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Giorno del Ricordo 2018: una riflessione

Il Giorno del Ricordo con il Professor Restelli

10 Febbraio, Giorno del Ricordo. Per non dimenticare gli infoibati e i tanti che furono costretti a lasciare le proprie case nei territori orientali che alla fine della guerra diventarono jugoslavi.

Le foibe e l’esodo giuliano-dalmata: una storia rimossa.

“Come vorrei essere un albero che sa
dove nasce e dove morirà”
Sergio Endrigo, “1947”

Il Giorno del Ricordo è stato istituito dal Parlamento italiano nel 2004 per non dimenticare gli infoibati e i tanti che furono costretti a lasciare le proprie case nei territori orientali che alla fine della guerra diventarono jugoslavi.
Fu una tragedia che si consumò prevalentemente alla fine della Seconda guerra mondiale mentre sull’Europa già soffiavano i venti della pace. Infatti la fase più tragica delle foibe si sviluppò a Trieste mentre nel resto dell’Italia si festeggiava la fine della guerra.

I 40 giorni del terrore titino a Trieste e nella Venezia Giulia
Il primo maggio del 1945 le truppe di Tito raggiunsero per prime Trieste mentre i neozelandesi (esercito britannico) arrivarono nel capoluogo giuliano il giorno dopo.
Addirittura Trieste fu l’unica città europea a essere “liberata” da due eserciti! Tutto questo non impedì la tragedia di tanti italiani arrestati dai soldati di Tito e dalla polizia segreta jugoslava e condotti nei campi di concentramento in Slovenia oppure infoibati a Basovizza o Opicina, appena fuori Trieste.
Non erano tutti fascisti coloro che finirono nelle foibe carsiche. Tra di loro c’erano anche antifascisti del CLN che avevano combattuto fino a pochi giorni prima contro fascisti e nazisti e comunisti italiani contrari alle mire imperialiste jugoslave. Anzi in alcune realtà come Pola la reazione jugoslava si abbatté pesantemente anche sulla classe operaia italiana dei cantieri navali.
L’obiettivo di Tito era non tanto colpire il fascismo morente quanto colpire l’italianità di Trieste e della Venezia Giulia per slavizzare il territorio con più facilità e inserirlo nella nuova compagine statale jugoslava.

Più che comunista la politica di Tito era espressione di un nazionalismo radicale con forti componenti anti italiane.
Alla fine, dopo quaranta giorni (1 maggio-12 giugno ’45), le vittime della terribile violenza che si abbatté sulla Venezia Giulia furono circa 5.000.
Quando Truman, presidente degli Usa, ordinò a Tito di sgombrare la Venezia Giulia con Trieste (12 giugno) moltissimi triestini e giuliani furono liberati dall’incubo di essere gettati vivi o morti nelle foibe oppure di essere deportati nei campi di concentramento del nuovo regime jugoslavo.

L’esodo giuliano-dalmata
Ma il dramma di queste terre di confine non finì qui perché subito dopo riprese con grande forza l’esodo dalle terre che il trattato di pace del 10 febbraio del 1947 faceva diventare jugoslave.
Furono 300.000 circa i profughi giuliani e dalmati in un arco temporale che va dall’esodo da Zara (1944) fino al 1956.
In Italia furono accolti con diffidenza e pregiudizio. Molti italiani dell’epoca non sapevano se considerarli italiani o meno; la stampa di sinistra diceva che erano tutti o quasi fascisti e nazionalisti; i governi li dimenticarono fino al 1960 in 109 campi profughi sporchi e fatiscenti.
In realtà si trattava di una grande comunità che pagava di persona (perdita delle proprietà e della propria identità) una guerra voluta dal fascismo e dalla classe dirigente italiana per i propri obiettivi imperialistici. Non è esagerato dire che le distruzioni provocate in Slovenia dall’esercito italiano furono pagate con i beni di coloro che furono cacciati dalle loro case.
Il momento più drammatico dell’esodo fu quello vissuto da Pola nell’inverno del 1946-47 quando un’intera popolazione (28.000 abitanti su 32.000) lasciò in pochi mesi la città istriana che il trattato di pace faceva diventare slava. Divennero profughi in cerca di pace simili ai tanti profughi medio-orientali che oggi arrivano nell’Europa occidentale e in Italia attraverso rotte mediterranee e balcaniche.

Le ragioni del “grande silenzio”
Per molto tempo in Italia parlare delle foibe non era politicamente opportuno: il Partito comunista di Togliatti si era molto esposto nell’assecondare le mire di Tito a Trieste, la Democrazia cristiana di De Gasperi aveva cercato fino all’ultimo di limitare l’esodo dalle terre orientali e poi aveva disperso le comunità giuliane in tutta Italia. I neofascisti del MSI non volevano sentirsi ricordare che a causa della loro politica avventurista (la guerra a fianco della Germania nazista) l’Italia aveva perso i territori orientali frutto della vittoria nella Grande Guerra.
Ma era soprattutto la nuova collocazione internazionale della Jugoslavia a rimuovere il passato.
Quando maturò la rottura tra Tito e Stalin (1948) la Jugoslavia divenne “amica dell’Occidente” e nessuno volle più rievocare le pesanti responsabilità del governo di Tito negli infoibamenti e nella cacciata degli italiani d’Istria e Dalmazia. Nello stesso tempo era possibile far cadere nel nulla i tentativi jugoslavi di estradare a Belgrado ufficiali dell’esercito italiano che erano accusati di stragi e massacri durante la guerra nell’area balcanica.
Così fino alla caduta del Muro di Berlino (1989) parlare della tragedia del Confine orientale non conveniva a nessuno. Il cinismo della politica internazionale e i giochi di potere in Italia dovevano decretare la cancellazione del passato. Solo a Trieste rimanevano vive le polemiche, le lacerazioni e le opposte ricostruzioni storiche.

Una nuova stagione favorevole?
La scomparsa dei vecchi partiti della prima repubblica e la nascita di nuovi partiti ha indubbiamente facilitato il dialogo e la ricerca storica. In questi ultimi 15-20 anni i temi legati alle foibe e all’esodo sono usciti da quella sorta di “cono d’ombra” in cui sembravano relegati per sempre.
Ma ancora il quadro degli avvenimenti storici è reso ancora torbido da nuove contrapposizioni ideologiche e politiche in un quadro di polemiche che annebbia il passato e rende difficile comprendere che cosa sia accaduto al Confine orientale.

Amnesie e “uso pubblico della storia”

In Italia si chiama “uso pubblico della storia” e consiste nel parlare di storia solo per colpire l’avversario. E’ inutile dire quanto siano strumentali, faziose ed errate le ricostruzioni storiche nate solo per screditare il proprio “nemico” politico.
Soprattutto in una certa parte della sinistra (ex-Pci stalinista) si stenta a far capire che il Giorno del Ricordo non è una manifestazione filofascista mentre nel neofascismo il 10 Febbraio viene visto come una sorta di giorno in cui rialzare la testa. Opposti estremismi farneticanti che nulla hanno a che vedere con le serie indagini storiche.

Quante volte mi è capitato di sentire dire in ambienti di sinistra che parlare di foibe vuol dire fare un regalo al neofascismo! Quante volte invece a destra il tema viene sfruttato per delegittimare l’avversario ieri comunista oggi variamente di sinistra.
Gli storici migliori hanno lavorato al meglio per spiegare ciò che è avvenuto nell’area giuliana stabilendo cause e responsabilità. Ai politici il compito di non intorbidare le acque con polemiche pretestuose; a tutti coloro che amano la Storia non inquinata dalle ideologie il compito di studiare e capire.

Giancarlo Restelli

– I° Premio “10 Febbraio” 2017 Miur e Regione Lombardia. Video realizzato da alcuni studenti del “Bernocchi”. Voce narrante Stefano Barlocchi (VE Informatica)

Una mia riflessione, stanco di tanti stereotipi
 A me sembra che il Giorno del Ricordo sia uno straordinario gioco delle parti:

- nella sinistra antifascista si bada solo ai crimini del fascismo nei territori orientali e al
fascismo guerrafondaio dal '41 con l'occupazione della Slovenia...
- nella destra anticomunista il G.R. è l'ennesima dimostrazione che il comunismo è ideologia
barbara e prassi violenta

due letture unilaterali perchè come sempre la storia è più complessa delle ideologie e della
"storia fai da te"

-  gli "antifascisti radicali" dovrebbero evitare stereotipi del tipo: le foibe sono il prodotto
della violenza fascista e giustificare una violenza con l'altra
L'obiettivo di Tito è l'occupazione della Venezia Giulia e la violenza (infoibamenti, campi di
concentramento...) è lo strumento per governare. "Epurazione preventiva". Mai letto Pupo,
Spazzali, Oliva?

- La destra fascista o meno dovrebbe evitare la parola comunismo e utilizzare la più consonante
parola NAZIONALISMO

Nazionalismo fascista contro nazionalismo slavo. difficile dire qual è stato il peggiore

e sarebbe anche ora che la sinistra antifascista la smettesse di fare il gioco della destra
parlando di movimento "partigiano" titino, movimento popolare, socialista, comunista...

Il comunismo è internazionalismo. se Tito fosse stato comunista avrebbe unito la classe operaia
jugoslava alla classe operaia italiana contro la borghesia jugoslava e contro quella italiana.
E' inutile dire che tutto ciò gli era estraneo perchè il suo movimento è essenzialmente
nazionalista.

solo il nazionalismo punta ad allargare i confini, a conquistare terre estranee, a dire "noi
sloveni" e "voi italiani" (dov'è la lotta di classe?), a ricorrere a mezzi barbari per il
controllo del territorio

la prova? comunisti italiani antititini e antifascisti del CLN di Trieste nelle foibe o deportati.
Vincenzo Gigante (comunista) morì nella Risiera perchè era contrario alle mire di Tito su
Trieste. qualcuno lo denunciò e da quel momento il Pci di Trieste si schierò con Tito fino a
giustificarne i crimini peggiori

 comunisti italiani contro comunisti slavi? antifascisti italiani contro antifascisti slavi? c'è
il rischio di non capire più nulla

No, semplicemente antifascisti italiani ma anche antinazionalisti titini infoibati contro
nazionalisti slavi che sbandierano impunemente la bandiera rossa

G. Restelli

http://www.legnanonews.com/news/cronaca/912810/le_foibe_e_l_esodo_giuliano_dalmata_una_storia_rimossa