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Viaggio nella Memoria

Un viaggio nella Memoria

5 – 9 maggio 2011

Si è appena concluso il pellegrinaggio in cinque lager nazisti promosso dall’Amministrazione Comunale di Legnano con la collaborazione dell’Anpi della nostra città. Hanno preso parte docenti e studenti delle scuole superiori di Legnano: Liceo “Galilei”, Istituto “Barbara Melzi”, Istituto “Dell’Acqua”, Istituto Tecnico “Bernocchi” e Istituto Professionale “Bernocchi”.

La delegazione legnanese ha visitato i lager di Dachau, Mauthausen, Ebensee, Gusen ed Hartheim. In rappresentanza dell’Anpi Carlo Botta, il Consigliere Giuseppe Marazzini ha rappresentato il Comune.

MAUTHAUSEN: l’INFERNO

 

“Sulla scala della morte non ho mai voluto salire,

lì dove migliaia di prigionieri, quando cadevano

e ruzzolavano giù per i gradini, venivano

da altri prigionieri calpestati.

Arrivato lì al primo gradino rimango come una statua,

e un nodo mi prende alla gola,

e mi pare di sentire migliaia e migliaia

di voci sommesse che mi dicono:

– Amico e compagno di tante sofferenze,

tu che hai avuto la fortuna di tornare,

non calpestarmi, non farmi male –

Quinto Calloni, “Triangolo Rosso” deportato a Mauthausen

Centottantasei gradini scavati nella roccia viva, centottantasei impervie difficoltà da superare più volte al giorno con zaini pesanti più di cinquanta chilogrammi.

Centottantasei stazioni della “via crucis“ quotidiana: la fatica disumana resa ancora più delirante dalla fame, dalla sete, dal caldo d’estate, il freddo, le nerbate e le risate oscene degli aguzzini.

L’essenza di Mauthausen è proprio la “scala della morte“ più che la camera a gas, i forni crematori, la cupa stanzetta degli “esperimenti medici“.

Gli spazi interni del lager, perfettamente conservati, generano ancora oggi momenti di angoscia tra le migliaia di visitatori.

Forni, camere a gas e camini da cui si “usciva“ dal lager in cenere sono purtroppo presenti in molti campi di sterminio. La “scala della morte“ invece esiste solo a Mauthausen e connota in maniera irreversibile l’immagine che rimane in noi dopo la visita.

C’ è una fotografia nel museo del lager che è agghiacciante: si vedono centinaia di disperati occupare tutto lo spazio della scala, gradino dopo gradino, con in spalla l’insopportabile peso (fino a 50 chilogrami).

Sappiamo dalle testimonianze che i kapò e le SS di sorveglianza in cima alla scala talvolta si divertivano a vedere cadere come birilli parecchi deportati: bastava far perdere l’equilibrio a uno e la sua caduta trascinava gli altri con effetto dirompente. E per chi cadeva, schiacciato dai sassi e dai compagni, c’era il colpo alla nuca.

Si racconta anche che nel punto più alto, dopo la famigerata scala, a volte le SS scatenavano i loro cani contro i prigionieri ammassati vicino al precipizio. Per gli ultimi, spinti indietro dalla massa che tentava di sfuggire ai cani, c’era un salto verso la morte di almeno trenta metri.

Si racconta…  ma tutto ciò è vero. Ci sono le testimonianze degli scampati, talvolta delle SS e dei kapò nei tribunali del dopoguerra.

E’ normale che in noi ci sia un po’ di scetticismo di fronte a questi racconti. Noi pensiamo che il male abbia sempre un argine, un limite al di là del quale non si possa andare.

L’errore, purtroppo, è proprio questo: presupporre che il Male assoluto, annidato nella storia tragica del Novecento, potesse essere annichilito dalla religione, dalla morale, dalla civiltà, dalla cultura…

Niente di tutto questo: il Male assoluto è l’assoluta violenza, l’infinita crudeltà e il totale arbitrio dell’ uomo nei confronti dell’ uomo dilatato nel tempo (il xx secolo) e nello spazio (dalla guerra anglo-boera d’inizio Novecento fino ai massacri nell’ ex-Jugoslavia, Ruanda, Burundi…  Irak) coinvolgendo tutti i continenti.

Eppure la fortezza di Mauthausen sorge in un luogo bellissimo. E’ un’Austria da cartolina, come quella che sfila davanti a noi in pullman mentre ci avviciniamo. Anzi dal pullman l’Austria sembra di una bellezza senza fine: il paesaggio è leggermente ondulato, vediamo belle casette immerse nel verde, boschi, foreste, corsi d’ acqua in spazi regolati sapientemente dall’ uomo. Anche in altri lager abbiamo notato la bellezza del paesaggio circostante: il verde dei prati e l’azzurro del cielo sono spesso i colori dominanti.

Ma queste sono considerazioni di persone che come me sono ben nutrite e visitano i lager come escrescenza tragica della storia del Novecento. Per i detenuti che arrivavano alla stazione ferroviaria di Mauthausen di notte, dopo trasferimenti lunghi e sfibranti, spesso affamati e lordati dai propri escrementi, il paesaggio circostante non era né bello né brutto. Semplicemente non esisteva un “oltre“ il lager: nella loro anima c’era solo il campo con la fame, i pidocchi, il freddo, il terrore e l’avvilimento quotidiano.

Il lager, la baracca, la branda (da dividere spesso con altri), le poche cose custodite con cura (il cucchiaio, la gamella, il berretto…) erano tutto il loro mondo al di là del quale non esisteva niente perché nulla poteva esserci dopo il filo spinato.

Tra le mura di Mauthausen ogni Haftlinge era solo una diafana parvenza, una pallida larva, un infimo essere vivente.

“Ma Dio dov’è,  dove è Dio, dimmi!”

don Andrea Gaggero, sacerdote cattolico deportato a Mauthausen

Mauthausen

Campo di concentramento austriaco creato nel 1938 e liberato nel maggio del ’45. Sebbene non si trattasse di un campo di sterminio in senso stretto, circa due terzi dei 200.000 internati vi trovarono la morte a causa delle esecuzioni, del lavoro forzato, delle condizioni di vita disumane, della fame e delle malattie. Nei primi anni di guerra pochi ebrei venivano deportati a Mauthausen; gli internati erano perlopiù detenuti politici, repubblicani spagnoli, soldati spagnoli, soldati sovietici e prigionieri di guerra provenienti da vari paesi europei. Nel 1944 i tedeschi vi trasportarono molti prigionieri ebrei provenienti dai campi di Auschwitz, Plaszòv e Gross-Rosen, e nel ’45 da quelli di Bergen-Belsen, Buchenwald e Dora-Mittelbau, in corso di evacuazione.

da “Viaggio in un mondo fuori dal mondo: Dachau, Mauthausen, Ebensee, Gusen ed Hartheim” di Giancarlo Restelli