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La guerra a quota 2000. La guerra sul Pasubio

La guerra sul Pasubio

appunti

La guerra sul Pasubio è qualcosa che va al di là del semplice episodio. Dal maggio del’16 si combattè accanitamente fino alla fine della guerra, in spazi ridotti (poche centinaia di metri tra una postazione e l’altra), con un altissimo numero di vittime a più di 2000 metri e quindi in un ambiente molto difficile in ogni stagione.

Ma la guerra sul Pasubio è passata alla storia anche per le straordinarie opere compiute dai due eserciti con l’obiettivo di prevalere. La Strada delle 52 gallerie, la Strada dgli Eroi, l’incredibile reticolo di gallerie nei due Denti avversari, la guerra di mine con numerosi tentativi di annientare la presenza del nemico in cima al massiccio.

Il massiccio del Pasubio si trova in provincia di Vicenza esattamente nel punto di confine tra Veneto e Trentino. Cento anni fa il Pasubio divideva l’Italia rispetto all’Austria-Ungheria.

Il confine italo-austriaco nel ’14 sembrava una lunga S rovesciata

Partendo dallo Stelvio il confine correva sulle vette più alte del gruppo Ortles-Cevedale e dell’Adamello-Presanella (toccando i 4000 metri di quota) per poi scendere a sud verso il Garda di cui tagliava la punta settentrionale . Poi il confine risaliva dalla Val d’Adige verso il Pasubio fino a sopra Asiago. Superata la Valsugana il confine saliva verso nord-est toccando la Marmolada e Cortina d’Ampezzo per poi unirsi alle vette delle Alpi Carniche. Successivamente il confine scendeva verso sud a Cividale verso l’Adriatico seguendo in gran parte il tortuoso percorso dll’Isonzo.

Nel medio Isonzo finivano le grandi vette e il confine correva per ampi tratti lungo il fiume fino a Gorizia e lungo il Carso dove vennero combattute le battaglie più sanguinose.

Questo vuol dire che dallo Stelvio fino all’Adriatico, per 650 km, si estendeva una continua linee di trincee e fortificazioni da una parte e dall’altra e per 550km, almeno fino al medio Isonzo, la guerra era combattuta su cime che andavano dai 1000 ai 3600m.

Non aveva tutti i torti il re quando nel suo messaggio alla nazione così si rivolgeva ai soldati la vigilia del 24 maggio del ’15: “Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarlo”.

Non occorre essere esperti di cose militari per vedere il pericolo rappresentato dal cuneo trentino capace di minacciare l’esercito schierato prevalentemente lungo l’Isonzo.

La strategia di Cadorna del resto privilegiava lo sfondamento nella zona di Gorizia o Monfalcone (medio-basso Isonzo) quale condizione per giungere presto a Trieste-Lubiana e poi porre fine alla guerra marciando su Vienna dopo una o due battaglie di annientamento dopo lo sfondamento iniziale.

Il settore trentino invece interessava poco Cadorna perché sapeva che sarebbe stato molto difficile marciare su Trento perché alle difficoltà del territorio era necessario fare i conti con poderose strutture di difesa (ben sette grandi forti che sbarravano la strada verso Trento) che gli austriaci avevano preparato già agli inizi del Novecento nonostante Italia e Austria appartenessero alla stessa alleanza.

Inizia la guerra

Il 24 maggio iniziò l’avanzata italiana lungo tutta la linea confinaria non ostacolata più di tanto dagli austriaci i quali abbandonarono piccoli tratti di territorio per attestarsi meglio alla difesa.

Si è molto discusso sui primi giorni della guerra italiana e sulla lentezza dell’esercito italiano il quale, soprattutto al di là dell’Isonzo, avrebbe potuto occupare facilmente cime che poi costeranno molto sangue.

Anche nel settore trentino c’è un’avanzata italiana che permette di fronteggiare da vicino le fortificazioni austriache a protezione di Trento. Intanto il confine si allontana dal Pasubio e per un anno la situazione lì è tranquilla diventando retrovia dello schieramento italiano in Vallarsa. Anche Asiago vede la guerra allontanarsi molto.

La “Spedizione punitiva”

Nel maggio del ’16 però c’è una svolta ed è la “Strafe Expedition” austriaca (“spedizione punitiva”) con l’obiettivo di sfondare nel Trentino, in particolare tra l’Adige e il Brenta,  e cogliere alle spalle l’esercito schierato sull’Isonzo.

A voler fortemente questa spedizione fu il Capo di Stato Maggiore, generale Conrad, il quale voleva da una parte punire l’Italia del “tradimento” della Triplice e dall’altra buttare fuori l’Italia dalla guerra con una manovra napoleonica.

I tedeschi furono subito ostili alla spedizione ritenendola difficile e con poche possibilità di successo: le tante montagne da conquistare, la resistenza italiana, la difficoltà di avanzare su un terreno difficile come quello trentino, la possibilità da parte di Cadorna di spostare con i treni parte dei soldati dall’Isonzo. In effetti le cose andarono proprio così.

Ma all’inizio la manovra austro-ungarica fu improvvisa e poderosa con il rischio di arrivare alla pianura vicentina e da lì manovrare con più facilità.

Cadorna ebbe le sue responsabilità perché aveva sottovalutato le tante informazione che a lui giunsero di offensiva austro-ungarica e poi perché non previde quelle sistemazioni a difesa che avrebbero reso difficile l’avanzata austriaca. In sostanza in Trentino il nostro esercito era pronto per un’offensiva e non per la difensiva.

L’inizio delle operazioni è il 15 maggio e per 15 giorni circa gli austriaci avanzano costantemente e ovunque il ripiegamento italiano avviene con fenomeni di resa al nemico e di rapida fuga dei reparti.

La guerra torna al Pasubio e diventa una tragica realtà ad Asiago completamente distrutta dai cannoneggiamenti austriaci.

La nuova linea al 16 giugno ’16 è molto precaria: con un ulteriore balzo gli austriaci arriverebbero a Recoaro, Schio, Thiene, Bassano. Poco più lontane sono Verona, Vicenza, Padova…

Da qui l’importanza estrema che ebbe il Pasubio (con altre cime) fino alla fine della guerra per sbarrare il passo al “nemico”.

Certo la controffensiva italiana tra giugno e luglio permette di riconquistare un po’ di territorio perduto ma la linea del Pasubio non cambia.

Il punto di maggiore frizione tra i due eserciti è tra il Dente italiano e il Dente austriaco: nella selletta che separa i due “denti” corre il filo spinato, ci sono le trincee più avanzate e sono puntate le mitragliatrici. Cima Palon è italiana così come l’area immediatamente a sud  che diventa fondamentale per alimentare la guerra in alto.

Per arrivare a cima Palon c’è una strada: è la strada degli Scarubbi da Passo Xomo e Bocchetta Campiglia. Il problema però è duplice: d’inverno c’è la neve e spesso le valanghe e poi è quasi tutta sotto il fuoco del nemico. Se si vuole sbarrare il passo in cima al Pasubio è necessario costruire a tempo di record una duplice strada al riparo di neve, valanghe e soprattutto sottratta al controllo dl nemico.

Fu così che nacquero due strade che ancora oggi suscitano meraviglia: la Strada degli Eroi dal Pian delle Fugazze fino al rifugio Papa e soprattutto, ancora più ardita, la Strada delle Gallerie o della I Armata, totalmente al riparo dal fuoco nemico e utilizzabile tutto l’anno anche durante l’inverno e al riparo (essendo spesso in galleria) dalle valanghe che avrebbero rallentato il costante rifornimento in cima di uomini, cibo e armi.

Caretteristiche delle due strade

Per alimentare questa strana guerra di posizione a più di 2000 metri che riproduceva in piccolo la paralisi sul fronte dell’Isonzo fu costruita la famosa “strada delle 52 gallerie”, che è una delle costruzioni più mirabili dei reparti del genio italiano durante la G. guerra.

Questo percorso ha inizio a Bocchetta Campiglia a m. 1216 e arriva fino al rifugio Achille Papa (poco più di 1900) ai piedi della cima dominata dai due Denti.

La strada fu costruita durante la primavera–estate del ’17 e completata prima della fine dell’anno.

In totale la strada è lunga 6550 metri scavati nella roccia, sono state perforate 52 gallerie per un totale di 2280 metri. La larghezza minima della strada è di 2.20m, normale 2.50. La pendenza media è del 12%. In qualche tratto arriva al 22%.

Tra le gallerie più spettacolari, che danno la misura della complessità del tracciato, c’è la 12° lunga 95m., la 19° galleria è lunga 320 metri e si arrampica all’interno della roccia in 4 spirali rischiarata da alcuni grandi finestroni.

La 20° è forse la + spettacolare. Lunga un centinaio di metri, supera un consistente dislivello di 50 metri inerpicandosi a tripla spirale all’interno di un picco conico fino sbucarne presso la sommità. Notevole è anche la 34° lunga 132m. Il paesaggio uscendo dalle gallerie è spettacolare con profondi canaloni a strapiombo.

Le gallerie furono aperte lavorando giorno e notte utilizzando mine e martelli perforatori (con lunga punta perforatrice) e macchine perforanti il cui funzionamento era assicurato dall’aria compressa proveniente da impianti a valle.

La tecnica era questa: i martelli foravano le pareti rocciose fino ad ottenere un canale cilindrico entro i quali venivano inserite cariche di gelatina esplosiva. Spesso gli uomini lavoravano sospesi nel vuoto per collocare i candelotti di dinamite. Furono aperte anche numerose finestre per l’areazione e l’illuminazione.

Furono costruiti a completamento gallerie accessorie per postazioni d’artiglieria, muri di sostegno e ricoveri, baracche e magazzini, furono installate numerose teleferiche per il trasporto di materiali.

La strada era percorribile in condizioni di assoluta sicurezza. Era protetta a valle da una particolare ringhiera formata con funi metalliche, inoltre vi erano piazzole di sosta e lungo il percorso furono sistemate delle baracche contenenti attrezzi e viveri; speciali protezioni dalle valanghe e slavine furono costruite nei tratti rientranti dei canaloni.

La strada era percorribile in ogni condizione meteorologica (grandi nevicate, valanghe), al coperto della vista e dal tiro nemico.

La Strada degli Eroi

Per facilitare l’afflusso di uomini, materiali, cannoni (alcuni 149), venne costruita anche la cosiddetta “Strada degli eroi” che parte dal Pian delle Fugazze e raggiunge il rifugio Papa come la strada delle 52 gallerie.

La Strada degli eroi conta altre 11 brevi gallerie (per un totale di 1 km).

Anche la Strada degli eroi fu completata alla fine del ’17. L’obiettivo era costruire un grande anello di strade che permettesse la difesa del Pasubio e la costante alimentazione della guerra di fronte alle postazioni austriache.

Il generalissimo Cadorna definì la “Strada delle 52 gallerie”, “Impresa da giganti, che nessun’altra opera eguaglia su tutta la fronte europea”. In questo aveva sicuramente ragione.

La guerra tra i due “Denti”

Il punto nevralgico dell’intero schieramento sono i due denti che si fronteggiano minacciosi. Il Dente italiano è leggermente più alto di quello austriaco.

Notate che dalla cima Palom si arriva allo Sbocco Cadorna tutto in galleria. Chi si fosse avvicinato alle postazioni austriache non protetto dai camminamenti sotterranei sarebbe stato colpito dal fuoco nemico.

Notate anche le tante gallerie che si dipartono dai rispettivi settori perché ad un certo momento, di fronte alla inutilità degli attacchi classici all’arma bianca e dei cannoneggiamenti si crede che l’unica possibilità di uscire dall’impasse sia la guerra di mina di cui parleremo tra poco.

Prima che si tentasse di vincere con la guerra di mine, come si combatteva e si moriva in cima al Pasubio?

Si moriva nello stesso modo di altri fronti: con attacchi frontali che il nemico poteva ribattere con fucili, mitragliatrici, cannoncini stando al coperto e contando sui reticoli del filo spinato.

La guerra di mine

Dopo i primi sanguinosi tentativi da parte italiana di conquistare la posizione austriaca durante il ’16, nel ’17 è il momento della “guerra di mine”, che interesserà tutto il fronte italo-austriaco con il brillamento di 33 mine di varia potenza, che pur portando alcune volte all’occupazione della posizione nemica, non risulteranno mai decisive per la guerra.

L’obiettivo della “guerra di mine” era quello di scavare profonde gallerie sotto le trincee avversarie per farle poi saltare assieme ai difensori e così conquistarle.

Un lavoro durissimo che mise a dura prova sul piano fisico (le lunghe gallerie da scavare) che psichico (la paura di venire improvvisamente travolti da una mina nemica).

La guerra di mine fu più dura in cima al Pasubio con una continua attività di mina e contromina per intercettare la mina avversaria prima che questa fosse fatta esplodere.

Mina e contromina

Dal settembre del ’17 sul Pasubio vi fu un’impressionante serie di scoppi (5 mine italiane e 5 austriache).

La prima mina austriaca scoppiò il 29 settembre del ’17 provocando la morte di una trentina di soldati.

Il 2 ottobre ’17 scoppiò la contromina italiana (16 tonnellate di gelatina) con effetti grandiosi: ci fu l’escavazione di un imbuto di 40 metri di diametro e 20 di profondità. Il 13 febbraio del ’18 una mina austriaca provoca la morte di 54 soldati.

La terribile esplosione del 13 marzo ’18

Il 13 marzo 1918 ci fu l’esplosione di una grandiosa mina austriaca caricata con 50.000 kg di esplosivo (la più potente della guerra) che devastò l’avanposto italiano del Dente causando anche il brillamento della mina che gli italiani avevano nel frattempo predisposto. Nonostante il carattere terrificante dell’esplosione il Dente italiano rimase inattaccabile. Gli effetti furono così sconvolgenti che finì da ambo le parti la guerra sotterranea.

Nessuna di queste esplosioni fu risolutiva perché nessun lavoro di mina riuscì ad arrivare sotto il Dente avversario. I lavori di contromina riuscirono sempre a evitare la perdita della posizione fortificata (Dente).