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La Franco Tosi nel vortice delle deportazioni nei lager (1944-45)

Lo sforzo bellico tedesco, come dimostrato dalla storiografia, è stato reso possibile dall’impiego sempre  più massiccio di braccia straniere; nell’autunno 1944 esse costituivano circa il 33% della manodopera al lavoro, con punte del 46% nell’agricoltura e del 36% nel settore minerario.
Il quadro era complesso, in un contesto che vedeva l’economia di guerra tedesca soffrire di una fortissima carenza strutturale di forza lavoro.  Il nazismo riesumò forme di schiavismo per metterle al servizio dell’industria bellica e dell’accumulazione capitalistica, finalizzata non solo alla follia di Hitler, ma anche ad un progetto che aveva come obbiettivo l’affermazione dell’imperialismo tedesco nell’unificazione europea, ai fini della lotta per la spartizione dei mercati e delle sfere d’influenza a livello mondiale.
Nel Marzo 1943 le principali città italiane, soprattutto quelle in cui le attività della guerra sono concentrate, subiscono da tempo le devastanti incursioni dei bombardieri anglo americani.
L’Italia è in crisi.  Già durante l’estate del 1942 ondate di scioperi spontanei per richiedere aumenti salariali e maggiori quantità di cibo per i lavoratori, percorrono la Romagna.
Il 5 Marzo 1943 alla FIAT di Torino, i lavoratori di una officina incrociano le braccia gridando sciopero.         E’ l’inizio di una stagione di manifestazioni che avrà termine con la Liberazione.
Gli scioperi cominciarono per l’insostenibilità delle condizioni di vita e gli orari di lavoro nelle fabbriche, aggravate dalla continua perdita di valore dei salari reali e dalle nuove necessità imposte dai bombardamenti e dagli sfollamenti, che avevano costretto molti lavoratori a trasformarsi in pendolari, abbandonando la propria abitazione in città.  Il cibo era scarso e razionato  e non c’era nemmeno carbone e legna per le abitazioni.  Anche se le richieste degli operai sono una necessità concreta ed urgente, è innegabile il senso politico di queste richieste.
Gli scioperi si diffondono e si allargano alla zona di Sesto San Giovanni, alla Falck, alla Caproni, all’Alfa Romeo,  alla Brown-Boveri, alla Borletti e alla CGE.   Legnano aveva un apparato industriale tra i più importanti del nord d’Italia oltre a una notevole concentrazione di addetti: accanto alla Tosi c’erano la Cantoni, il cotonificio De Angeli, il cotonificio Dell’Acqua, l’Agosti e poi la manifattura di Legnano, La “società industrie elettriche”, la Bernocchi,, la fabbrica di biciclette Bozzi, , la Pensotti, la Mascheroni e Macchi e tante altre . A Busto c’era la Comerio, con altre fabbriche di primaria importanza nella produzione bellica a vantaggio  dei Tedeschi,  A Castellanza la Pomini , a Saronno un notevole apparato industriale.  Molte di queste aziende erano “protette” , ossia lavoravano per la guerra tedesca.  Da qui la necessità di intervenire per evitare che gli scioperi dilagassero  in tutta la provincia.
Non c’è dubbio che a Legnano  il fulcro delle lotte fosse concentrato proprio alla Franco Tosi ed in particolare al reparto acciaieria.   Iniziando dalla Franco Tosi di Legnano, le agitazioni dilagano nel Legnanese e in tutto il territorio a Nord di Milano.  Fu subito evidente che i nazifascisti decisero di colpire prima di tutto la Tosi per dare un esempio a tutti i lavoratori e troncare cosi la sua funzione trainante.  I tedeschi si presentavano davanti ai cancelli entravano armati nelle officine. Nel Marzo del ‘44 lo sciopero scatta e si espande da Torino , a Milano e tutta la zona limitrofa tra le quali anche Legnano. Da lì si espande anche in Liguria, Emilia e Veneto.  Il 6 Marzo Hitler resosi conto dell’ampiezza del fenomeno e temendo che l’esempio potesse propagarsi, ordinò la deportazione di almeno il 20% delle maestranze coinvolte.

La deportazione da Legnano fu un fenomeno imponente. Poco meno di quaranta lavoratori, prevalentemente operai delle grandi fabbriche di Legnano, soprattutto della Franco Tosi, ma anche della Comerio, della Emilio Bozzi, della Pensotti, conobbero l’arresto, la deportazione nei lager nazisti e spesso la morte.
La deportazione da Legnano avviene in due momenti precisi: in seguito ai fatti del 5 gennaio 1944 nella Franco Tosi e a causa degli scioperi del Marzo dello stesso anno in molte aziende legnanesi, tra cui ancora la Franco Tosi.
Erano ormai alcune settimane in cui c’era molto fermento all’interno dell’azienda. Uno stato di agitazione con frequenti fermate e rallentamenti della produzione era iniziato dalla metà del Dicembre ’43.  Dopo alterni momenti in cui sembrava che le trattative per il miglioramento delle condizioni richieste entrassero in porto , la mattina del 5 Gennaio del ’44  gli operai della Franco Tosi occuparono gli uffici dei dirigenti  e il generale delle SS Otto Zimmermann incaricato speciale per la repressione degli scioperi fu immediatamente informato.
Nel primo pomeriggio del  5 Gennaio due camion con decine di SS varcarono il cancello della Franco Tosi.  Nel piazzale centrale erano radunati tutti gli operai, alcune migliaia.  Reparti fascisti si erano invece collocati all’esterno della fabbrica a presidiare gli ingressi.  In pochi attimi le SS scesero dai camion e posizionarono le mitragliatrici.   Con un altoparlante si ordina ai lavoratori di ritornare in fabbrica.  Nessuno si muove.  Il comandante ordina: ” Fuoco!”   … ma le raffiche fortunatamente sono rivolte in aria.  La massa ondeggia incredula, sbigottita.  Subito dopo scatta la caccia ai rappresentanti sindacali  e ai più noti lavoratori antifascisti.  Bisogna arrestarli per separare i lavoratori dai loro dirigenti sindacali più conosciuti e stimati.   Vengono arrestati una sessantina di lavoratori e portati nel carcere di San Vittore.  Nella notte, reparti tedeschi e fascisti, arrestano alcuni antifascisti legnanesi.   Nel carcere di San Vittore vengono interrogati e dopo alcuni giorni sono tutti rilasciati, tranne otto lavoratori quasi tutti appartenenti alla Commissione interna. Dopo alcuni giorni nel carcere di San vittore gli otto dipendenti della Tosi vennero avviati nel campo di Fossoli. Da lì partirono su vagoni piombati l’otto Marzo con altri seicento lavoratori provenienti dalla Toscana, da Milano e Torino. Giungono a Mauthausen l’11 marzo 44 con il trasporto n°32.  Sono classificati con la categoria “prigioniero politico mandato di arresto per motivi di sicurezza”. Nel Lager venne a loro chiesto il mestiere che esercitavano per sfruttarli meglio fino alla morte.
Di questi sfortunati lavoratori solo uno ritornò, sette morirono a Mauthausen.
I Loro nomi Pericle Cima (ingegnere),  Aberto Giuliani (tecnico) e gli operai Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Sant’Ambrogio, Ernesto Venegoni e Antonio Vitali.  Sopravvisse solamente Paolo Cattaneo che pochi anni dopo perse la vita a seguito dei terribili ricordi del lager.
Hitler era convinto che sarebbe bastato arrestare un migliaio di persone perché tutti gli operai corressero al lavoro con la coda tra le gambe. Non sapeva ancora quanto filo da torcere stavano per dare alle sue armate gli operai e i contadini della Resistenza.
Scrisse il New York Times: In tutta l’Europa occupata non si è verificata nessuna dimostrazione di massa che possa essere paragonata alla rivolta dei lavoratori italiani.  E’ il momento culminante di una campagna di sabotaggi, di scioperi locali e di guerriglia  che ha avuto meno pubblicità di tutti gli altri movimenti di resistenza solo perché l’Italia settentrionale è rimasta isolata dal mondo esterno.  Ma è la prova decisiva che gli italiani, disarmati come sono e in una duplice schiavitù, lotteranno con coraggio indomito quando avranno una causa per cui combattere.
I lavoratori erano consapevoli dei rischi che si assumevano con lo sciopero, arresti, fucilazioni e deportazioni, eppure  risposero con coraggio e ostinazione.  Gli operai volevano dimostrare davanti all’azienda chiusa, o entrando in fabbrica e scioperando una volta entrati, che era proprio lo sciopero che si voleva, sia a sostegno delle proprie rivendicazioni come affermazione di diritti  (richieste di indennità di sfollamento o del caro vita, limitazione dello straordinario) sia come vera e propria sfida all’autorità del regime e dell’occupazione nazista. E per questi obbiettivi valeva la pena di rischiare la propria libertà e la propria vita.
I Nazisti ed i fascisti reagirono a tale mobilitazione  con rappresaglie , deportazioni e fucilazioni.
La seconda ondata di scioperi che provocherà altre deportazioni da Legnano avviene in concomitanza degli scioperi del Marzo 1944 che furono ancora più imponenti degli scioperi dell’anno prima. Gli scioperi del Marzo 1944 hanno costituito la più grande manifestazione di massa mai effettuata nell’Europa occupata dai nazi-fascisti e la Franco Tosi fu una delle prime fabbriche italiane a dare avvio a quel grande movimento di protesta.
Gli scioperi ebbero una chiara connotazione politica “ La pace , via i Tedeschi , via i fascisti”.
Furono 13 persone con  un solo sopravvissuto ad essere deportati a causa degli scioperi del Marzo-Aprile ’44.  Partirono con il trasporto n° 38 da Milano il 6 Aprile del 1944. Persero la vita a Mauthausen e Gusen, alcuni morirono dopo la liberazione di Mauthausen a causa delle pessime condizioni di salute.
Non solo a Legnano vi furono in quelle settimane arresti e deportazioni.  A San Vittore tra Marzo e Aprile furono deportati ben 4 operai di due calzaturifici, piu’ un lavoratore autonomo. Solo uno sopravvisse.  A Cerro Maggiore ci furono sei deportati con tre sopravvissuti (tre donne). A Rescaldina furono deportate 5 operai della Bassetti tutte sopravvissute.
Altre persone furono arrestate e deportate in diversi contesti . Possiamo ricordare Carlo Venegoni, GianFelice Moro , Pierino Venegoni , Candido Poli, Carlo Ciapparelli, Guido Marinoni,  Don Mauro Bonzi sacerdote legnanese deportato a Dachau. che scrisse : <Nel lager sapevo e sentivo di non essere colpevole  che di aver desiderato e fatto qualcosa per non essere schiavi dello straniero>. Quel qualcosa che nella sua umiltà egli tende a minimizzare fu invece grande e generosa offerta di se stesso per la nostra libertà.
Le fabbriche , i grandi e piccoli stabilimenti tessili e meccanici, costituirono il fulcro della Resistenza antifascista nell’Alto  Milanese , come in altre aree industriali.
Negli stabilimenti ad essere colpiti dalla repressione delle SS non furono  solo gli operai, ma anche i quadri,  i tecnici, gli impiegati e in qualche caso anche i dirigenti.  Non solo, accanto ai lavoratori delle fabbriche dove si era scioperato, sui vagoni piombati che andavano verso la morte si trovavano, antifascisti, partigiani, staffette, professionisti, insegnanti , sacerdoti,  rappresentanti in pratica di ogni settore della società italiana. Erano tutti accomunati dall’etichetta di “deportati politici” , anche se la loro colpa era di aver fatto solo il loro dovere di esseri umani opponendosi all’oppressione nazi-fascista o proteggendo persone perseguitate per motivi razziali. E’ grazie al loro sacrificio se l’Italia ha saputo risollevarsi dalla  disfatta della Seconda Guerra Mondiale e rinascere su nuove basi morali.
Non è il  “lavoro”, magari in condizione di schiavi , che rende liberi, ma la  Conoscenza a rendere liberi.  La conoscenza di ciò che fu nella pagina più nera della storia,   ci da’ la consapevolezza del nostro ruolo  nel  mondo di oggi.
Dobbiamo ricordare, perché questo è l’impegno morale verso uomini, donne e bambini, che sono stati annientati fisicamente e interiormente devastati nei campi di sterminio tedeschi, affinché non si ricada negli errori del passato commessi  dall’uomo  contro  l’uomo.
I deportati politici sopravvissuti al lager volevano proiettare nel futuro la costruzione di una società Democratica.  Stiamo attraversando un periodo molto critico della storia del nostro Paese, caratterizzato da una profonda crisi politica ed istituzionale, da una caduta senza precedenti dell’etica pubblica, e dall’allontanamento, che può diventare irreversibile, dei cittadini dalle istituzioni.  Bisogna rilanciare nella società contemporanea i valori per i quali tanti giovani hanno combattuto per la nostra libertà , resistendo sulle montagne,  ma anche nei lager nazisti. I questa delicatissima fase storica la memoria è il valore che ci può salvare.  Ricordare è un dovere soprattutto di questi tempi, in cui la tentazione di dimenticare la storia, e le nostre radici, è ricorrente , spesso mascherata dalla strumentale necessità di una pacificazione universale mediante l’azzeramento del nostro passato.  Noi vogliamo che uomini e donne  siano liberi, ma per essere liberi bisogna conoscere.  E’ fondamentale far rivivere la Memoria e far conoscere alle nuove generazioni una delle pagine piu’ tragiche e tristi, e nel contempo valorose, della nostra storia.              Questi cittadini hanno dato un contributo fondamentale per conquistare la democrazia, la pace, e la Libertà nel nostro Pese.
Presso il cimitero monumentale di Legnano, possiamo vedere il monumento ai deportati nei lager nazisti  Che recita: “ Queste lapidi ricordano nomi che un giorno saranno oscuri del tutto   ne resterà appena una storia di poche parole    erano operai di una vecchia fabbrica  nati o sempre vissuti a Legnano   Chi tornitore, Chi fabbro   chi falegname, chi modellista     uno era perito tecnico, uno studente    uno dirigente, uno filatore di cotone     insomma salariati o artigiani furono presi per rappresaglia.

Dobbiamo conoscere, capire,   e non dimenticare mai gli errori commessi dall’uomo  nel passato
affinché  NON sia il nostro futuro…

Tratto dal Libro:  I Deportati politici dell’Alto Milanese nei lager Nazisti.
di  Luigi Marcon, Giancarlo Restelli, Alfonso Rezzonico.

Stefano Barlocchi
19/01/2016