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Il Genocidio Armeno

Il Genocidio Armeno

di Betty Bozzi

È all’esordio della Grande Guerra (1914-1918), appena a un anno di distanza dal suo scoppio (il conflitto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’Impero Austro-Un­ga­ri­co al Regno di Serbia in seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo, e si concluse oltre quattro anni dopo, l’11 novembre 1918), che si compie, nell’area dell’Impero Ottomano (ca. 1300-1922), il GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO, perpetrato per quasi tutta la durata del conflitto, cioè dal 1915 al 1917 (con gravi pròdromi già dal 1894) e completato dal 1920 al 1922.

Un genocidio che ancor oggi la Turchia non riconosce (come del resto molti stati della comunità internazionale) e che il mondo intero ha per molto, troppo tempo, cancellato dalla sua memoria.

La parola “genocidio” d’altronde sarà usata per la prima volta dall’ONU, nel 1946, e stigmatizzata nella sua accezione profonda, nel 1948.

Il Novecento si apre con due grandi stermini ideologicamente basati sul predominio di “razza”: quello dei popoli Herero e Nama, perpetrato dai colonizzatori tedeschi in Namibia dal 1904 al 1906, e quello appunto degli Armeni (1915-1917).

Non può sfuggire alla nostra osservazione come il XX secolo sia stato connotato da due guerre mondiali e dai genocidi, efferati massacri di dimensioni epocali, come fu la “fabbrica della morte” messa in atto dal nazismo contro svariate categorie di persone, dove spiccano per le assolute motivazioni razziste l’immensa Shoah (la Desolazione), lo sterminio di 6.000.000 di Ebrei e il Porrajmos (il Divoramento) cioè lo sterminio di 500.000 fra Rom e Sinti.

Il METZ YEGHÉRN, il Grande Male, il Grande Crimine, così lo chiamarono gli Armeni, fu una delle prime (preceduta solo di pochi anni, come dicevamo, da quella degli Herero e dei Nama) pulizie etniche (per usare un terribile ed espressivo termine del tutto moderno), di un secolo che si è appena concluso con altri simili recenti orrori nel mondo, dopo aver attraversato due guerre globali e la Shoah, e senza apparentemente averne tratto insegnamento.

Spesso ci poniamo la domanda: come fu possibile? Come è possibile?

Nessuna motivazione fanatico-religiosa (l’unica differenza coi crimini nazisti del Genocidio Armeno sta in una pretestuosa islamizzazione delle fasce più deboli, donne e bambini, al fine recondito di un futuro asservimento) né di rozza barbarie può colmare il vuoto che lascia la domanda, se si pen­sa per esempio al contesto culturale e progredito europeo in cui agiva la Germania di Hitler.

La sola risposta che rimane è un’amara considerazione: questa radicata e secolare cultura, quella dei nazionalismi razzisti, che ha nutrito tutti i massacri del Novecento, è stata quasi sempre cavalcata dai “governi”, dagli uomini di stato.

Orrori pianificati e scientifici volti ad affermare la presunta superiorità e il dominio di una “civiltà” su un’altra, una “civiltà” che cancella dapprima la vita e poi la storia delle sue vittime.

DALLA “QUESTIONE ARMENA” ALLA “QUESTIONE EBRAICA”

(L’ANTISEMITISMO DI HITLER) (1)

Vi è una famosa frase di Adolf Hitler (ne esiste il documento) pronunciata in un discorso rivolto agli alti comandanti dell’e­sercito tedesco, a Obersalz­berg, il 22 agosto del 1939, in vista del­l’im­mi­nente invasione della Polonia, una frase agghiacciante:

“Chi parla ancora oggi dell’annientamento degli Armeni?”

(“Wer redet noch Heute von der Vernichtung der Armenier?”)

“Siate duri, siate spietati, agite più in fretta e più brutalmente degli altri”, raccomandò inoltre Adolf Hitler.

Queste parole contengono tutta la spiegazione, la risposta già introdotta alla domanda epocale “come fu possibile?” e contengono anche tutto il negazionismo già in atto, perché la sopravvivenza di una dittatura e del suo predominio dipendono esclusivamente dall’esaltazione-nega­zione dei crimini commessi.

Una contraddizione in effetti, ma esaltare significa anche distorcere in modo abnorme la realtà più terrificante.

E Hitler citò persino Gengis Khan, esaltando le sue gesta, poiché “aveva mandato a morte milioni di donne e bambini, pienamente con­sapevole e a cuor leggero, per ridisegnare il mondo secondo la sua volontà” (ne giustificava cioè il fine). Concluse poi facendo un parallelo con lo sterminio degli Armeni, affermando che “il mondo l’aveva non solo dimenticato ma anche accettato” (ecco la contraddizione “esaltare-negare”) “perché il mondo crede soltanto al successo”.

Hitler aggiunse di dover “proteggere il sangue tedesco dalla contaminazione, non soltanto del sangue ebreo ma anche di quello armeno” (Henry Picker, Hitlers Tigespraeche In Führerhauptquartier, Stoccarda 1977).

È interessante da considerare a questo proposito, l’alleanza turco-tedesca allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, che vide moltissimi ufficiali del Kaiser agire all’interno dei confini dell’Im­pero Ottomano e quindi entrare a far parte del­l’impianto politico-militare turco, che era governato dal­l’Ittihad, il partito dei Giovani Turchi, fautori del progetto di “Una Turchia per soli Turchi”, progetto chiaramente razzista che tendeva a eliminare le minoranze.

Sicuramente sappiamo che i consiglieri tedeschi furono complici dei Giovani Turchi nella fase di pia­nificazione dello sterminio. Questo fatto potrebbe aver consolidato il legame ideologico con l’av­vento del nazismo e il nascente antisemitismo tedesco.

BREVE STORIA DEL POPOLO ARMENO (2)

Nel quadro del primo conflitto mondiale, si compì dunque in Turchia il genocidio del popolo armeno, attuato, con la complicità dei consiglieri tedeschi, dal governo dei Giovani Turchi, che prese il potere nel 1908.

Ma per comprendere l’avvenimento dobbiamo risalire di molti anni, dopo aver collocato geograficamente e raffigurato culturalmente il popolo armeno.

L’etnia armena è presente in Anatolia fin dal VII secolo a.C., l’Armenia è situata fra l’Eufrate e il Caucaso, attorno a tre laghi.

Il popolo armeno parla una sola lingua, di radice indoeuropea, ed è unanimemente cristiano, fin dal VI secolo d.C., gli Armeni sono da considerarsi quindi dal punto di vista etnico e culturale una vera nazione, cioè un unico, ben distinto gruppo sociale, di quell’area geografica.

Non si può dire lo stesso purtroppo dal punto di vista di un proprio governo, l’unità politica e la propria indipendenza la raggiunsero solo dopo la tragedia del genocidio, alla fine della Grande Guerra.

Nei secoli, gli Armeni attraversarono lunghi periodi di soggezione ad altri popoli.

L’ultimo loro regno sul suolo storico risale all’XI secolo, seguito da un successivo florido regno in Cilicia (di fronte a Cipro), scomparso nel 1375. Da allora gli Armeni non furono mai più uno stato indipendente, fino al 1918.

La maggioranza degli Armeni si trovava all’epoca dell’Impero Ottomano ad est dell’Eufrate e in Cilicia, con altre comunità sparse, la più importante proprio a Costantinopoli, dove erano rappresentati dal Patriarca, di fronte alle autorità.

L’Impero Ottomano, uno dei regni più estesi e duraturi della storia, riuniva sotto di sé popoli diversissimi fra loro per cultura, religione e lingua, era cioè un impero multinazionale dai confini estesissimi. Avendo Costantinopoli come capitale e quindi un vasto controllo sulle coste del Mediterraneo, fu il fulcro dei rapporti tra Oriente e Occidente per circa sei secoli.

L’impero Ottomano, all’epoca della sua entrata in guerra, aveva già perso moltissimi possedimenti, e comprendeva ormai soltanto la Turchia, parte del Medioriente e l’Iraq.

Finché il sultanato fu forte, protesse anche le minoranze, in cambio della sudditanza.

Ma già dal 1821, con l’insurrezione della Grecia e il lungo conflitto che seguì fino al 1832 che la portò poi all’indipendenza, iniziò lo smembramento dell’Impero, nonché il timore che le ribellioni potessero dilagare alle minoranze etniche.

L’Impero era ormai in decadenza e sopravviveva solo in funzione delle mosse politiche di quelle potenze europee che temevano la sua caduta nelle mani di altri stati rivali. Nel frattempo iniziò uno straordinario risveglio culturale degli Armeni che abbozzavano programmi di emancipazione.

1894-1896 – ABDUL-HAMID II, OVVERO I PRÒDROMI DEL GENOCIDIO  (2)

Anche se l’evento genocidario ebbe di fatto una precisa collocazione temporale, poiché fu “pianificato” in quel momento storico, sarebbe comunque un errore considerare la sua storia come isolata nel drammatico momento contingente – la guerra – e non affrontarla invece nel suo complesso svolgersi all’interno di un impero secolare che si andava spegnendo, e saltarne così le tragiche fasi precedenti e conclusive, nonché esentare dal doveroso giudizio dei posteri, tutti i colpevoli.

È proprio quello che volevano i suoi autori, farlo avvenire e scomparire, mentre il mondo era sconvolto dal conflitto.

Ma la sua storia parte da lontano.

Partiamo dal 1876, quando salì al trono il sultano Abdul-Hamid II (Il Sanguinario), chiamato anche Ulu Hakan (Divino Khan) dai suoi sostenitori, e Sultan Rouge (Sultano Rosso) dai suoi oppositori (i Giovani Turchi e i loro simpatizzanti stranieri).

Abdul-Hamid II iniziò il suo regno (che durerà dal 1876 al 1909), in una fase tur­bolenta, che lo vedeva alle prese con le forti ribellioni curde e con la necessità di regolamentare e dare un freno alla crescita culturale e politica della comunità armena, che faceva passi da gigante.

Pensò di concentrare gli Armeni in sei vilayet (sei distretti) e ciò alimentò una forte spinta organizzativa nella comunità, con la nascita di molti nuovi partiti politici, una minaccia alla sua reggenza.

Il sultano allora decise di risolvere “questione curda” e “questione armena” con un piano crudele: tenne a bada i Curdi arruolandoli in un’organizzazione militare specializzata proprio nella repressione degli Armeni, e trasformandoli negli spaventevoli e famosi Hamidiés (dal suo nome, Hamid).

Le spedizioni ebbero inizio nel 1894, col primo massacro nella regione di Sassun, al quale seguì purtroppo una vera e propria pianificazione dell’operazione (che doveva continuare!), manovrando l’opinione pubblica e alimentando i fanatismi religiosi opposti, e che durò fino al 1896, con un numero di vittime fra le 200.000 e le 300.000 e molte conversioni forzate all’Islam, oltre che con migliaia di Armeni in fuga dall’Impero.

A questo punto iniziò ad organizzarsi la Resistenza Armena.

1909 – IL PANTURCHISMO E I “VESPRI DI CILICIA” (2)

Abbiamo visto come il Novecento sia stato sferzato dai venti dei nazionalismi razzisti, già ben radicati nella cultura della vecchia Europa.

Ma anche in Turchia cominciava a delinearsi allora una particolare tendenza nazionalista, quella che sfo­cerà nel 1913 nel panturchismo (dottrina derivante dal panturanismo, da Turan, l’Asia Centrale, luogo da cui originavano i Turchi) che considerava la “razza” turca come superiore e auspicava la sua presenza esclusiva in area anatolica, pensiero opposto al­l’ot­tomanismo, che invece raccoglieva e tentava di tenere unite molte etnie diverse sotto l’Im­pero.

E SULL’ONDA DI QUESTA TENDENZA, NEL 1908 SCOPPIÒ UNA RIVOLTA, UN VERO COLPO DI STATO GUIDATO DAL COMITATO UNIONE E PROGRESSO (“ITTIHAD VE TERRAKI”), IL PARTITO DEI GIOVANI TURCHI, PROPRIO I NAZIO­NALISTI CHE OPERERANNO POI IL GENOCIDIO NEL 1915.

Il nuovo partito inizialmente piacque agli Armeni, che non capirono l’inganno. UNIONE E PROGRES­SO era una forza riformista ed era fondata sul laicismo, proponeva un rinnovamento, e gli Armeni ebbero anche dei vantaggi da questo cambiamento. Ottennero dei riconoscimenti politici, come uno statuto, e nei sei vilayet la situazione apparentemente migliorò.

Ma nell’aprile del 1909, il sultano Habdul-Hamid II, che era stato da subito relegato a un ruolo puramente simbolico, venne destituito e sostituito dal fratello, Mehmet V, complice dei nazionalisti.

E già da quell’aprile, in Cilicia avvenne il secondo massacro, con circa 30.000 vittime, i cui autori non vennero riconosciuti e accusati nemmeno dagli Armeni stessi, che riponevano ancora fiducia nel nuovo governo. Questo sanguinoso episodio passò alla storia col nome di VESPRI DI CILICIA.

I GIOVANI TURCHI CHE NON EBBERO UNA GIUSTA E IMMEDIATA OPPOSIZIONE ALLE LORO AZIONI CRIMINALI, TROVARONO COSÌ LA STRADA SPIANATA PER UNA DITTATURA MILITARE, DIRETTA GIÀ DAL 1913 DA TRE “UOMINI FORTI”: DJEMAL, ENVER E TALAAT, MINISTRI RISPETTIVAMENTE DELLA MARINA, DELLA GUERRA E DEGLI INTERNI.

Il panturchismo, cioè l’affermazione della presunta superiorità turca sugli altri popoli e della sua esclusiva presenza in territorio anatolico, era in piena attuazione.

1914 – ENTRATA IN GUERRA DELLA TURCHIA: I MASSACRI CONTINUANO (2)

Le repressioni si fecero sempre più cruente, assumendo un volto ormai ufficiale, quello della dittatura in atto. E così come il Sultano Rosso aveva istituito le truppe degli Hamidiés, i Giovani Turchi dopo l’agosto del 1914 avviarono la terribile e altrettanto famosa OS (Organizzazione Speciale), diretta da due medici, Nazim e Chakir.

Da questo momento ogni pretesto fu cercato e trovato per sopprimere gli Armeni, la guerra offriva uno scenario favorevole a questo fine.

L’Impero Ottomano entrò in guerra alleato alla Germania, all’Impero Austro-Ungarico e al Regno di Bulgaria.

Enver, il Ministro della Guerra, si lanciò in una folle campagna contro la Russia che finì nel disastro. Il capro espiatorio furono gli Armeni, che erano circa 2.000.000 nel­l’Impero Ottomano e circa 1.500.000 in Russia, dunque divisi militarmente in campi avversi. Alcuni rari gruppi di armeni anatolici passarono effettivamente al servizio della Russia, anche se la stragrande maggioranza combattè volontariamente per l’Impero Ottomano in questa campagna. Ma questo non bastò a salvarli: i Giovani Turchi utilizzarono a pretesto i pochi che erano passati dall’altra parte.

In un crescendo di terrore, già a partire dal gennaio del 1915 incominciò il disarmo totale degli Ar­meni. Si incominciava a sospettare l’arrivo di nuove andate repressive e nuovi sporadici massacri confermarono purtroppo questi timori.

Fu allora che gli ufficiali armeni, scampati ai massacri, nella primavera del 1915 tentarono di organizzare la Resistenza, momento che ebbe episodi di topico eroismo.

Passa alla storia la città di Van, dove in aprile, alcune migliaia di civili armeni disarmarono la guarnigione turca e si barricarono fra le strade, per molti giorni, combattendo e resistendo strenuamente, per essere infine liberati a maggio dal soccorso della cavalleria russa. Ebbe successo anche la resistenza sul massiccio montuoso del Musa Dagh (Golfo di Alessandretta)

(cfr. Http://www.homolaicus.com/storia/contemporanea/Armenia/genocidio.htm)

Fu proprio la resistenza della città di Van, il pretesto per dare il via al “genocidio perfetto”.

1915-1917 – METZ YEGHÉRN (IL GRANDE MALE) (2)

Tragico fulcro di questa storia, è la cosiddetta Grande Retata, che ebbe luogo nella capitale stessa, e la sua data segna oggi la commemorazione del genocidio.

All’alba di sabato 24 aprile 1915 (Giornata della Memoria Armena) vennero arrestati i maggiori esponenti della rappresentanza politica e culturale armena di Costantinopoli.

L’operazione proseguì per circa un mese: più di 1000 persone, fra intellettuali (giornalisti, scrittori, poeti come Daniel Varujan, il massimo esponente del “Rinascimento Armeno”) e deputati al Parlamento (Krikor Zohrab, tradito da Talaat, il Ministro degli Interni, che si fingeva suo amico) furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo il percorso.

Nel frattempo, anche in Anatolia Orientale si procedeva con le deportazioni, che venivano propagandate come provvisorie e finalizzate per mettere in salvo la gente dalle zone vicine al fronte di guerra, il luogo di destinazione doveva essere la Siria, ad Aleppo. Ma pochissimi vi arrivavano, morivano quasi tutti di fame, sete, angherie, stupri, torture, uccisioni, lungo il percorso. In tre mesi il “lavoro” era quasi ultimato, e alla fine di luglio del 1915 erano letteralmente scomparsi gli Armeni (da più di 1.000.000) dal­l’Anatolia Orientale.

Poi fu la volta delle zone ad ovest, in particolare la Cilicia. I deportati giungevano ad Aleppo e da qui venivano inviati nei deserti siriani e della Mesopotamia. La località desertica di Deir ez Zor è rimasta a simbolo del genocidio, per la morte atroce che vi trovarono gli Armeni, inghiottiti dalla sabbia in una lenta agonia.

Alla fine del 1916 i soli sopravvissuti al Metz Yeghérn erano gli Armeni di Costantinopoli e di Smirne, e i circa 300.000 che avevano seguito l’esercito russo nella sua ritirata.

La questione armena (due parole che ce ne ricordano immediatamente altre due, la questione ebraica della Germania nazista) poteva dirsi risolta.

1920-1922 – MUSTAFA KEMAL: IL COMPLETAMENTO DEL GENOCIDIO (2)

Mustafa Kemal, detto Atatürk, (il Padre dei Turchi), nacque a Salonicco nel 1881 e morì a Istanbul nel 1938.

Militarepolitico turco, fondatore e primo Presidente della Repubblica Turca (19231938), considerato l’eroe nazionale turco, avallò e completò l’opera criminale dei Giovani Turchi, sia con nuovi massacri contro gli Armeni (e i Curdi), sia con la negazione delle responsabilità dei crimini commessi.

Mustafa Kemal fu indubbiamente un innovatore, e sicuramente la Turchia deve molto a colui che fu promotore della grande Assemblea Nazionale di Ankara (1920).

Sconfisse i Greci (1919-22) e l’esercito del Califfo (autorità religiosa islamica), portando così la Turchia all’unità e all’indipendenza.

Decaduto dunque nel 1922 il sultano Mehmet VI (che regnava dalla morte del fratello maggiore, Mehmet V, avvenuta nel 1918), Kemal fondò la Repubblica (1923) attuando riforme molto importanti, fondamentali per l’evoluzione dell’ordinamento turco, su basi sociali di modello occidentale, avverse alle ingerenze religiose nella guida dello stato, una forma politica e di pensiero che da lui prese il nome di kemalismo, un pensiero laico, assolutamente moderno e avanzato.

“Abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, la domenica come giorno festivo, proibì l’uso del velo Islamico alle donne nei locali pubblici (legge abolita solo negli anni 2000, dal partito Islamico moderato al governo), adottò l’alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l’uso del fez e del turbante, troppo legati al passato regime, così come la barba per i funzionari pubblici e i baffi alla turca per i militari. Egli stesso prese a vestire in abiti occidentali, ma mantenne l’Islam temporaneamente come religione di Stato, per non turbare eccessivamente i Turchi più religiosi. In ambito giuridico, abrogò ogni norma e pena che poteva ricollegarsi alla legge Islamica, promulgò un nuovo codice civile che aveva come modello il codice civile svizzero, e un codice penale basato sul codice italiano dell’epoca, ma mantenne la pena di morte. Furono inoltre legalizzate le bevande alcoliche e depenalizzata l’omosessualità. Al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dello stato, istituì tuttavia un sistema autoritario fondato sul partito unico, che sarebbe rimasto in vigore fino a dopo la sua morte. Inoltre, secondo la costituzione kemalista, a guardia della laicità contro i possibili tentativi dei movimenti Islamici, venne posto l’esercito stesso, autorizzato a colpi di stato per difendere la secolarizzazione. Nonostante la Turchia fosse rimasta intrinsecamente conservatrice, soprattutto a livello popolare, le riforme di Mustafa Kemal la avvicinarono sensibilmente all’Europa” (Wikipedia).

Moderno, laico, innovatore, ma non dimentichiamo, ex Giovane Turco e generale dell’e­ser­cito, formato quindi nelle idee nazionaliste e panturchiste più estreme. Fu infatti implacabile repressore delle opposizioni e operatore di pesanti violenze contro sia Curdi che Armeni.

“La repressione di Kemal esplose quando il Trattato di Pace, firmato a Sèvres il 10 agosto 1920, menzionò espressamente le responsabilità turche e mise l’impero sul banco degli imputati. In una fase in cui stava divenendo il capo indiscusso della riscossa nazionalista, Kemal adottò una linea strettamente ‘patriottica’ e sostenne la spedizione militare contro ‘l’Ar­­menia Libera e Indipen­dente’, che era stata costituita alle frontiere con la Russia nel maggio 1918” (Wikipedia).

I PROCESSI (2)

Dopo la guerra, in seguito alla disfatta ottomana, i responsabili del genocidio fuggirono, riparando principalmente in Germania, loro alleata al fronte.

Il loro processo avvenne nel 1919 a Costantinopoli, sotto la direzione di Damad Ferid Pascià, lo scopo del processo era quello non di una vera giustizia, ma di sollevare la nazione turca (e anche il suo nuovo eroe nazionale, Kemal), dal peso morale di questo crimine, accusando sì coloro che lo avevano compiuto, ma sapendo che questo non li avrebbe condotti in carcere.

Infatti, gli autori furono condannati, ma non fu richiesta alcuna estradizione alla Germania, e i verdetti vennero in seguito annullati.

Fu tuttavia molto importante avere il processo, poiché agli atti ci sono molte testimonianze raccolte, che hanno un grande valore storico incancellabile, e che nel dettaglio ristabiliscono il quadro efferato di come si svolsero gli eccidi (come le uccisioni per annegamento nel Mar Nero, per esempio).

Di fronte alla riluttanza delle autorità turche e alleate a eseguire le sentenze, si formò in seguito un’or­ganizzazione segreta di giustizieri armeni che eliminarono alcuni dei più feroci esecutori e mandanti, fra cui lo stesso Talaat (Ministro degli Interni), ucciso per strada nel 1921 a Berlino da Solomon Tehlirian. Nel successivo processo tenuto proprio a Berlino, il tribunale assolse Tehlirian, dopo aver ascoltato le testimonianze terrificanti sugli eccidi compiuti dai colpevoli.

JOHANNES LEPSIUS (UN TESTIMONE IMPORTANTE) (2)

Uno dei principali testimoni al “Processo Tehlirian” fu il tedesco Johannes Lepsius, un uomo di fede, un missionario che aveva visto già coi suoi occhi i primi massacri, quelli compiuti dal Sultano Rosso, Lepsius aveva raccolto tutto in un diario di viaggio.

Tornò poi a Costantinopoli nel 1915 e documentò tutto il resto.

I suoi scritti furono un atto d’accusa fondamentale.

“La sua opera, la relazione sulla situazione del popolo armeno in Turchia, è stata censurata il 7 agosto del 1916, tuttavia oltre 20.000 copie sono state inviate in tutta la Germania prima che la censura fosse applicata. Una delle opere più importanti di Lepsius è Germania e Armenia 1914-1918: raccolta di documenti diplomatici, che è considerato il documento principale sul Genocidio Armeno” (http://it.wikipedia.org/wiki/johannes_lepsius)

ARMIN THEOPHIL WEGNER (UN GIUSTO) (3)

“La mia coscienza mi chiama a testimoniare. Io sono la voce degli esuli che urla nel deserto” (Armin Theophil Wegner)

Armin Theophil Wegner (Elberfeld, 1886 – Roma1978) fu un altro testimone-­chiave al “processo Tehlirian”, quando dimostrò la portata e l’orrore dei massacri (i documenti del clamoroso processo furono poi raccolti in un libro, Justicier Du Génocide Armènien: Le Procès De Tehlirian, nella cui prefazione Wegner accusò dei crimini il governo ottomano, affermando che il popolo turco “non si sarebbe mai macchiato di un simile reato”).

Volontario dell’esercito tedesco allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (laureato in Giurisprudenza, ma anche paramedico, decise di entrare come volontario del Servizio Sanitario) fu infatti testimone diretto della deportazione e dello sterminio degli Armeni.

Armin Wegner, a rischio personale, consegnò al mondo le prove del Genocidio Armeno, non solo attraverso lettere e scritti, ma con una documentazione fotografica ricchissima, divenuta ormai patrimonio-memoriale famoso in tutto il mondo.

Negli anni del nazismo si oppose anche alle politiche antisemite di Hitler, scrivendogli un coraggioso, appassionato appello in nome degli ebrei tedeschi.

“Non c’è Patria senza giustizia”.

Questa frase contenuta nel testo della let­tera a Hitler, rac­chiude da sola tutto il valore morale della sua vita, ed è particolarmente importante se si considera l’a­scendenza prussiana di Wegner che risaliva con certezza fino ai tempi delle Crociate, facendo di lui un “fiero tedesco”.

Naturalmente fu perseguitato dal regime nazista per la sua opposizione. Imprigionato e torturato dalla Gestapo, venne poi trasferito in un lager e successivamente in altri. Dall’ultimo lager riuscì a fuggire e giunse a Roma dove visse fino alla fine dei suoi giorni.

Armin Wegner fu insignito del più alto “Ordine al Merito” dal Governo Federale Tedesco, nel 1956. Nel 1962 la sua città natale gli conferì il prestigioso premio “Eduard-von-der-Heydt”.

Inoltre, Giusto della Memoria Armena ed Ebraica, venne iscritto come “Giusto fra le Nazioni” presso lo Yad Vashem, il museo israeliano della memoria della Shoah, nel 1967, e un anno dopo fu invitato in Armenia dal Catholicos di tutti gli Armeni (Arcivescovo della Chiesa Armena) e insignito del­l’ “Ordine di San Gregorio l’Illuminatore”.

Wegner nel dopoguerra divenne un attivista pacifista. Morì il 17 maggio 1978 a Roma all’età di 92 anni. Parte delle sue ceneri furono in seguito portate in Armenia per essere onorate con un funerale di stato postumo, presso la “Fiamma Eterna” del Memoriale del Genocidio Armeno.

LA QUESTIONE RELIGIOSA (UN PRETESTO?) (2)

Esiste una lettura, un’interpretazione storiografica alquanto diffusa, che sostiene la teoria di una “guerra religiosa” alla base di questo genocidio, supportata dall’effettivo accadimento di terribili e famosi episodi criminali (di cui esistono i reportage fotografici), di eloquente matrice anticristiana.

Ma analizzando bene i fatti, l’accanimento anticristiano sembrerebbe pretestuoso e secondario rispetto alle finalità nazionaliste laiche dei Giovani Turchi.

In realtà il problema non era sbarazzarsi dei cristiani, ma degli Armeni, per ristabilire l’assoluta dominanza turca nell’area anatolica.

Anche se i cristiani in quanto tali potevano rappresentare effettivamente un ostacolo alla realizzazione del progetto pan­turchi­sta, che aspirava al dominio della nazione turca sul­l’area anatolica e cioè a una riunione delle popolazioni turche sotto il profilo culturale e quindi anche religioso (l’I­slam), dobbiamo però tener presente che il partito dei Giovani Turchi era soprattutto una forza lai­ca, non interessata a spinte religiose fondamentaliste, e notare ad esempio che anche i Libanesi (popolazione araba culturalmente mista, composta sì da cristiani ma in grandissima parte anche da musulmani, in numero quasi identico), furono a loro volta perseguitati dal suo governo.

“L’impero deve essere ripulito dagli Armeni e dai Libanesi.

Noi abbiamo distrutto i primi con la spada, di­strug­ge­re­mo i secondi con la fame”

disse Enver, Ministro della Guerra, nel 1916.

Se il problema fosse stato davvero l’intolleranza religiosa in quell’area, come spiegare allora la solidarietà di Siria, Libano, Iran, nei confronti degli Armeni, quando questi vi si rifugiarono? Questi Paesi pur essendo allora formalmente nell’Impero Ottomano, accolsero e nascosero i profughi.

La sopravvivenza degli Armeni deve molto a questa accoglienza.

Ad Aleppo, per esempio, in Siria, i discendenti degli scampati al genocidio compongono una numerosa comunità, che ha convissuto finora in armonia con la popolazione araba(2).

(Oggi purtroppo la grave crisi politica che sconvolge la Siria e il conflitto civile in atto si ripercuotono anche sulla comunità armena in Siria, che vive il terrore quotidiano come tutti i cittadini siriani, unito allo sconforto di un’antica a­micizia minata da nuovi contrasti religiosi. Esiste un sacrario-memoriale, la Chiesa dei Martiri Armeni, voluta dalla comunità armena, a Deir er Zor, il tragico luogo desertico della Siria dove venne inghiottito dalle sabbie l’ultimo gruppo di Armeni mandati lì a morire, un monumento che testimonia l’orrore e custodisce i resti delle vittime. Da parte siriana, farlo erigere fu un riconoscimento. Di recente il mo­numento è stato devastato dagli attacchi dei fondamentalisti islamici e pochissimi ne hanno parlato, un atto di rimozione, che fa parte della negazione del genocidio).

E vediamo anche, ad esempio, come in Libano gli Armeni abbiano rilevanza sociale e politica (e d’al­tronde questa è un’amicizia consolidata da quando anche i Libanesi dell’Anatolia, abbiamo visto, furono nel mirino del pan­turchismo).

Il nodo del genocidio non fu dunque la religione e parte degli Armeni non “ebbe salva la vita abbracciando l’Islam”, come molto spesso è stato detto, mistificando.

Questo fatto è smentito da un documento che gli Inglesi scoprirono nel 1919, chiamato I Dieci Co­mandamenti, una serie di punti in elenco, stilati dal governo dei Giovani Turchi.

Il punto 5 dice testualmente:

“Applicate le misure necessarie per sterminare tutti gli uomini di meno di cin­quant’anni,

i preti e gli insegnanti, e risparmiate le ragazze e i bambini,

in vista della loro Islamizzazione”.

Islamizzazione solo rivolta alle fasce più deboli, non ai fini di una fanatica conversione, ma per un pratico e preciso utilizzo.

Le fasce deboli infatti, sarebbero state tornate utili alla Turchia: come manodopera nel caso dei bambini, negli harem nel caso delle giovani donne.

CONCLUSIONI (4)

Il Genocidio degli Armeni, perpetrato dai nazionalisti turchi dell’Impero Ottomano (1915-1917) e quello dei popoli Herero e Nama (che lo precede di solo qualche anno) perpetrato dai colonizzatori tedeschi in Namibia (1904-1906), sono stati i primi del XX secolo.

Questi stermini ci appaiono tanto più sconvolgenti in quanto non furono atti di semplice barbarie ma vennero studiati in ogni loro dettaglio.

Il Genocidio Armeno fu pianificato tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, con la complicità di consiglieri tedeschi, alleati della Turchia al­l’interno del primo conflitto mondiale.

Nella propria terra-madre, la terra di appartenenza, dove identità e cultura armena fiorirono e si radicarono nel corso di più di duemila anni, scomparve quasi completamente un popolo (le vittime furono 1.500.000 su circa 2.000.000).

La pianificazione di uno sterminio di tale portata, il cui fine fu chiaramente quello dell’an­nien­ta­mento, non dimenticò di cancellare insieme alle vite umane anche le tracce culturali della loro passata presenza su questa terra.

Sistematicamente venne distrutto quasi tutto il patrimonio culturale armeno, su 3500 meravigliose opere d’arte, ne rimasero circa 500, tutto il resto scomparve agli occhi del mondo.

Dal genocidio scaturì la grande diaspora. Gli Armeni si rifugiarono in molte parti del mondo, in par­ticolar modo va segnalata l’accoglienza umana degli attuali Paesi circostanti l’area anatolica.

Ancor oggi la Turchia non riconosce il Genocidio Armeno, e delle vittime ammette solo un numero molto inferiore che attribuisce alle epidemie e ai disagi della guerra. Negli anni la Turchia produsse anche falsi documenti storici, negazionisti. Ad Istanbul e ad Ankara, l’attuale capitale, ci sono vie e piazze dedicate ai principali responsabili dello sterminio degli Armeni. Ad Istanbul esiste persino un mausoleo dedicato alla memoria di Talaat, Ministro degli Interni, considerato un eroe.

L’atteggiamento delle autorità turche non è mutato nei confronti degli armeni residenti ad Istanbul, che subiscono ancor oggi isolamento psicologico e vessazioni.

Vergognoso è stato il silenzio degli stati cosiddetti democratici nel mondo, e delle grandi potenze che non sono mai intervenute.

Solo nel 1985 il Genocidio Armeno è stato formalmente riconosciuto dall’ONU e in seguito (1987) anche dal Parlamento Europeo.

La Francia è stata il primo Paese in Europa a denunciare pubblicamente il genocidio, fatto che ha scatenato la reazione della Turchia con ritorsioni economiche nei suoi confronti.

Oggi il Parlamento Europeo ha posto quale condizione all’ingresso della Turchia nella Comunità Eu­ropea il riconoscimento del Genocidio Armeno.

Questo genocidio resta, oltrechè impunito, un crimine dimenticato da molti Paesi, e in parte disconosciuto.

“La questione del riconoscimento del genocidio coinvolge non solo Armeni e Turchi ma la coscienza di ciascuno nella ricerca di restituire una verità storica e una memoria viva, attraverso cui risarcire le vittime e riprendere un percorso di dialogo e convivenza possibili”.

(http://www.italiarmenia.it/sito/index.php?option=com_content&view=article&id=75&Itemid=12)

POSIZIONE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE (dati da Wikipedia)

Questa è la lista dei Paesi che insieme all’Armenia ad oggi hanno ufficialmente riconosciuto il genocidio:

Spiccano tristemente molti “grandi assenti”.

Il Congresso degli Stati Uniti ha finalmente però approvato, a marzo 2010, una risoluzione che chiede al Presidente Obama il riconoscimento di tale tragedia.

I GIUSTI (5)

Dopo i genocidi del Novecento e l’eroismo dimostrato da chi con abnegazione aiutò i perseguitati, è maturata nel mondo la volontà di riconoscere il valore di queste persone, i Giusti.

Il Giardino dei Giusti è un parco, un luogo di raccoglimento e di memoria, dedicato appunto a tutti coloro che si sono opposti con responsabilità individuale e con gran­de coraggio ed esposizione personale, mettendo a repentaglio la propria vita, ai cri­mini contro l’umanità e ai totalitarismi.

In questi giardini i Giusti vengono ricordati da lapidi che riportano i loro nomi e la loro storia di eroismo, e da alberi piantati in loro nome.

Molti sono i Giardini dei Giusti nel mondo, e in Italia sono una quindicina, con sede in svariate città.

Ne scegliamo uno, il GIARDINO DEI GIUSTI DI PADOVA, perché a differenza di altri, esclusivamente dedicati alla memoria di un unico genocidio, questo invece ne contempla diversi, avvenuti nel mondo.

Dal suo memoriale ricordiamo alcuni no­mi dei Giusti più famosi della storia del Genocidio Armeno, e riportiamo la motivazione e la data dell’iscrizione.

Nel loro nome onoriamo tutti i Giusti a noi sconosciuti, e con essi il popolo armeno:

Giacomo Gorrini: console di Trebisonda al tempo del genocidio, testimone oculare degli eventi, compì ogni possibile tentativo per salvare almeno donne e bambini, ma con risultati purtroppo limitati. Tuttavia una volta in Italia, divenne una delle voci di denuncia più forti ed efficaci, tanto che con il suo operato contribuì al riconoscimento del genocidio come crimine di diritto internazionale (5 ottobre 2008)

Armin Theophil Wegner: sottotenente tedesco in Mesopotamia durante il conflitto mondiale, nonostante il rigido divieto delle autorità e gli enormi rischi, scattò centinaia di fotografie nei campi di raccolta dei deportati, fornendo la più ampia documentazione fotografica del genocidio. Una volta rientrato in Germania, continuò una strenua azione di denuncia, lottando per render giustizia al popolo armeno (5 ottobre 2008)

Ayse Nur Zarakolu: intellettuale e attivista per i diritti umani nell’odierna Turchia, ha lottato fino alla morte, av­venuta nel 2002, per il riconoscimento del Genocidio Armeno, pubblicando assieme al marito libri sul­l’argomento tutt’oggi tabù nel suo Paese (5 ottobre 2008)

Hasan Amca: ufficiale di origine circassa, operò efficacemente per salvare oltre un migliaio di Armeni dallo sterminio e per denunciare, con determinazione e coraggio, gli orrori commessi dalle autorità ottomane (18 ottobre 2009)

Elizabeth e Jakob Künzler: testimoni oculari del genocidio e operatori sanitari a Urfa, esponendo sé stessi ad enormi rischi prestarono aiuto a un grande numero di Armeni, assistendo malati e feriti e salvando molti orfani (18 ottobre 2009)

Henry Morgenthau: ambasciatore statunitense a Costantinopoli dal 1913 al 1916, fece quanto era in suo potere per cercare di bloccare il progetto genocidario e, una volta tornato negli Stati Uniti, denunciò con la massima risonanza il crimine umanitario commesso in Anatolia (17 ottobre 2010)

Hrant Dink: scrittore e giornalista armeno e cittadino turco, si è battuto con determinazione per la costruzione di un dialogo tra Armeni e Turchi, per la crescita democratica del suo Paese e, nella rivista bilingue armeno-turca da lui fondata, “Agos”, ha trattato senza reticenze il tema del Genocidio Armeno. È stato assassinato da un giovanissimo sicario, di fronte alla redazione del suo giornale, il 19 gennaio 2007 (17 ottobre 2010)

UNA DEDICA

Nazim Hikmet, uno dei più importanti poeti turchi dell’epoca moderna, na­cque a Salonicco nel 1902, e fu una voce di dissenso.

Alla fine del primo conflitto mondiale fu costretto ad espatriare per motivi politici e per la sua pub­blica denuncia del Genocidio Armeno; riparò in Russia.

Al suo ritorno in Turchia entrò nel Partito Comunista Turco e nel 1929 scontò 5 anni di carcere per affissione irregolare di manifesti.

Venne poi condannato a 28 anni di carcere nel 1938, con l’accusa di incitamento alla ribellione, per le sue dichiarazioni antinaziste e antifranchiste.

In carcere, dove venne torturato, in seguito a uno sciopero della fame si ammalò di cuore.

Venne scarcerato nel 1950 dopo le pressioni in suo favore di intellettuali di fama internazionale.

Morì di infarto nel 1963 in Russia, dove era tornato a vivere da esiliato.

Il comunista romantico (così era chiamato) era capace di ridere e piangere, di soffrire e di cantare e di amare insieme.

“E cantava – raccontava di lui Pablo Neruda, suo amico – prima piano e poi sempre più forte, a squarciagola, per farsi forza e rispondere così ai suoi torturatori. Cantava in mezzo agli escrementi delle latrine, dove lo avevano costretto a stare dopo averlo fatto camminare fino all’esaurimento delle forze”.

La poesia ALLA VITA venne scritta in carcere.

ALLA VITA

LA VITA NON È UNO SCHERZO.

PRENDILA SUL SERIO

COME FA LO SCOIATTOLO, AD ESEMPIO,

SENZA ASPETTARTI NULLA

DAL DI FUORI O NELL’AL DI LÀ.

NON AVRAI ALTRO DA FARE CHE VIVERE.

LA VITA NON È UNO SCHERZO.

PRENDILA SUL SERIO

MA SUL SERIO A TAL PUNTO

CHE MESSO CONTRO UN MURO, AD ESEMPIO, LE MANI LEGATE,

O DENTRO UN LABORATORIO

COL CAMICE BIANCO E GRANDI OCCHIALI,

TU MUOIA AFFINCHÉ VIVANO GLI UOMINI

GLI UOMINI DI CUI NON CONOSCERAI LA FACCIA,

E MORRAI SAPENDO

CHE NULLA È PIÙ BELLO, PIÙ VERO DELLA VITA.

PRENDILA SUL SERIO

MA SUL SERIO A TAL PUNTO

CHE A SETTANT’ANNI, AD ESEMPIO, PIANTERAI DEGLI ULIVI

NON PERCHÉ RESTINO AI TUOI FIGLI

MA PERCHÉ NON CREDERAI ALLA MORTE

PUR TEMENDOLA,

E LA VITA SULLA BILANCIA

PESERÀ DI PIÙ.

NAZIM HIKMET

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

(1)     Cfr. la relazione di Marco Tosatti al Convegno-Dibattito “Storie senza Storia: gli Armeni”,

a cura dell’ANED – Casa della Memoria di Roma, 22 aprile 2009.

(2)     Cfr. Claude Mutafian, Metz Yeghérn – Breve storia del Genocidio Armeno, Guerini e Associati, Milano,

Prima ed. 1995.

(3)     Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/armin_theophil_wegner

(4)     Cfr. http://www.comenius-multiculturalism.eu/armenian/genocidio.html

(5)     Cfr. http://www.italiarmenia.it/sito/index.php?option=com_content&view=article&id=84&itemid=70