), Renicci (Arezzo) … dove intere famiglie slovene vennero deportate con il concorso dell’esercito italiano e delle autorità di occupazione.

Non c’è storico serio oggi in Italia che avendo scritto su queste vicende non ne abbia parlato diffusamente. Invece le associazioni degli esuli continuano a riproporre la loro vulgata che elude totalmente tutto ciò iniziando il discorso storico o testimoniale immancabilmente dal settembre ’43.

Nella storia chi non vuole parlare di certe cose perché urtano convinzioni politiche o identitarie ha alcune possibilità:

– non parlarne affatto
– minimizzare ossia edulcorare gli avvenimenti
– dare la priorità ad altri temi più favorevoli al proprio messaggio

Delle tre l’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia ha scelto soprattutto la prima. Quindi si evita di fare i conti con l’occupazione di territori ostili finita la Grande guerra, non si parla del Ventennio fascista ai confini orientali d’Italia, si cancella la vergogna dei crimini di guerra dell’esercito italiano in Slovenia.
Partendo dal settembre ’43 questa operazione poco pulita si può fare e si trova sempre un pubblico compiacente che un po’ per ignoranza , un po’ per affinità ideologica presta fede a chi parla.

Immagino a questo punto le obiezioni di Lucia Bellaspiga: io racconto solo una storia familiare e non l’intera storia nazionale. Lei è giornalista e molte volte ha scritto su “Avvenire” di episodi storici legati al contesto del Confine orientale, esempio la strage di Vergarolla (1946, Pola). Se vuole solo affrontare una vicenda familiare si faccia accompagnare da uno storico che contestualizzi gli avvenimenti, naturalmente uno storico che racconti interamente la storia e non solo quello che piace di più.

Se posso riassumere, per evitare equivoci, direi che sono pianamente partecipe della tragedia vissuta dalle popolazioni italiane che in massa lasciarono le proprie terre e conobbero l’infamia delle foibe e dei campi di concentramento di Tito. Nessuna giustificazione può essere addotta per minimizzare i crimini di un personaggio che la sinistra italiana (Tito) ha colpevolmente difeso fino alla propria morte. I crimini delle foibe sono migliaia, i deportati nei gulag di Tito aspettano ancora chi in Italia racconti la loro storia, i libri di testo nelle scuole sono incompleti spesso per piccola partigianeria o ignoranza di base.
Però dall’altra non violiamo sempre la storia come se fosse una camicia che tutti possono mettere, iniziamo a raccontare quanto è accaduto, non minimizziamo o adulteriamo i fatti … impariamo a raccontare la Storia tutta intera.