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25 aprile 2018

Una riflessione sul 25 Aprile
“Una volta al secolo, qualcosa di serio e di pulito
può accadere anche in questo Paese”
Giorgio Agosti, partigiano

Non è facile scrivere a proposito del 25 Aprile, il rischio è cadere nella retorica e nulla uccide la storia più della retorica. Cercheremo di proporre un percorso diverso che privilegi aspetti oggi poco noti o addirittura dimenticati di quegli anni.
Quale immagine abbiamo maggiormente presente quando parliamo della Liberazione d’Italia? Sicuramente le sfilate dei partigiani nelle città liberate oppure una delle tante fotografie nelle quali vediamo singoli partigiani pronti al combattimento.
La guerra in montagna è stata una componente forte della lotta resistenziale che ha coinvolto decine e decine di migliaia di italiani dall’8 settembre del ’43 fino al 25 Aprile ‘45.
I partigiani hanno scritto pagine epiche e innumerevoli sarebbero i fatti d’arme da ricordare.
Eppure se ci fermassimo alla lotta partigiana in montagna o in città non avremmo un quadro completo della Resistenza, che chiama in causa altre memorie oggi da riscoprire.
La Resistenza militare
I 650.000 militari italiani finiti nei campi di prigionia tedeschi rappresentano una di queste memorie.
Sappiamo come andarono i fatti. L’improvviso annuncio dell’armistizio con gli anglo-americani da parte di Badoglio (8 settembre ’43) fece precipitare nel caos il nostro esercito e i soldati si sbandarono nel tentativo spesso non riuscito di tornare a casa da tutti i fronti di guerra in cui si trovavano. I tedeschi disarmarono con una certa facilità i nostri reparti e centinaia di migliaia di soldati furono tradotti negli Stalag, ossia nei campi di prigionia per i militari.
Tanti gli IMI (Internati Militari Italiani) legnanesi. Un nome per tutti: il comm. Luigi Caironi, internato nel lager di Hammerstein.
Qual è il legame con la Resistenza?
Con un coraggio che ancora oggi ci appare eroico la maggior parte dei nostri soldati disse “No!” a ogni proposta di arruolamento nelle milizie di Salò che avrebbe permesso loro di ritornare in Italia. Seppure educati nel fascismo i nostri ventenni seppero dare una lezione di dignità a quella classe dirigente italiana che dal re ai ministri del governo Badoglio non seppe far altro che fuggire davanti ai tedeschi abbandonando un intero Paese al disastro dell’8 settembre.
I nostri soldati in Germania cercarono di sopravvivere al freddo, alla fame, alle malattie, al lavoro sfibrante nelle fabbriche del Reich. Alcune decine di migliaia morirono in prigionia ma il rifiuto del fascismo fu mantenuto fino al ritorno in Italia a guerra finita.
Una volta costretti al lavoro coatto gli IMI spesso boicottarono la produzione, soprattutto quando impiegati nelle fabbriche belliche. Un esempio? Il legnanese Adriano Pasquetto che impiegato da gennaio 1945 in una fabbrica di missili U2, ultimo operaio della catena di montaggio, si accordò con i compagni per lavorare perfettamente i pezzi di alettone che gli giungevano già rovinati e rovinare con piccoli “errori” di lavorazione i pezzi perfetti e rendere sostanzialmente inservibile l’80% della produzione. Sotto minaccia costante di fucilazione.
La Resistenza operaia
Un’altra forma di Resistenza al nazismo e al fascismo servo dei tedeschi fu la straordinaria prova che dettero gli operai del Nord con diverse ondate di scioperi a partire dal marzo del ’43 fino alla Liberazione.
Il livello delle lotte nelle fabbriche italiane non fu assolutamente eguagliato in nessun altro Paese europeo soggetto all’occupazione nazista. Solo nel marzo del ’44 scioperarono (dati delle autorità fasciste) 208.549 operai per un totale di 724.064 giornate lavorative. In realtà furono molti di più.
Lo stesso Hitler apparve preoccupato di questa evidente prova di forza. Anche in questo caso la memoria delle lotte dei lavoratori italiani appare oggi debole sia nell’opinione pubblica sia nella ricerca storiografica.
Eppure non era facile scioperare allora. Il rischio di deportazione nei lager nazisti era molto forte per coloro che organizzavano gli scioperi oppure si esponevano più degli altri nel tenere alto il morale dei lavoratori in lotta.
Dei 23.900 “Triangoli Rossi” deportati nei campi di concentramento tedeschi più della metà erano operai e operaie arrestati per poi essere uccisi a Dachau, Mauthausen, Ravensbruck (era il vero lager femminile per non ebree), Buchenwald… Gli assassinati con il lavoro, le torture e la fame furono poco più di diecimila.
Anche i deportati in Germania meritano il nome di “Resistenti” e anche loro scrissero pagine significative lottando contro lo sfruttamento dei nazisti e dei padroni italiani loro complici, pagando il desiderio di giustizia con l’internamento nei lager.
I deportati di Legnano
I deportati di Legnano nei lager nazisti sono stati in tutto trentacinque e la stragrande maggioranza di loro erano operai delle maggiori fabbriche della nostra città. La Franco Tosi a gennaio 1944 e poi a marzo e la Ercole Comerio di via Gaeta 1 (di fronte alla stazione) il 18 marzo pagarono il loro contributo di sangue e due note lapidi ce lo ricordano. Mauthausen per quasi tutti fu la destinazione finale da cui tornarono solo in pochi.
Tra i partigiani è sufficiente un nome come esempio: Candido Poli, deportato a Mauthausen e poi a Dachau-Bernau, trovato ormai in fin di vita alla Liberazione ma miracolosamente sopravvissuto. Candido ci confidò che per trent’anni non riuscì a dormire: “Di notte entravo nel campo…”.
La Resistenza delle donne
Scrisse Arrigo Boldrini, il comandante Bulow: “Senza le donne noi (partigiani) non avremmo fatto niente”. Ed è vero. Senza il contributo delle donne la Resistenza non sarebbe riuscita a mettere le radici in Italia.
Le donne operarono con ruoli diversi e molteplici: dalle staffette alle partigiane combattenti operando a rischio della propria vita e di quella dei famigliari.
Scrisse Ada Gobetti, moglie di Piero: “Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”. Anche questa è ancora oggi una memoria debole.
Molto più che staffetta nella 101^ e poi 182^ Brigata Garibaldi SAP, la nostra legnanese Piera Pattani, che ha festeggiato i 91 anni, il 5 novembre 2013 ha ricevuto la benemerenza civica (video della cerimonia a questo link: > https://youtu.be/1ttXio5rNiQ ) e l’ha accettata solo con la clausola di condividerla idealmente con tutte le donne che hanno collaborato con lei e che in quell’occasione ha voluto citare.
Operaie della Cantoni: Carolina Rossetti, Serena Carugo, Anna Garavaglia. Operaie della Brusadelli: Carolina Massenzana, Rosetta Salviati, Maria Lodini. Operaie della De Angeli Frua: Celestina Colombo, Norma Madella, Iole Morlacchi, Tullia Manzotti. Operaie dell’Agosti: Anna Re, Giuseppina Gallo Stampino. Operaie della Giulini Ratti: Wilma Gibertoni, Rina Colombo, Mariuccia Rossetti, Clotilde Falegni, Carla Brega. Operaie della Tessitura Monti: Carolina Colombo. Operaie della Manifattura Legnano: Maria Casella, Gemma Della Flora. Ragazze del volantinaggio: Luciana Frassini, Laura Moro, Francesca Mainini (101^ Brigata Garibaldi SAP e GAP e collegamento col CLN di Milano, a casa sua si costruivano le bombe per gli attentati della GAP), Alba Lonati, Angela Alogisi, Maria Alogisi, Palmira Senati.
E non dobbiamo dimenticare le donne dei movimenti cattolici e le suore della Barbara Melzi che nascondevano nel loro Istituto ebrei in transito verso la Svizzera.
Un accenno ad una partigiana che non ha operato a Legnano ma ad Inveruno e che vive ora a Legnano vicino alla nostra sede ANPI: Giuseppina Marcora, sorella di Giovanni, comandante partigiano nelle formazioni cattoliche di Alfredo Di Dio e futuro ministro dell’agricoltura. Giuseppina, che ha festeggiato lo scorso 23 febbraio i 98 anni, era molto più di una staffetta: lei era il comandante militare delle formazioni partigiane cattoliche di Inveruno e zona. Finita la guerra a lei, donna, è arrivato a casa il foglio di “congedo militare”.
La Resistenza dei civili
Ma c’è un’altra categoria di persone (la stragrande maggioranza), che durante la guerra fu oggetto di scherno da parte dei combattenti delle due parti (fascisti e partigiani), e che fu umiliata dalla miseria e abbruttita dalle difficoltà quotidiane. Ci riferiamo ai civili – in gran parte donne, vecchi e bambini – che dall’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) fino alla Liberazione dovettero convivere con la disoccupazione e la fame mai saziata dai razionamenti.
I bombardamenti, la morte dei propri cari in guerra, le loro città campo di battaglia tra tedeschi e anglo-americani fecero il resto facendo precipitare le condizioni di vita a livelli oggi inimmaginabili. Solo i bombardamenti anglo-americani provocarono circa 80.000 morti in tutta Italia. Milano in tutta la guerra subì 60 incursioni aeree tra le quali i terribili bombardamenti dell’agosto del ’43 che provocarono un migliaio di vittime. Anche queste sono pagine rimosse con troppa facilità.
Furono eroiche soprattutto le donne che per tanti mesi lavorarono per un salario di fame, fecero lunghe ed estenuanti code per comprare qualcosa per i propri figli a casa, sempre con la paura del successivo bombardamento notturno e con il pensiero costante al figlio o al marito in qualche lontano fronte di guerra.
Eppure a guerra finita la vittoria della Resistenza armata surclassò la “resistenza disarmata” dei più misconoscendo a volte la dignità, la forza, la caparbietà nel sopravvivere a tutti i costi in realtà quotidiane drammatiche.
Per identificare il comportamento della popolazione non belligerante nacque con lo storico Renzo De Felice l’espressione “zona grigia” tra il combattentismo dei partigiani e la militanza fascista di Salò, ma l’espressione nascondeva anche un giudizio sferzante sulla maggioranza della popolazione italiana che sembrò “stare alla finestra” mentre gli altri combattevano.
In realtà anche i civili resistettero alle tante tragedie collettive e familiari di quegli anni con una dignità che poi trovò ricettacolo nei tanti racconti familiari del dopoguerra.
La Resistenza a Legnano
Impossibile ricordare in poche righe nomi ed episodi che hanno reso significativa la Resistenza nella nostra città: i fratelli Venegoni, Samuele Turconi, Filippo Zaffaroni, Mario Cozzi, Arno Covini, Bruno Giovanni Lonati, Renzo Vignati, Dino Garavaglia, Giuseppe Rossato, Marcello Colombo, Giuseppe Bollini, Piera Pattani… e tanti altri che hanno reso onore a Legnano.
Tante lapidi sparse per la città ricordano i nomi dei partigiani caduti nella nostra città o in combattimento in altre formazioni o fucilati o uccisi nei lager. Quest’anno l’ANPI ha voluto coinvolgere le scuole con un concorso legato proprio alle lapidi, perché non si perda la memoria di ciò che è stato.

“Questi innumerevoli morti, questi torturati, questi massacrati, questi offesi sono affare nostro.
Chi parlerebbe di loro se non ne parlassimo noi?
I morti dipendono interamente dalla nostra fedeltà”
V. Jankelevich

Renata Pasquetto e Giancarlo Restelli
– Le Pietre della Memoria di Legnano

– Dedicato a tutti i partigiani di Legnano

Castellanza 25 Aprile

Nel mio breve intervento vorrei mettere in evidenza alcune categorie di persone che a buon diritto devono essere inserite tra le protagoniste della lotta resistenziale.
Quale immagine abbiamo maggiormente presente quando parliamo della Liberazione d’Italia? Sicuramente le sfilate dei partigiani nelle città liberate oppure una delle tante fotografie nelle quali vediamo singoli partigiani pronti al combattimento.
La guerra in montagna è stata una componente forte della lotta resistenziale che ha coinvolto decine e decine di migliaia di italiani dall’8 settembre del ’43 fino al 25 Aprile ‘45.
I partigiani hanno scritto pagine epiche e innumerevoli sarebbero i fatti d’arme da ricordare.
Eppure se ci fermassimo alla lotta partigiana in montagna o in città non avremmo un quadro completo della Resistenza, che chiama in causa altre memorie oggi da riscoprire e rivalutare.
La Resistenza militare
Una di queste è rappresentata dai 650.000 militari italiani finiti nei campi di prigionia tedeschi, dopo il disastro dell’8 settembre del ’43.
Qual è il legame con la Resistenza?
Con un coraggio che ancora oggi ci appare eroico la maggior parte dei nostri soldati disse “No!” a ogni proposta di arruolamento nelle milizie di Salò che avrebbe permesso loro di ritornare in Italia. Seppure educati nel fascismo i nostri ventenni seppero dare una lezione di dignità a quella classe dirigente italiana che dal re ai ministri del governo Badoglio non seppe far altro che fuggire davanti ai tedeschi abbandonando un intero Paese al disastro dell’8 settembre.
La Resistenza operaia
Un’altra forma di Resistenza al nazismo e al fascismo servo dei tedeschi fu la straordinaria prova che dettero gli operai (uomini e donne) del Nord con diverse ondate di scioperi a partire dal marzo del ’43 fino alla Liberazione.
Il livello delle lotte nelle fabbriche italiane non fu assolutamente eguagliato in nessun altro Paese europeo soggetto all’occupazione nazista (soprattutto nel marzo del ’44).
Eppure non era facile scioperare allora. Il rischio di deportazione nei lager nazisti era molto forte per coloro che organizzavano gli scioperi oppure si esponevano più degli altri nel tenere alto il morale dei lavoratori in lotta.
I deportati nei lager
Dei 24.000 “Triangoli Rossi” deportati nei campi di concentramento tedeschi più della metà erano operai e operaie arrestati in seguito agli scioperi per poi essere uccisi a Dachau, Mauthausen, Ravensbruck, Buchenwald… Gli assassinati con il lavoro, le torture e la fame furono poco più di diecimila.
Anche i deportati in Germania meritano il nome di “Resistenti” e anche loro scrissero pagine significative lottando contro lo sfruttamento dei nazisti e dei padroni italiani loro complici, pagando il desiderio di giustizia con l’internamento nei lager.
La Resistenza delle donne
Scrisse Arrigo Boldrini, il comandante Bulow: “Senza le donne noi (partigiani) non avremmo fatto niente”. Ed è vero. Senza il contributo delle donne la Resistenza non sarebbe riuscita a mettere le radici in Italia.
Le donne operarono con ruoli diversi e molteplici: dalle staffette alle partigiane combattenti a rischio della propria vita e di quella dei famigliari.
Scrisse Ada Gobetti, moglie di Piero: “Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”. Anche questa è ancora oggi una memoria da rafforzare.
La Resistenza dei civili
Ma c’è un’altra categoria di persone (la stragrande maggioranza) che fu umiliata dalla miseria e abbruttita dalle difficoltà quotidiane: i civili, ossia la gente comune che non combatteva e cercava di sopravvivere.
I bombardamenti, la morte dei propri cari in guerra, le città campo di battaglia tra tedeschi e anglo-americani fecero precipitare le condizioni di vita a livelli oggi inimmaginabili. Solo i bombardamenti anglo-americani provocarono circa 80.000 morti in tutta Italia. Milano in tutta la guerra subì 60 incursioni aeree tra le quali i terribili bombardamenti dell’agosto del ’43 che provocarono un migliaio di vittime.
Furono eroiche soprattutto le donne che per tanti mesi lavorarono per un salario di fame, fecero lunghe ed estenuanti code per comprare qualcosa per i propri figli a casa, sempre con la paura del successivo bombardamento notturno e con il pensiero costante al figlio o al marito in qualche lontano fronte di guerra.
In realtà anche i civili resistettero alle tante tragedie collettive e familiari di quegli anni con una dignità che poi trovò ricettacolo nei tanti racconti familiari del dopoguerra.
Partigiani combattenti in montagna e in città, operai che scioperarono in pieno marzo del ’44, operai che furono deportati nel KZ, donne che operarono nella Resistenza, donne che resistettero sotto i bombardamenti, ex militari in Germania che dissero NO al fascismo di Salò, renitenti alla leva di Salò… a tutte queste persone dobbiamo dire grazie! dei loro sacrifici.
Vorrei terminare con una citazione di Giorgio Agosti, partigiano azionista, e pensava alla Resistenza: “Una volta al secolo, qualcosa di serio e di pulito può accadere anche in questo Paese”.