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L’occupazione italiana dei territori orientali

Il Fascismo di confine (1922-1943)

“Le conseguenze della Prima guerra mondiale

e l’occupazione italiana dei territori orientali”.

Appunti per una conferenza tenuta l’anno scorso di fronte a una platea di studenti di Milano

Quando si parla di foibe si intendono due periodi storici distinti:

– Le foibe dopo l’8 settembre del ‘43

– Le foibe e le deportazioni nei lager di Tito durante i famigerati 40 giorni dell’occupazione jugoslava di Trieste (1 maggio-12 giugno del ’45)

Sul piano storiografico non è però possibile iniziare il discorso foibe con gli avvenimenti del 1943.

Infatti i capitoli da affrontare sono almeno tre: l’occupazione italiana dei territori orientali a partire dalla fine della prima guerra mondiale, le foibe e l’esodo giuliano-dalmata.

Eludere uno dei tre capitoli vuol dire compiere un errore in chiave storica davvero grave.

Il tema che mi è stato affidato è il primo capitolo di questa ideale ricostruzione degli avvenimenti, ossia “Le conseguenze della prima guerra mondiale e l’occupazione italiana dei territori orientali”.

Quindi il periodo storico che prenderò in considerazione va dal 1915 fino all’inizio della seconda guerra mondiale (occupazione italo-tedesca della Slovenia, aprile 1941).

– Il 24 maggio del ’15 l’Italia entra in guerra contro l’Austria-Ungheria per il controllo dell’area balcanica e per fare dell’Italia una potenza adriatica e mediterranea. L’obiettivo è l’espansione italiana nel Balcani, il mondo danubiano e il Medio Oriente.

E’ l’inizio della partecipazione del nostro paese alla Grande guerra, che costerà 650.000 morti italiani.

E’ interessante sapere che il grosso delle truppe austro-ungariche a guardia dell’Isonzo era formato da contingenti sloveni e croati i quali combattevano una duplice guerra:

– per salvare l’impero di Francesco Giuseppe, che non era affatto una prigione di popoli come si diceva in Italia,

– e contro l’Italia perché erano ben conosciute le mire espansionistiche del governo italiano con il Patto di Londra nell’area balcanica. La linea dell’Isonzo diventa quindi per le etnie slave una sorta di baluardo nazionale da difendere ad ogni costo.

– La guerra quindi scava un primo solco profondo di odio e di disprezzo reciproco tra italiani e slavi.

– Finita la guerra ci sono centinaia di migliaia di morti da una parte e dall’altra che pesano come macigni ora che italiani e slavi sono costretti a vivere insieme, in un’area di frontiera come l’Istria, annessa dall’Italia per la Vittoria del 4 novembre ‘18.

Redipuglia

Nel cimitero militare di Redipuglia, che voi visiterete il primo giorno del vostro viaggio della memoria, sono custodite 100mila salme di soldati italiani di cui 60mila militi ignoti.

Redipuglia è sicuramente uno dei più grandi cimiteri al mondo.

Il numero di soldati sepolti è esattamente di 100.187: 39.857 sono i soldati di cui conosciamo il nome e 60.330 i soldati di cui non conosciamo l’identità: poveri corpi di soldati straziati e dilaniati dalle bombe fino ad impedire il riconoscimento.

Vengono in mente i versi di Giuseppe Ungaretti in “San Martino del Carso”

–         “Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro. / Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto…”

Di tanti soldati non è rimasto neppure un brandello, neppure il nome, solo miseri resti irriconoscibili.

Riprediamo il discorso dal 1918 / anno della vittoria italiana nella Grande guerra

– Con il trattato di Versailles, appena finita la prima guerra mondiale, l’Italia si espande verso est occupando Trieste, Gorizia, Monfalcone, tutta l’Istria, Zara e alcune isole della Dalmazia. Con Trento e Bolzano l’Italia non ottiene affatto quella “vittoria mutilata” che D’Annunzio declamava. Si trattava sicuramente di un buon bottino di guerra

-Uno dei fatti più importanti appena finita la guerra è l’occupazione della città di Fiume del settembre ’19 da parte di D’Annunzio e dei suoi legionari.

-Ebbene a livello giuridico l’Italia non aveva nessuna pretesa sulla città di Fiume perché nel Patto di Londra non era previsto che Fiume diventasse italiana.

In ogni caso l’occupazione di Fiume (sett. 1919 – “Natale di sangue” del ‘20) scaverà ancora di più in profondità l’odio slavo nei nostri confronti. Poi Fiume, oggi città croata, diventerà italiana nel 1924.

– Quanti sono in questo momento, nel 1918, gli slavi e gli italiani in Istria e a Trieste?

– A Trieste gli sloveni sono 60mila. Una minoranza notevole

– Istria: Nel 1910, su un totale di 400mila abitanti dell’Istria, 147mila sono italiani, 55mila sloveni,  168mila croati + altre minoranze. Sono dati del censimento austriaco del 1910 che Raoul Pupo ritiene attendibili. Gli italiani quindi non sono maggioranza.

– La presenza italiana in Dalmazia era invece marginale

Ma più di italiani, croati, sloveni o tedeschi in Istria dovremmo parlare di popolazioni plurietniche e mistilingue che per secoli sono vissute senza particolari tensioni parlando tedesco, sloveno, croato e italiano. Addirittura in molti casi il dialetto friulano era una sorta di “lingua franca” che tutti parlavano per faciltare i rapporti economici oppure per favorire i matrimoni misti, molto frequenti in queste terre di frontiera dove l’identità nazionale sfumava molto a favore di altre culture.

Vediamo che cosa accadde subito dopo la fine della Grande Guerra

– Il primo rapporto tra italiani e slavi è connotato da forte razzismo, da una forte volontà di escusione da parte italiana:

“Nessuna tradizione ha la nazione slovena: nel suo passato non può vantare nessuna lotta, nessuna gloria… la sua stessa lingua solo da pochi anni è divenuta letteraria e prima era considerata alla stregua di un qualsiasi dialetto parlato da popolazioni di campagna. La maggioranza della popolazione conosce solo la parola servire” (Francesco Luigi Ferrari, nazionalista, 1918)

-Il fascismo a Trieste attecchisce rapidamente con un alto numero di iscritti rispetto ad altre città (14mila iscritti nel ’21).

– Il fascismo a Trieste venne chiamato “fascismo di confine”, ancora più violento rispetto ad altre aree italiane. Nel settembre del ’20 Mussolini in visita a Trieste dichiara:

“Di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone… io credo che si possano sacrificare 500mila slavi barbari a 50mila italiani”.

– Nei primi anni venti non si contano a Trieste e nell’Istria gli omicidi politici, i pestaggi, le intimidazioni, le violenze contro la minoranza slovena e croata. Secondo Marina Cattaruzza saranno dati alle fiamme 134 edifici: di cui 100 circoli di cultura, 2 case del popolo, 3 cooperative e 21 camere del lavoro.

– L’episodio più importante ai danni della minoranza slovena a Trieste subito dopo la guerra è l’incendio del Narodni Dom (13 luglio 1920) a Trieste e Pola (giorno dopo). Quel giorno la casa della cultura slovena a Trieste fu assaltata dai fascisti triestini con l’aiuto delle forze dell’ordine e ai pompieri fu proibito l’intervento. Da notare che nel luglio del 1920 lo Stato è ancora liberale, sarà in parte fascista dalla marcia su Roma e poi definitivamente dal 1925. Eppure tra stato liberale giolittiano e stato fascista mussoliniano c’è una vera e propria continuità nella comune politica antislava.

Quel giorno fu rievocato da Boris Pahor (allora aveva sette anni) nel suo racconto “Il rogo nel porto”: “Il cielo color sangue sopra il porto, i fascisti che, dopo aver cosparso di benzina quelle mura aristocratiche, danzavano come selvaggi intorno al grande rogo”.

– Solo cinque anni prima a Trieste era accaduto un fatto simile: l’incendio della redazione del “Piccolo” di Trieste: è esattamente il 24 maggio 1915, il giorno in cui l’Italia entra in guerra contro l’impero austro-ungarico. La distruzione della sede del quotidiano, simbolo in quel momento di italianità, fu opera di facinorosi sloveni e austriaci.

Vediamo ora che cosa accadde nei territori acquisiti con il fascismo al potere / dal 1925

– La politica dello Stato italiano si basa sull’Italianizzazione forzata e in tempi rapidi degli slavi! / Snazionalizzazione degli slavi

– E’ un insieme di provvedimenti legislativi, spesso odiosi e vessatori, che ha quale obiettivo l’italianizzazione di questa area e quindi la cancellazione dell’identità slava

– Soprattutto dopo il delitto Matteotti e le Leggi fascistissime del 1925, furono chiuse tutte le organizzazioni politiche, culturali, associazioni sportive e assistenziali slave. È abolita la stampa slava

– sono licenziati o trasferiti in Italia i dipendenti pubblici e radiati dagli albi i professionisti sloveni

– è proibito parlare slavo / “Qui è proibito parlare” (sloveno a Trieste) di Boris Pahor

– Sotto gli Asburgo gli sloveni disponevano di tutti gli atti amministrativi nella loro lingua, oltre al tedesco e all’italiano. Ora devono mimetizzarsi.

– Vediamo in rapida carrellata i provvedimenti più odiosi presi nei confronti di sloveni e croati che vivevano nelle zone di confine

– La Riforma Gentile (1923): la Riforma Gentile nei territori occupati provoca solo disastri. Infatti con le nuove leggi nelle scuole è proibito parlare slavo. L’unica lingua ufficiale nella scuola è l’italiano, malamente parlata dalle popolazioni slave.

– L’effetto di questa e di altre norme vessatorie è la regressione culturale dei giovani slavi anche perché le scuole slave sono tutte chiuse (erano 500 nel ’18) e i bambini e i giovani slavi sono obbligati ad iscriversi nelle scuole italiane. Con il ’28 non esistettero più classi con l’insegnamento dello sloveno. L’insegnamento dello sloveno è possibile solo nelle famiglie

– I maestri slavi sono tutti o quasi licenziati e al loro posto vengono assunti maestri elementari che provenivano dall’Italia.

– 1923: italianizzazione dei nomi delle città e delle località

– Italianizzazione dei cognomi slavi (1926): venne chiamata “restituzione alla forma italiana dei cognomi abusivamente alterati durante la dominazione straniera” (l’idea era che il governo austro-ungarico avesse alterato cognomi italiani per far prevalere l’etnia slava). Non era sempre vero

– 1928: proibizione di imporre ai bambini nomi slavi che la stampa dell’epoca definiva “ridicoli”, “immorali”, tali da “oltraggiare l’opinione pubblica” / es. Boris (Pacor)

– Tutti questi provvedimenti vessatori provocano in Istria la nascita degli “allogeni” (1931) (chi parla un lingua diversa da quella della maggioranza), ossia gli “stranieri” nel territorio patrio, praticamente cittadini di serie b in casa loro. Non si riconosce la presenza di una minoranza nazionale

– Un’altra misura vessatoria presa dallo stato fascista è la repressione del clero sloveno e croato: le nuove autorità cercano di allontanare, ma anche reprimere con condanne al confino, il maggior numero possibile di sacerdoti e vescovi filoslavi per impedire alle comunità di avere punti di riferimento non solo religiosi ma anche identitari

– I religiosi slavi sono sostituiti, anche con l’avallo della Chiesa di Roma, prima e dopo il concordato del ’29, da prelati italiani che diventano strumenti della penetrazione dello stato italiano in territori abitati da popolazioni che oppongono una resistenza silenziosa a una vera e propria occupazione militare

– Per esempio nel 1931, e quindi dopo il Concordato, sono allontanati con un provvedimento preso dal Vaticano, guidato allora da Papa Ratti, ossia Pio XI, l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Borgia Sèdej, e nel ’36 è allontanato il vescovo di Trieste, monsignor Luigi Fogàr. Nel ’33 il nuovo vescovo di Udine proibisce l’uso dello slavo perfino nella confessione.

– Tutto questo è ribadito da un congresso di fascisti istriani nel ’25. Nel documento finale è scritto: “Si può pregare in Italia solo in italiano”.

– Qual è il senso di tutti questi provvedimenti?

– L’obiettivo del regime era quindi decapitare la classe dirigente slava (sacerdoti, uomini di cultura, professionisti, proprietari terrieri, maestri…) per impedire il radicarsi in Istria di una identità slava in competizione con quella italiana

Esodo slavo dall’Istria / 30-40mila partenti

– A questo punto siamo in grado di capire un fenomeno importante: il consistente  esodo slavo dall’Istria con alcune decine di migliaia di partenti. Molti di loro erano giovani e sarebbero partiti sicuramente in cerca di fortuna.

– Da notare che nonostante l’esodo di 30-40mila slavi non si altera durante il ventennio lo squilibrio tra italiani e slavi: gli sloveni-croati continuano ad essere in maggioranza nonostante la manipolazione del censimento del ’21 che attenuava fortemente la presenza slava.

– Bisogna dire che gli jugoslavi fecero la stessa cosa nello stesso periodo con la minoranza tedesca in Slovenia, che subì processi di snazionalizzazione.

– Nello stesso tempo è necesario dire che alcume migliaia di Dalmati italiani emigrarono a Zara, Fiume e in Istria perché nel regno dei Serbi, Croati e Sloveni c’era molta intolleranza nei confronti degli italiani.

– Per rispetto della verità storica non dobbiamo pensare che la comunità slava fu oggetto giorno dopo giorno di provvedimenti vessatori e umilianti. Poteva capitare per i villaggi più periferici dell’Istria di non avere mai a che fare con squadre fasciste e burocrati statali, soprattutto negli anni Trenta quando le spinte nazionalizzatrici vengono meno.

– Il fascismo era un regime conservatore che vedeva la campagna come una realtà di stabilità sociale

– Le Leggi Razziali del ’38 non coinvolgono la minoranza slovena. I matrimoni misti non vengono proibiti, anzi si cerca di favorire i matrimoni tra donne slave e membri della milizia o soldati dell’esercito. L’antislavismo è privo di connotati biologici

– In sostanza la politica del fascismo in Istria non è genocida. Trieste e l’Istria al tempo dell’occupazione titina conosceranno ben altre violenze

– Per concludere possiamo dire che i provvedimenti dello Stato italiano non raggiungono nessun obiettivo prefissato: non creano nuovi italiani, non rilanciano economicamente l’area istriana, non obbligano alla partenza minoranze consistenti di allogeni

– Il problema è che la politica del fascismo è contraddittoria tra repressione poliziesca, velleità di “bonifica etnica” con il tentativo di assimilare pacificamente gli”allogeni”

– Si può parlare quindi di fallimento del progetto fascista volto ad italianizzare e in fretta il territorio istriano.

– Però nasce con gli anni l’equivalenza italiano-fascista-ricco possidente con il rifiuto di tutto quello che è italiano

– Si prepara la stagione delle foibe, prima però c’è l’occupazione italiana della Slovenia dall’aprile del ’41, ma qui subentra il prof. Spazzali

-Vorrei chiarire che la mia lettura non vuole essere assolutamente giustificazionista, del tipo: gli italiani in Istria compiono nefandezze, gli slavi si vendicano con le foibe. Le cose non andarono così (lettura uniliaterale).

Quando Tito occupa Trieste non è la vendetta che cerca ma la trasformazione di Trieste da città italiana a città jugoslava infoibando e deportando diverse migliaia di italiani nei lager.

– Ma bisogna anche dire che la politica del regime di Tito è esattamente speculare a quella del governo italiano durante il ventennio fascista.

I parallelismi sono notevoli e sconcertanti:

– per ventanni in Istria non si può parlare slavo? Con il regime di Tito è proibito parlare italiano

– durante il ventennio le scuole slave sono chiuse? Dopo il ’45 sono chiuse le scuole italiane. Gli insegnanti italiani sono cacciati o indotti ad andarsene

– 30/40mila slavi sono emigrati nel corso degli anni Venti, in 12 anni (1944-56) avremo 250-300mila profughi italiani

– se prima sono cacciati i sacerdoti e prelati slavi, dopo il ’45 sono cacciati i prelati italiani, per esempio il vescovo di Gorizia nel ’45 è arrestato ed espulso in Italia. Ma ci sono anche gli omicidi: nel settembre del ’46 è assassinato in Istria don Francesco Bonifacio. Il vescovo Santin nel giugno del ’47 è aggredito violentemente a Capodistria da milizie titine con la polizia che sta a guardare. Lo stesso Santin è un esule (nato a Rovigno, Istria).

Bisogna anche dire che se con il fascismo (nonostante tutto) gli slavi alla fine sono ancora lì (circa 400.000 alloglotti nel ’39), con il regime jugoslavo gli italiani scompaiono letteralmente (esodo).

Bisogna anche dire che se il ventennio fascista è caratterizzato da arresti, licenziamenti, espulsioni, nella primavera del ’45 ci sono le stragi delle foibe e i morti nei gulag di Tito.

Verrebbe da chiedersi, ma allora quale è stato il regime peggiore? Meglio il fascismo del comunismo jugoslavo? Escuderei una risposta di questo tipo, solo ideologica.

Il fascismo lavora in tempi lunghi perché nessuno nel 1920 poteva immaginare la seconda guerra mondiale con la perdita dell’Istria (violenze relativamente contenute nel tempo).

Il comunismo di Tito lavora invece con tempi molto stretti perché vuole mostrare al mondo intero che gli italiani in Istria e a Trieste sono pochi e tutti dalla parte della Jugoslavia. Da qui la violenza esasperata del ’45.

Per concludere direi che bisognerebbe mettere sotto accusa in chiave storiografica i due nazionalismi, quello italiano e quello jugoslavo. Sono stati i nazionalismi (fascista e comunista) a erodere alle radici quel bell’esempio di convivenza di diverse etnie e culture che è stata l’Istria per alcuni secoli, anche all’interno dell’impero austro-ungarico e prima ancora nei domini veneziani.

Alla fine avremo identità stracciate, comunità lacerate e la scomparsa di un mondo rappresentato da diverse culture che convivevano pacificamente (quella italiana, slava, tedesca), un mondo che tanto avrebbe da insegnare all’Europa intollerante di oggi.

Giancarlo Restelli