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Storie di bambini disabili, bambini ebrei e nomadi nella Germania del Terzo Reich

Giorno della Memoria ‘17
Storie di bambini disabili, bambini ebrei e nomadi
nella Germania del Terzo Reich

E’ molto difficile affrontare un tema così doloroso come lo sterminio dei disabili attuato nella Germania nazista durante il secondo conflitto mondiale. Possiamo iniziare chiedendoci che cos’è la memoria e perché è necessario ricordare anche gli eventi tragici.
Sono convinto che la memoria non è solo il semplice ricordare: la memoria storica deve sostanziarsi di conoscenze, di riflessioni, in sostanza è necessario guardare in faccia il crimine.
Possiamo trovare conforto nella tradizione ebraica.
La memoria è resa con il verbo zakàr ma la memoria nel mondo ebraico è un obbligo, è una mitzvà.
Accanto al “Ricorda!” (in forma imperativa / devi ricordare) compare anche il verbo shamòr, che vuol dire “osserva” ed è rivolto a chi è nato dopo e ha il dovere di mantenere la memoria. Osserva vuol dire “capisci”, “ragiona”, “studia e conosci”.
Quindi “Ricorda!” e “Osserva!” non vanno disgiunti. In effetti come è possibile ricordare (avere memoria) se non conosco i fatti? Oppure li conosco superficialmente?
Ecco perché dobbiamo affrontare anche ciò che appare orribile e ripugnante perché altrimenti la nostra memoria sarà sempre debole.
Come premessa all’incontro di oggi vorrei iniziare con le affermazioni di uno storico tedesco-americano che ha conosciuto la deportazione ad Auschwitz. Scrive Saul Fridlander:“Il regime nazista uccise con sistematicità tre gruppi di uomini: ebrei, zingari e i disabili”.

Nell’ambito delle tematiche legate al Giorno della Memoria non c’è dubbio che lo sterminio dei disabili del Terzo Reich sia il meno conosciuto rispetto al genocidio ebraico e allo sterminio dei Sinti e Rom.
Lo sterminio degli ebrei d’Europa ha uno spazio di assoluta premenenza nella memoria d’Europa con sei milioni di vittime. Solo da pochi anni si è cominciato a parlare dello sterminio degli zingari d’Europa con buone ricerche storiografiche che però rimangono confinate a una cerchia di specialisti o di persone interessate a queste tematiche.
Raramente mi è capitato invece di leggere di incontri in Italia dedicati alla terza dimensione dei genocidi nazisti, ossia all’”Akziòn T fiar”, nome in codice indicante il progetto di soppressione dei disabili tedeschi e austriaci del Terzo Reich (T4).
Eppure lo sterminio dei disabili tedeschi fu la prova generale dello sterminio di zingari ed ebrei, le prime procedure di morte (camere a gas e forni crematori) furono progettate e sperimentate sui disabili, quando Auschwitz e Treblinka dovevano ancora nascere.
Lo sterminio dei disabili fu in sostanza una sorta di macabra prova generale di quanto accadde più avanti.

Quindi c’è tutto un lavoro da fare, anche a livello storiografico, soprattutto in Italia, perché le ricerche in lingua italiana sullo sterminio dei disabili sono davvero poche. Più significativa e corposa è invece la ricerca tedesca e di area anglosassone.
Noi questa sera, nel nostro piccolo, vogliamo portare la nostra piccola pietra alla costruzione di questa particolare memoria.
Questa sera racconteremo la storia di alcuni bambini sfortunati, che vennero uccisi poco prima e durante la seconda guerra mondiale nella Germania nazista. Tra di loro bambini disabili (erano “ariani” ma da sopprimere), bambini ebrei da sottoporre a disumani esperimenti pseudoscientifici e bambini vittime dell’odio razziale contro gli zingari.
Cercheremo di capire come tutto questo è avvenuto, dove è avvenuto, con quali mezzi e quali erano le motivazioni del crimine.
 Il Bambino-Knauer
La prima storia che raccontiamo è quella di un bambino tedesco che venne ucciso poche settimane dopo la nascita. Siamo a Posen in Sassonia tra la fine del ’38 e l’inizio del ’39.
La stampa nazista lo chiamò “Bambino-Knauer” dal cognome del padre perché i genitori si erano rifiutati di registrarlo all’anagrafe. Questo bambino nacque con gravi anomalie: era nato senza una gamba e un braccio, anche il cervello era leso.
I genitori non lo vogliono. Anzi chiedono a gran voce al medico di famiglia di ucciderlo. Il medico dice che non può perché non esiste una legge simile in Germania. Il padre non si scoraggia e scrive direttamente ad Hitler.
La lettera del padre arriva sulla scrivania di Hitler il quale intuisce subito le potenzialità di questo caso. Hitler dà l’ordine al suo medico personale, dott. Karl Brandt, di verificare le condizioni del bambino e di somministrare il farmaco che lo avrebbe fatto morire pietosamente.
Il bambino era effettivamente nelle condizioni descritte dal padre e Brandt autorizzò l’uccisione. È il primo bambino ucciso.
La stampa dà molto risalto all’intervento del dott. Brandt. L’opinione pubblica non reagisce (si trattava di un bambino nato gravemente malformato e “idiota”).

L’ultimo ucciso
Sappiamo il nome del primo bambino ucciso, Knauer, e sappiamo anche il nome dell’ultimo bambino ucciso il quale probabilmente fu anche l’ultimo disabile assassinato. Si chiamava Richard Jenne e aveva 4 anni.
Saremmo portati a credere che l’ultimo assassinio sia avvenuto tempo prima della fine della guerra e dell’occupazione americana del territorio tedesco. Non è così.
La guerra finì l’8 maggio del ’45 e per poco meno di un mese continuò a funzionare l’ospedale di Kaufbeuren (Baviera del Sud) uccidendo i bambini. L’ospedale si trovava a meno di mezzo chilometro rispetto al comando americano.
L’ultimo bambino fu ucciso il 29 maggio (!) ’45 da una suora capo-infermiera che negli anni precedenti aveva ucciso circa 210 bambini. Quando fu interrogata dagli americani chiese:“Mi accadrà qualcosa?”.
Medici e infermiere dell’ospedale non erano assolutamente in grado di capire che cosa facevano. Nell’ospedale, definito dal rapporto americano, “Campo di sterminio medico”, c’erano anche suore cattoliche. Fu trovato ancora in vita un bambino di 10 anni che pesava meno di 10 chili.
Tra il primo e l’ultimo ci sono in mezzo altri 5000 bambini.
Prima di assassinare gli adulti disabili si decide di iniziare con i bambini molto piccoli sino all’età di tre anni. E’ più facile perchè il legame con i parenti è meno forte.
Come funziona l’omicidio di Stato?
E’ appena scoppiata la seconda guerra mondiale. Siamo negli ultimi mesi del ’39. Le levatrici e i medici di famiglia dovevano denunciare la nascita di bambini con “malattie ereditarie gravi”. I primari delle cliniche in cui i bambini erano degenti dovevano rispondere ai questionari del Ministero della Sanità del Reich.
A tre medici a Berlino veniva chiesto di leggere ogni cartella clinica e di formulare un giudizio sui singoli bambini. I tre medici agivano senza neppure visitare il bambino (+ / – / “rinvio temporaneo”).
Le uccisioni vennero realizzate in una trentina di istituti pediatrici di tutta la Germania. I primari vennero ampiamente informati di quanto accadeva nei loro reparti.
Ai genitori naturalmente non si diceva niente. I genitori venivano informati dai medici di famiglia (non sapevano del progetto di uccisione) che i loro figli potevano avere nuove cure in ospedali particolari e dovevano dare il loro consenso.
Se i genitori recalcitravano si facevano pressioni su di loro minacciando di togliere loro la patria podestà oppure di inviarli al servizio obbligatorio di lavoro.
I bambini venivano uccisi con dosi sempre più massicce di luminal oppure con dosi mortali di morfina. In altri casi venivano lasciati morire letteralmente di fame oppure le dosi di cibo ridotte ogni giorno conducevano alla morte per fame. Specialità dell’istituto di Egfling-Haar era la morte per fame (dott. Hermann Pfannmuller).
La causa del decesso veniva poi individuata tra le malattie più comuni. Per i bambini ebrei o di “sangue misto” non ci sono problemi, sono uccisi senza neppure avvisare i genitori della loro morte.
Spesso prima di essere seppelliti si prelevavano i cervelli dai bambini e questo dava agli occhi dei medici una parvenza di legalità e di utilità per la scienza.
Capire il funzionamento del cervello per prevenire le malattie ereditarie più pericolose! Per i medici lo studio dei cervelli poteva aprire prospettive di carriera promettenti.
Nella sola prima fase il numero di bambini uccisi fu di 5.000.
È necessario dire che l’uccisione dei bambini piccoli creava meno problemi rispetto agli adulti perché la tenera età dei bambini faceva accettare ai genitori con più facilità la loro morte.
Questi bambini non poterono nascere “due volte” come nel romanzo di Giuseppe Pontiggia (“Nati due volte”): la prima nascita è quella resa difficile dalla loro diversità, la seconda è quella resa amorevole dai genitori.
I bambini tedeschi e austriaci uccisi nacquero una sola volta: a loro fu negata la vita e l’affetto dei loro genitori.
Julius Hallenworde
Possiamo dire senza timore di sbagliare che questa fu una grande stagione per la medicina tedesca, per certi versi irripetibile. Non era mai capitato e mai più accadrà di poter disporre di una quantità praticamente illimitata di organi umani sui quali condurre ogni tipo di esperimento. Uno dei protagonisti fu un illustre scienziato, Julius Hallenworden.
Il suo nome è ricordato in base ai suoi studi condotti insieme ad Hugo Spatz che portarono alla scoperta nel 1922 della cosiddetta “Sindrome di Hallervorden-Spatz”, una malattia infantile degenerativa del cervello. In base alla sua fama Hallervorden occupò la cattedra di Neuropatologia al Kaiser Wilhelm Institut di Berlino (oggi “Max Planck Institut”).
Ad Hallervorden occorrevano cervelli per continuare i suoi studi e colse al volo l’occasione che le vittime dell’eutanasia potevano dargli.
Dopo la guerra Hallervorden stesso fu estremamente esplicito circa la sua conoscenza del progetto di eutanasia . Nell’interrogatorio cui fu sottoposto nel luglio 1945 dichiarò:

“Venni a sapere di ciò che si stava facendo e così dissi loro: «se state uccidendo tutta quella gente almeno prendetene i cervelli in modo che possa essere utilizzato del materiale». Allora mi chiesero: «Quanti ne può esaminare?» ed io risposi che potevo esaminarne un numero illimitato, «Più ce ne sono, meglio è» aggiunsi. (…) C’era materiale meraviglioso in quei cervelli, bellissimi difetti mentali, malformazioni e malattie infantili. Naturalmente accettai questi cervelli. Da dove venissero e come arrivassero a me non era affar mio”.
Insieme con il suo tecnico di fiducia Hallervorden lavorò alla rimozione dei cervelli nei centri di eliminazione. Tuttavia i cervelli messi a sua disposizione spesso non coincidevano con le sue ricerche così Hallervorden diresse personalmente la selezione di alcuni bambini per essere certo che le loro malattie coincidessero con i suoi studi. Per esempio esaminò dettagliatamente 33 bambini e adolescenti prima che venissero uccisi a Brandenburg.
Questi 33 vennero tutti uccisi il 28 ottobre 1940.
La “collezione di cervelli di Hallervorden” non andò perduta. Più di 600 pezzi vennero utilizzati sino al 1990 quando l’Istituto ne ordinò la sepoltura.
Julius Hallervorden non pagò mai alcun prezzo alla giustizia. Al contrario, sino alla sua morte avvenuta nel 1965, fu onorato come luminare della neurologia”.
Eutanasia degli adulti: la T4
Contemporaneamente all’uccisione dei bambini inizia l’uccisione degli adulti.
Il progetto voluto da Hitler nell’autunno del ’39 è affidato al capo della Cancelleria del Fuhrer, Philipp Bouhler e al suo medico personale, Karl Brandt. È evidente l’intenzione di tenere nascosta l’“eutanasia degli adulti” evitando i ministeri, la burocrazia e che l’opinione pubblica venisse a sapere.
Il documento è firmato da Hitler a metà dell’ottobre ’39, data d’inizio della T4.
La struttura di messa a morte dei disabili appartiene quindi alla Cancelleria del Fuhrer e ha sede in una bella villa di Berlino nella Tiergartenstrasse 4 (nome in codice, T4).
Aderiscono al progetto illustri medici e psichiatri i quali avranno il ruolo di formare i giovani e dare autorevolezza al progetto. I medici della T4 evitavano il servizio al fronte.
Dal ministero dell’Interno partono lettere per tutti i manicomi, case di cura e ospedali ai quali si chiedono, oltre a molte informazioni per depistare, una“descrizione precisa delle capacità di lavoro dei pazienti”. I direttori non possono sapere che cosa si cela dietro questa apparentemente richiesta di informazioni.
I familiari erano poi avvertiti del trasferimento del loro caro in luogo segreto a causa della guerra. Tra di loro c’erano anziani, uomini e donne di tutte le età ma anche molti adolescenti.
Giorni o settimane dopo la morte le famiglie venivano informate della morte del loro congiunto (lettere di conforto). Tutte le lettere insistevano sul fatto che la morte aveva liberato paziente e familiari da una grave e irrimediabile situazione.
In realtà invece i pazienti venivano uccisi con il gas in sei strutture messe a disposizione delle SS per attuare i crimini. Si trattava in genere di vecchi castelli o vecchi edifici sufficientemente lontani da occhi indiscreti. Qui erano fatti spogliare e dopo una finta visita medica erano introdotti in una camera a gas dove era si uccideva con il monossido di carbonio.
Come Anpi di Legnano una volta l’anno con studenti e docenti andiamo nel castello di Hartheim, vicino a Linz, dove in poco meno di due anni vennero assassinati con il gas 18.000 persone.
Nonostante i nazisti abbiano fatto i tutto per distruggere i documenti dei crimini, sappiamo che nella prima fase della T4 furono uccise circa 70.000 persone (agosto del ’41). Poi le uccisioni ripresero in tutta la Germaia e continuarono ben oltre la fine della guerra, come abbiamo visto.
Difficile calcolare le vittime. Marco Paolini parla nel suo “Ausmerzen” di 300.000 vittime tra tedeschi, austriaci, disabili e anziani dei paesi occupati dalla Germania nel corso della guerra. Pensiamo a quanto può essere accaduto nei confronti dei vecchi e dei disabili nella Polonia e nella Russia occupate dal nazismo!
Perché tutta questa violenza sulla parte più debole della nazione?
Non basta fare riferimento a una ideologia aberrante quale il nazismo per spiegare quanto è accaduto ai disabili durante tutta la seconda guerra mondiale.
Le uccisioni avevano uno scopo ben preciso: attuare dei risparmi nel momento in cui la Germania era impegnata in una lotta mortale contro i suoi nemici.
La soppressione di alcune centinaia di migliaia di disabili avrebbe portato indubbi vantaggi sul bilancio dello Stato:
– avrebbe permesso di liberare posti letto per i soldati che tornavano dal fronte feriti
– avrebbe convogliato risorse mediche e infermieristiche verso il fronte o a vantaggio della popolazione tedesca
– avrebbe aumentato la dotazione di generi alimentari per i civili
– avrebbe messo a disposizione della scienza cervelli e altre parti anatomiche per studiare e fare esperimenti
Quindi furono considerazioni utilitaristiche (interessi economici) alla base della T4 accanto all’aberrante idea che chi non è in grado di combattere o essere produttivo a livello economico deve essere soppresso. Fare riferimento al “Male Assoluto” nazista non serve, è fuorviante.
Ernst Lossa
La seconda storia che vogliamo raccontare è quella di un adolescente di nome Ernst Lossa. E’ narrata da Marco Paolini in “Ausmerzen”.
Lossa probabilmente era in Germania uno “zingaro bianco”, ossia figlio di vagabondi non zingari che spesso si univano agli zingari veri e propri nei loro vagabondaggi. È inutile dire che nella Germania nazista “legge e ordine” non c’era spazio per chi non aveva lavoro regolare e domicilio riconosciuto dalla legge.
Lossa potrebbe essere definito al massimo un piccolo teppistello di strada, un ragazzo “difficile”, di quelli che oggi hanno il sostegno a scuola e vengono seguiti dai servizi sociali. Ma al tempo dei nazisti questi ragazzi talvolta facevano una brutta fine.
Fatto sta che Lossa dopo essere stato rifiutato da un istituto scolastico perché troppo indisciplinato agli occhi degli insegnanti venne mandato in uno di questi istituti dove si uccideva con la fame. Ma lui mostrò una resistenza e una voglia di vivere che sembravano vanificare ogni sforzo per prostrare le sue energie e portarlo alla morte.
Alla fine, dopo un anno in questo istituto che si trovava nel sud della Baviera, venne avvelenato da un infermiere per ordine del direttore. Quando morì aveva 13 anni.
Paolini racconta la storia di Lossa
I bambini di Bullenheser Damm
L’ultima storia di questa sera è anch’essa orribile e riguarda venti bambini ebrei che finirono prima ad Auschwitz e poi per ordine di Mengele vennero condotti nel lager di Neuengamme (Amburgo) dove vennero sottoposti a esperimenti pseudoscientifici sulla tubercolosi e poi nell’imminenza dell’arrivo degli americani vennero impiccati nella scuola di Bullenhuser Damm ad Amburgo. Sono conosciuti come i “Bambini di Bullenhuser Damm”.
I bambini hanno età diverse (tra di loro c’è anche un adolescente), vengono da diversi paesi europei, soprattutto dalla Polonia. Tra i venti c’è anche un bambino italiano:
– il piccolo Sergio De Simone, nato a Napoli. Ha sette anni / foto
Sergio arriva ad Auschwitz con la mamma, la zia e due cuginette: le due sorelle Bucci, Andra e Tatiana di Fiume / foto
La mamma di Sergio, nativa di Fiume, aveva sposato un ufficiale della marina nato a Napoli. Nel momento in cui iniziò la guerra, rimasta sola a Napoli con il piccolo Simone, decise di tornare a Fiume dove c’erano i genitori e la sorella, la mamma di Tatiana e Andra. Non poteva sapere che Fiume sarebbe diventata una trappola mortale.
Sergio e le due sorelle Bucci sono arrestati con le loro mamme a Fiume alla fine del marzo ’44 e in quanto ebrei la destinazione è Auschwitz. Ad Auschwitz i piccoli sono separati dalle madri e finiscono con altri bambini nel block 11 dove spadroneggia il dottor Mengele.

In genere i bambini che arrivavano ad Auschwitz erano subito uccisi con il gas (improduttivi) ma talvolta servivano per esperimenti condotti dallo stesso Mengele oppure da altri medici.
Mengele si occupava di diverse attività ad Auschwitz:
– presenziava alle selezioni sulla banchina ferroviaria in cui arrivavano gli ebrei (destra-sinistra)
– conduceva in proprio esperimenti per contro del dott. Verschuer / rispettato direttore del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino
– faceva avere a Berlino scheletri e parti organiche per studi ed esperimenti
– smistava le cavie sulla base delle richieste ai suoi colleghi nei vari lager
Una mattina del novembre 1944 Mengele entrò nella baracca 11. Cercava venti bambini da inviare a Neuengamme, un campo di concentramento vicino ad Amburgo, dove un altro collega-criminale, il dottor Kurt Heissmeyer, li avrebbe usati come cavie per suoi esperimenti sulla tubercolosi.
Per evitare resistenze da parte dei bambini, Mengele era abituato a dire: «Chi vuole vedere la mamma, faccia un passo avanti…». I bambini che fecero il passo in avanti partirono su un treno per Neuengamme. Tra di loro Sergio de Simone. Andra e Tatiana, invece, si salvarono perché avvertite da una kapò di non cadere nella trappola. Avvertirono Sergio ma lui non volle credere alle due cuginette.
Renata
Arrivati a Neuengamme, attraverso una prima incisione sotto l’ascella, i venti bambini vennero infettati con bacilli vivi della tubercolosi, capaci di scatenare la malattia in forma molto violenta. Tutti ne furono colpiti. Alcuni vennero sottoposti ad altri interventi, tra cui l’asportazione di ghiandole linfatiche.
Questi tormenti proseguirono fino al 20 aprile 1945 quando, con gli inglesi alle porte, i nazisti si preoccuparono di cancellare ogni traccia. Fu allora che i venti bambini vennero trasportati nella scuola di Bullenhuser Damm presso Amburgo. E, nella cantina di quell’edificio, furono impiccati senza pietà, come “quadri alla parete”.

Concludiamo con una poesia di Maria Lazzaro, tratta dal libro Venti Farfalle e una nuova primavera.

Bullenhuser Damm
Ogni farfalla ha un nome.
Le ho dato il nome che Iddio ha scelto
le ho dato il nome il cui eco risuona in Cielo.
Ogni farfalla ha un nome.
Il nome è inciso nella Paura.
Il nome fu stretto crudelmente in un cappio.
Ho trovato venti farfalle nel mio roseto…
Nei nomi ho raccolto il vuoto che hanno lasciato.
Li dono al mondo intingendo un pennino centenario
nell’inchiostro colorato perché gli anni spezzati
con le valigie arrivate ad Auschwitz
possano realizzare sogni di Pace.
Le mie farfalle hanno un nome pregno d’amore.