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Accadde a Legnano: 21 e 27 giugno 1944

Accadde a Legnano: 21 e 27 giugno 1944

Domenica 3 giugno si terrà alla Cascina Mazzafame la commemorazione dello scontro a fuoco che si svolse il 21 giugno 1944 alla Cascina Mazzafame tra i partigiani e i fascisti. Fu sicuramente uno dei più importanti episodi della Resistenza a Legnano.

Propongo due pagine da “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945” di Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio (III Edizione 2009, pp.248-249).

Il rastrellamento alla Cascina Mazzafame

“Un grave episodio sfavorevole alla Resistenza si verificò il 21 giugno 1944, allorchè circa 250 militi fascisti attuarono un ampio rastrellamento nella zona della Cascina Mazzafame, provocando uno scontro a fuoco con i partigiani della 101esima. Il combattimento si concluse con la morte di un fascista e il ferimento di dodici suoi camerati, mentre da parte avversa si ebbero diversi feriti e quattro uomini presi prigionieri. Uno di questi fu Samuele Turconi, che così ricordò il fatto:

“Non furono solo i fascisti legnanesi ad attaccarci: ci attaccò la PAI (Polizia Africana Italiana), la Brigata nera e la Decima MAS di Busto. Rastrellarono tutte le famiglie della Mazzafame e le radunarono vicino alla chiesa minacciandole di morte se non ci fossimo arresi. Combattemmo strenuamente e quando alle 11 di sera ci accorgemmo di essere stati circondati capimmo che per noi non c’era più nulla da fare.

Decidemmo di non arrenderci comunque anche se le forze in campo erano decisamente a nostro sfavore e combattemmo furiosamente fino all’alba.

Alla fine ferito gravemente per la seconda volta insieme ad altri due compagni ci arrendemmo. Un fascista mi puntò il fucile alla testa e minacciò di uccidermi sul posto; poi invece mandarono mio fratello con degli amici che mi trasportarono sino in via Novara dove i fascisti avevano fatto base. Ormai mi venivano meno le forze ma feci in tempo a sentire che avevano preso il Rizzi Pietro, il Bragè, il Casero ed altri i cui nomi non ricordo.

Mi caricarono su un automezzo militare ormai quasi morto ed insieme ad altri ci condussero alla caserma dei carabinieri di Busto Arsizio. Fortunatamente incontrai un maresciallo dei carabinieri veramente coraggioso che si oppose con tutte le sue forze a rinchiudermi in quelle condizioni in cella. Per me sarebbe stata la fine. I fascsti furono così obbligati a condurmi nell’ospedale della città dove i medici mi salvarono la vita per un soffio”.

Lo sfortunato momento, malgrado la sofferenza fisica e la paura per il futuro, si concluse poi bene per Turconi:

“Rimasi in ospedale piantonato per una ventina di giorni fino a quando vennero in ospedale due noti fascisti: Angelo Montagnoli e il Negrini che mi portarono con sarcasmo la bella notizia che molto presto sarei stato fucilato.

La sera stessa mi mandarono un sacerdote per l’ultimo conforto e intorno alle 20 i fascisti, che mi piantonavano, mi avvertirono che c’era una visita per me. Si presentò una ragazza (che conoscevo solo di vista) che rapidamente si diresse verso di me e gettandomi le braccia al collo finse di baciarmi solo per spingermi tra le labbra un bussolotto.

Fu subito allontanata e picchiata duramente ma aveva raggiunto lo scopo per il quale era stata mandata: avvertirmi che la notte stessa, intorno alle dieci, avrebbero tentato di liberarmi. E così avvenne. Con un’azione militare a cui partecipò tra gli altri anche Mauro Venegoni vennero e, immobilizzate le guardie, Guido Venegoni mi caricò sulla canna della bicicletta poiché le mie ferite non erano ancora rimarginate… Fui accompagnato a Legnano in via Novara nella casa della partigiana Logisi Angela in Grassini dove poi fui curato dal dott. Tornadù, farmacista di via Novara. Rimasi da lei una decina di giorni e poi dovetti abbandonare il rifugio divenuto insicuro. Mi trasferirono allora a Prospiano anche se le mie condizioni non erano per niente buone.

Faticavo a muovermi e rimasi nascosto nella casa privata del Sig. Colombo per parecchio tempo. Una volta ristabilito ripresi l’attività del partigiano inserendomi nel comando di Gorla Maggiore”.

Samuele Turconi, nato nel 1923, proveniva da una famiglia di contadini residente alla Cascina Mazzafame. Dopo la dissoluzione dell’esercito italiano (8 settembre 1943) Turconi riuscì a tornare a Legnano ai primi di ottobre dello stesso anno. Entrò subito nella clandestinità e nella Resistenza operando nel Legnanese fino ai giorni della Liberazione.

Dopo l’8 settembre le forze di alcuni ex militari e dei primi partigiani furono organizzate dai fratelli Venegoni i quali condussero un’intensa attività militare e politica che non ha eguali nel territorio dell’Alto Milanese.

Tra i primi ad aderire alle formazioni dei Venegoni ricordiamo Bruno Faletti, Arno Covini, Spartaco Andrei, Dino Garavaglia, Renzo Vignati, Annibale Schiavo, Dino Loschi e appunto Samuele Turconi.

La Cascina Mazzafame, isolata e in una zona allora poco abitata, era una delle maggiori basi dei partigiani a Legnano.

Pochi giorni dopo al Ponte di San Bernardino

“Pochi giorni dopo, il 27 giugno 1944, al ponte ferroviario sopra via S. Bernardino, un gruppo della 101esima Brigata Garibaldi, tentò un’azione di disarmo nei confronti di una consistente pattuglia fascista. Nel conflitto a fuoco seguitone vennero feriti gravemente due partigiani, Renzo Vignati e Dino Garavaglia, il primo di 19 anni, il secondo di 18; entrambi morirono poi in ospedale, mentre due loro compagni, pure feriti, furono tratti in salvo. I funerali dei due caduti si svolsero il giorno 4 luglio, in un clima di forte tensione: i fascisti, infatti, pretendevano che si svolgessero esequie del tutto private. La popolazione, invece, impose una cerimonia funebre del tutto diversa, così che le onoranze si fecero solenni, con tante corone di fiori e con tanta folla che assistette al passaggio delle due bare fino al cimitero.

Un testimone oculare, il partigiano della 101esima Francesco Crespi, sottolinea il ruolo svolto nella circostanza dal coadiutore della parrocchia dei Ss. Martiri, don Francesco Cavallini:

“Arriva il prete, don Francesco dei Ss. Martiri, e dà la benedizione ai morti; poi arrivano i fascisti, prendono le casse e fanno per portarle via: don Francesco li ferma e dice: – questi ragazzi li ho battezzati in chiesa e in chiesa devono venire -. Allora ci facciamo in otto o dieci, ci mettiamo davanti a tutti e con le bare in spalla ed entriamo in chiesa. All’uscita vediamo che i fascisti hanno messo le mitragliatrici sul piazzale. Don Francesco si mette davanti, fa uscire le donne, poi tutti insieme andiamo al cimitero, guardati a vista dai fascisti. Più tardi cercheranno di bloccarci dietro al cimitero, così io e altri quattro o cinque siamo costretti a scappare saltando la ferrovia.

Questo fatto mi ha colpito molto perché nessuno, né il prete né la popolazione che ha partecipato al funerale, ha avuto paura dei fascisti e delle loro mitragliatrici”.

In “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945” di Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio (III Edizione 2009, p.249).

Giancarlo Restelli

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– “I Numantini” cantano “Bella ciao”

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