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La pianurizzazione. Una svolta nella storia della Resistenza italiana

La pianurizzazione – Sedriano, 24 aprile ‘19

La lotta armata nella Lombardia occidentale fu caratterizzata dalla guerra di pianura. Anche qui a Sedriano, Magenta, Vittuone… solo per citare comuni vicini, come è stato detto giustamente.

Dall’altra parte la Resistenza in pianura contrasta in parte con l’immagine tradizionale del partigiano in alta montagna che vive situazioni estreme derivante dai pericoli dell’ambiente e dei rastrellamenti.

La guerra di pianura necessita quindi di alcune spiegazioni e soprattutto di un inquadramento storico.

Come sappiamo la Resistenza nacque in seguito al terremoto provocato dall’8 settembre del ’43 quando l’Italia esce dalla guerra iniziata poco più di tre anni prima nel giugno del ’40.

Da quel momento in avanti nell’autunno-inverno del ’43-‘44 nascono i primi gruppi di partigiani (in prevalenza ex militari del Regio esercito) i quali si trovano di fronte a forme di combattimento del tutto nuove: la guerra di montagna dove ai pericoli dei primi rastrellamenti emerge subito la difficoltà di sopravvivere in un ambiente duro e ostile.

La primavera-estate del ’44 porta un notevole afflusso di giovani che sono renitenti alla leva, operai che rischiano l’arresto per aver scioperato, cittadini qualunque sospettati di attività eversive.

Il notevole aumento di nuove reclute permette al movimento partigiano di occupare nell’estate-primo autunno del ’44 intere zone dove nascono le repubbliche partigiane. L’Ossola, la Carnia, Montefiorino, Alba … le più importanti.

Sembra che la guerra stia finendo perché nel giugno del ’44 gli alleati sono a Roma. A Firenze arrivano nell’agosto dello stesso anno. Firenze… poi Bologna … e poi Milano: la guerra è finita!

Invece i tedeschi bloccano l’avanzata anglo-americana sulla Linea Gotica tra Viareggio e Rimini fermando gli alleati per tutto l’inverno ’44-45.

La fine delle repubbliche partigiane, la barriera della Linea Gotica e l’avvicinarsi dell’inverno del ’44-45 provocano nelle file partigiane una notevole crisi suscitando sbandamento e abbandono delle bande. Il proclama Alexander che invitava i partigiani a tornarsene a casa (13 dicembre ’44) provoca ancora di più scoramento e disillusione.

Ma in qusto contesto difficilissimo si pongono le condizioni per una delle più efficaci trasformazioni che subisce la lotta partigiana, ossia la “pianurizzazione” (il “miracolo della pianurizzazione”). Si può spiegare come la tendenza a portare le formazioni partigiane il più possibile vicine alle città “date al nemico” come recita una famosa canzone.

I vantaggi sono evidenti:

– si può colpire con più facilità il nemico nazifascista

– i partigiani sono vicini agli operai che scioperano, alle SAP che agiscono nelle fabbriche e ai GAP che agiscono in città

– la vicinanza delle proprie case facilita la vita del partigiano

– in pianura sono vicine le fonti di approvvigionamento

– maggiore autonomia dei piccoli gruppi in pianura rispetto alle formazioni montane tenute a una maggiore disciplina

Gli svantaggi altrettanto evidenti:

  • forti rischi che la banda sia smantellata / spie o l’apparato investigativo nazi-fascista
  • difficoltà di nascondersi in territori privi spesso di boschi
  • necessità di far nascere il consenso tra strati contadini che temono le repressioni nazifasciste
  • difficoltà di tenere i contatti ora che le bande in pianura si assottigliano (in montagna potevano operare invece anche grandi brigate)
  • il contatto diretto fascisti-partigiani rende ancora più efferata la risposta fascista con l’ampia pratica della tortura, delle condanne a morte e delle deportazioni nei lager tedeschi

Alla fine possiamo dire che la pianurizzazione (stiamo parlando della Pianura Padana) fu un grande successo che preparò l’offensiva finale dell’aprile del ’45 quando numerosi distaccamenti nelle giornate decisive arrivarono in tempo per la battaglia finale.

Non dobbiamo sorprenderci più di tanto della svolta, ossia dalla guerra che dalla montagna scende verso la pianura alla guerra che viene portata direttamente nel cuore dello schieramento nemico. Se alla fine la Resistenza vince lo dobbiamo alla grande capacità di adattamento ai vari contesti.

La Resistenza fu sempre guerra mobile di piccoli-medi reparti capaci sulla base di rapporti di forza spesso sfavorevoli di adattarsi a situazioni sempre diverse.

Soprattutto la Resistenza fu vincente perché seppe imparare dai propri errori: all’inizio si punta allo scontro frontale con il nemico tedesco così come fanno i militari in guerra che non si ritirano mai: da qui le sconfitte brucianti del San Martino e della Benedicta alla fine del ’43.

Poi la maggiore capacità di movimento dell’estate del ’44 di fronte ai grandi rastrellamenti dove il partigiano (“guerra mobile” per eccellenza) rifiuta il combattimento quando crede di essere in inferiorità numerica e salva i propri reparti passando di valle in valle – quando possibile.

Ora la sopravvivenza del movimento partigiano passa per il distaccamento di molti reparti verso colline e pianure dove il maggiore contatto con il nemico viene gestito con grande pragmaticità grazie alla straordinaria esperienza accumulata in circa 15 mesi di lotta durissima.

Per esempio le formazioni di Cino Moscatelli (I divisione Garibaldi) colonizzano tutta la pianura di Novara e Vercelli, alcuni reparti arrivano fino all’Oltrepò Pavese. E saranno i suoi reparti ad arrivare per primi nella Milano liberata dall’insurrezione in città.

Quando dal CLN arrivò l’indicazione di portarsi il più vicino al nemico in alcuni casi la reazione fu di scetticismo: si temeva la polverizzazione delle formazioni partigiane e la loro impotenza dovendosi solo nascondere. Alla fine invece di videro i vantaggi derivanti dal “travaso in pianura”.

Una delle maggiori capacità di adattamento in un territorio – quello di pianura – che poteva rivelarsi una trappola furono le “buche”. Si trattava di vere e proprie grandi buche dove alcuni uomini si nascondevano durante il giorno (quando i partigiani erano maggiormente visibili) per uscire di notte e compiere attentati.

La vita nelle “buche” era durissima soprattutto se pioveva; il timore dei cani lupo era fortissimo così come quello delle spie. Ma non c’è dubbio che le buche hanno permesso a tanti partigiani di insediarsi nello stesso territorio nemico aumentando l’incertezza e la confusione soprattutto dei giorni finali della guerra di liberazione.

Quindi la pianurizzazione fu una decisione all’inizio travagliata ma che alla fine si rivelò fondamentale nella vittoria finale quando la distanza dalle baite in alta montagna con l’insurrezione nelle città poteva essere eccessiva e causare ritardi percolosi.

Terminare con un accenno ai partigiani di sedriano