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Eugenio Curiel, una vita per l’antifascismo

Eugenio Curiel

Curiel fu sicuramente una delle personalità più importanti nell’antifascismo fin dal 1937 quando aderì al Pci fino alla morte nel febbraio del ’45.

Era un giovane fisico con la passione per la filosofia. Potremmo dire che il giovane scienziato incontra la filosofia e attraverso di essa la politica guidato da un’idea di cambiamento radicale dell’Italia.

Fu un intellettuale simile per certi versi a Gramsci: la cultura per lui non era solo sapere sterile ma incentivo, guida all’azione. Si avvicinò al marxismo-leninismo non solo per acquisire una visione del mondo ma per cambiare il mondo in cui viveva.

Viene in mente un celebre aforisma di Marx su Fuerbach: “Finora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo”. Curiel voleva interpretare il mondo per cambiarlo, con energia intellettuale nella quale il sapere scientifico si legava alla cultura umanistica. Insomma pensiero e azione fusi insieme.

Come vedremo il suo desiderio di cambiare il mondo gli costò cinque anni di confino a Ventotene e poi la morte dopo due anni di lavoro politico nell’antifascismo nei quali aveva fondato il Fronte della Gioventù, aveva operato ai massimi livelli nelle formazioni Garibaldi e cercato di dare un volto coerente alla Resistenza.

Ma andiamo con ordine.

Curile nasce a Trieste nel 1912 in una famiglia agiata della ricca borghesia ebraica. Nel 1928 si iscrive alla facoltà di ingegneria dell’università di Firenze ma grazie allo zio Ludovico Limentani, insegnante di filosofia nella stessa università, si avvicina all’antifascismo. Limentani era stato tra i pochi intellettuali a firmare nel 1925 il manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce. Era necessario un certo coraggio a proclamarsi antifascisti nel ’25 dopo il delitto Matteotti accaduto l’anno prima. Non c’è dubbio che Ludovico Limentani ebbe un ruolo importante nella maturazione del giovane Curiel.

Curiel si laurea in fisica nel 1933 con una tesi sulla disintegrazione nucleare a mezzo delle radiazioni e diventa assistente universitario a Padova.

Da notare che i suoi interessi universitari avrebbero potuto portarlo molto lontano dalla cultura dell’antifascismo, invece il fisico nucleare Curiel non dimentica l’antico amore per la filosofia, anzi fa della filosofia il punto di partenza di quella istintiva avversione che sentiva nei confronti del fascismo.

Inizia la sua formazione filosofica leggendo e criticando il pensiero di Croce e Gentile (come Gramsci) e si avvicina al marxismo nel 1935. Legge il Manifesto di Marx ed Engels, l’Antidühring di quest’ultimo, il Che fare? di Lenin.

Nel ’37 a Parigi entra in contatto con il Centro estero del partito comunista italiano il quale lo incoraggia a quello che nel linguaggio dell’epoca si chiamava “entrismo”, ossia “entrare” (penetrare) nella cultura fascista portando le proprie idee già orientate al comunismo. Infatti nel ’37 entra a far parte della redazione de “Il Bò”, periodico universitario fascista di Padova nel quale scrive alcuni importanti articoli nascondendo ovviamente la sua appartenenza al PCI.

In questi articoli Curiel critica il burocratismo presente nel Partito nazionale fascista e sostiene che la nuova classe dirigente fascista e italiana doveva nascere attraverso i sindacati.

Con maggiore libertà Curiel scrive un articolo che compare sullo “Stato Operaio” nello stesso anno, il ’37, dal titolo Il nostro lavoro economico-sindacale di massa e la lotta per la democrazia, firmando con uno pseudonimo. L’obiettivo di Curiel è raggiungere i giovani intellettuali che fino a quel momento avevano trovato spazio solo all’interno della cultura fascista.

Curiel sostiene che bisogna premere, con la stampa universitaria, sugli studenti, perché passino da un’ideologia, ancora corporativa, di «fascismo di sinistra» al riconoscimento della «lotta di classe».

Curiel scrive poi altre pagine nella rivista comunista nella quali appoggia le rivendicazioni salariali degli operai e conduce inchieste sulle misere condizioni di vita nelle campagne padovane; si occupa anche di politica estera, condannando le mire espansionistiche della Germania e l’aggressione giapponese alla Cina.

Nei primi del 1938 Curiel fu convocato a Roma, dal presidente della Confederazione dei Sindacati Tullio Cianetti che lo invitò a una maggiore prudenza, essendo informato che i suoi articoli erano citati dalla stampa antifascista all’estero e gli suggerì di fare attenzione alla penetrazione di «sovversivi» nelle organizzazioni fasciste (!).

Nel numero de «Il Bò» del 20 agosto 1938 compare il suo ultimo articolo, La rappresaglia sindacale, in cui scrive che il sindacato deve «sorvegliare l’applicazione dei contratti collettivi» e deve realmente tener conto della volontà espressa nelle assemblee operaie. Poi scrive: “Sostenere che in un regime corporativo gli interessi degli operai e degli imprenditori coincidono significa «dimostrare cecità».

Davvero notevole! Con questo e altri articoli Curiel voleva raggiungere e portare al comunismo giovani intellettuali nati sotto il fascismo e che avevano maturato finora un generico orientamento di “sinistra fascista”. Le autorità fasciste lasciavano fare, con una certa cautela.

In quello stesso numero della rivista (20 agosto ’38), però, vi è anche un altro articolo, che elenca i nomi degli insegnanti ebrei presenti nelle Università italiane e naturalmente, fra gli insegnanti padovani, figura il nome di Curiel.

Nel novembre ’38 sono emanate le leggi per «la difesa della razza» e Curiel, come tanti, viene allontanato dall’insegnamento.

Vive a Milano e diventa un “rivoluzionario di professione”.

Entra in contatto con il gruppo clandestino socialista e di Giustizia e Libertà. Coltiva il proposito di unire in una sorta di patto d’azione comunisti, socialisti e giellini. Curiel nota meglio di altri dirigenti comunisti i rischi di involuzione burocratica nel Pci a causa  della forte presenza di elementi stalinisti. Il patto d’azione con socialisti e giellini avrebbe dovuto fare del partito di Gramsci nato nel 1921 un partito vitale e pronto alla battaglia decisiva per la liberazione e non una semplice emanazione del centro sovietico.

Più volte va a Parigi per mantenere i contatti con il Centro estero del Pci ma trova ogni volta un’atmosfera di sospetto.

A Trieste sempre nel ’39 è arrestato dall’OVRA e condannato nel ’40 a cinque anni di confino a Ventotene, non per il suo essere ebreo ma per la sua azione antifascista.

Ventotene sarà per il giovane Curiel (ha 26 anni nel ’38) una sorta di “università” dove incontrerà i condannati dal Tribunale Speciale e i garibaldini che avevano combattuto in Spagna. A Ventotene vi sono parecchie centinaia di confinati: vi si trovano o vi sono passati, tra gli altri i comunisti Luigi Longo, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio i socialisti e gli azionisti Lelio Basso, Sandro Pertini, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Giuseppe Romita e l’amico di Curiel, Eugenio Colorni.

Torna in libertà poco prima dell’8 settembre del ’43. Ora la sua azione politica si svolge a Milano nell’ambito del PCI dirigendo l’”Unità” clandestina. Promuove la formazione del “Fronte della Gioventù per l’indipendenza e la libertà” e  dirige l’organizzazione, ed è anche membro del comando generale delle Brigate Garibaldi.

Le ultime pagine di Curiel prima della morte lo vedono impegnato a tracciare la via che dovrà percorrere la nuova Italia dopo il crollo del nazifascismo. Sono belle pagine in cui Curiel delinea un’Italia che come è facile presagire non troverà attuazione dopo il ’45. (fate mentre leggo un confronto rapido con l’Italia di oggi!).

Come dovrà essere la nuova democrazia? Scrive Curiel che dovrà essere “un continuo progresso sociale”, con una “sempre più forte partecipazione popolare al governo”, una “sempre più matura egemonia della classe operaia”, ossia una graduale attuazione del socialismo; la nuova democrazia sarà un “metodo per la soluzione dei problemi sociali”.

Qui Curiel esprime il nuovo ruolo che sarà chiamato a svolgere la classe operaia e il mondo contadino: “Il contadino deve affontare i problemi del suo villaggio, l’operaio deve affrontare i problemi della sua fabbrica, ogni italiano deve affrontare e saper risolvere, nel quadro degli interessi nazionali, il problema specifico che lo tocca da vicino… La via che conduce alla nuova Italia è una via fatta del lavoro concreto di ogni giorno, del lavoro concreto di ogni italiano, e su questa via marcerà la classe operaia, classe di governo, conscia che soltanto così essa potrà realizzare, nella democrazia progressiva, la sua funzione d’avanguardia, la sua funzione nazionale”.

Curiel è naturalmente consapevole delle responsabilità della classe dirigente italiana nell’affermazione del fascismo: “Noi dobbiamo mettere alla gogna gli industriali, responsabili e profittatori della tragedia italiana, i magnati dell’industria e della finanza che sovvenzionano il fascismo… Chi forma la maggioranza dei distaccamenti partigiani? Operai e contadini. Chi guida l’azione delle masse popolari urbane con lo sciopero e la guerriglia? Operai”.

Quindi sintetizzando il pensiero di Curiel possiamo dire che la “democrazia progressiva” doveva radicarsi in Italia attraverso la lotta di classe ponendo le basi per l’affermazione del socialismo, fine ultimo della sua battaglia e della Resistenza.

Questi concetti furono espressi a una riunione dei giovani comunisti a Milano il 20 gennaio 1945. Un mese dopo fu ucciso come un cane dai fascisti (era il 22 febbraio 1945) in piazzale Baracca a Milano mentre cercava di fuggire verso via Toti. Aveva 33 anni.

Le teorie di Curiel sono molto importanti in sé perché danno la misura della qualità intellettuale del giovane antifascista ma sono importanti perché dimostrano che la Resistenza non è un evento solo da ricordare e commemorare ma un momento storico denso di idealità, di progetti, anche se poco o nulla realizzati dopo la guerra, ma ancora in grado di guidarci, di stimolare la nostra azione e in alcuni casi di illuminarci.

Note

Il poeta Alfonso Gatto, in una poesia intitolata “25 aprile”, lo nomina scegliendolo quale esempio del desiderio di libertà e democrazia del popolo italiano: ” (…) la speranza che dentro ci svegliava / oltre l’orrore le parole udite / dalla bocca fermissima dei morti/ “liberate l’Italia, Curiel vuole / essere avvolto nella sua bandiera”…”.

Medaglia d’oro al valore militare alla memoria: «Docente universitario, sicura promessa della scienza italiana fu vecchio combattente, seppur giovane d’età, nella lotta per la libertà del popolo. Chiamò a raccolta, per primo, tutti i giovani d’Italia contro il nemico nazifascista. Attratta dalla sua fede, dal suo entusiasmo e dal suo esempio, la parte migliore della gioventù italiana rispose all’appello ed egli seppe guidarla nell’eroica lotta ed organizzarla in quel potente strumento di liberazione che fu il Fronte della gioventù. Animatore impareggiabile è sempre laddove c’è da organizzare, da combattere, da incoraggiare. Spiato, braccato dall’insidioso nemico che vedeva in lui il più pericoloso avversario, mai desisteva dalla lotta. Alla vigilia della conclusione vittoriosa degli immensi sforzi del popolo italiano cadeva in un proditorio agguato tesogli dai sicari nazifascisti. Capo ideale e glorioso esempio a tutta la gioventù italiana di eroismo, di amore per la Patria e per la Libertà[5]
— Milano, 8 settembre 1943 – 24 febbraio 1945.