LA RESISTENZA DIETRO IL FILO SPINATO Mio padre, Giovanni Lido Galli, nacque a Lucca, nella piccola frazione di S.Angelo in Campo, il 20 Maggio 1924. Il 23 Agosto 1943 fu chiamato alle armi, destinazione Bolzano, Caserma Luigi Cadorna, 232° Reggimento Fanteria. Nella caserma di Bolzano, la situazione era già compromessa: per le reclute, divise usate, con fori di proiettile rattoppati, in dotazione un fucile senza munizioni; il rancio cosumato seduti a terra in cortile, le gavette ripulite con la terra dopo il pasto... La resa incondizionata dell'Italia alle Forze Alleate con la firma dell'Armistizio di Cassibile l'8 Settembre 1943 diede l'avvio in Germania, all'operazione Achse e all'invasione dell'Italia. Alle 4 del mattino del 9 Settembre i soldati tedeschi irruppero nella Caserma Cadorna; mio padre fu svegliato dal calcio di un fucile. I soldati Italiani, disarmati, furono in fretta radunati in cortile e poi avviati, in marcia, verso il greto del fiume Talvera; mio padre, insieme a migliaia di soldati ammassati, trascorse un intero giorno ed una notte nel greto secco del fiume, sotto la pioggia, tra mille interrogativi, con la minaccia del fuoco tedesco. Poi, in fila, verso la stazione ferroviaria, dove, insieme ai compagni, fu caricato, su di un carro bestiame, con destinazione Germania. Ammassati a decine nei vagoni piombati, senz'aria, acqua, nè cibo, estenuati, il 12 Settembre giunsero alla stazione di Bremervorde, in bassa Sassonia, nel nord della Germania. Dopo una marcia a piedi di circa 10 Km, allo stremo delle forze, mio padre e i suoi compagni arrivarono al lager XB di Sandbostel, campo per prigionieri di guerra, divenuto poi il maggior campo di transito e smistamento dei militari Italiani. Un grande spaventoso lager costruito su 35 ettari, con baracche ed edifici tecnici edificati nel fango, in un terreno paludoso, privo di vegetazione, non un albero, nè un cespuglio, nè un solo filo d'erba; solo fango! Mio padre, cresciuto nelle verdi colline Toscane, conservò negli anni a venire quell'impressione di spettrale desolazione, dove anche la natura pareva aver cessato di vivere e a volte ricordava quella parte di Germania "tutta piatta, sempre piatta". A Sandbostel mio padre fu sottoposto a disinfezione, poi ricevette una piastrina col numero di identificazione, il 156442 e con quel numero fu fotografato. Per lui, come per i suoi compagni, fu redatta una scheda segnaletica con la foto, le impronte digitali e la qualifica di criminali. Infatti, ai soldati italiani ex alleati ed ora "traditori", non fu riconosciuto lo status di prigionieri di guerra, tutelati dalle convenzioni internazionali, ma fu coniata per loro, dallo stesso Hitler, la denominazione di Internati Militari Italiani, praticamente schiavi di cui poter liberamente disporre e sottoporre a qualunque abuso "punitivo" per il loro tradimento dell'alleanza con la Germania. Le condizioni nel lager, per il quale passarono più di 300.000 prigionieri provenienti da 55 Paesi, erano terribili. La poca acqua disponibile, giallastra e maleodorante, non era potabile; il cibo, sotto il livello di sopravvivenza per qualità e quantità: una brodaglia con bucce di patata o di rapa, due fettine di pane nero e una cucchiaiata di margarina, a fronte di lunghe marce nel gelo della Bassa Sassonia (-15°), di estenuanti appelli nel cortile ghiacciato, fermi per ore, pena la fucilazione! Mio padre raccontava di quando, per l'arsura, era arrivato a bere la propria pipì, e di quante volte lui o qualche compagno avessero rischiato la vita in cerca di una buccia di patata.... Nelle baracche gelide di legno, dormivano su tavolacci sudici, senza pagliericcio nè coperta, infestati dalle cimici e dai pidocchi. Poi, un giorno, arrivò l'infame proposta: la libertà in cambio dell'arruolamento nell'esercito tedesco. Mio padre, come la stragrande maggioranza dei suoi compagni, rifiutò coraggiosamente questo disonore. In seguito, fu loro ripetutamente proposto di aderire alla Repubblica Sociale di Mussolini, ma solo una minoranza molto esigua accettò. Per gli altri, un futuro incerto, dove solo la fame, la sete, le umiliazioni, gli abusi e la malattia erano cosa sicura. Gli Internati Italiani furono assegnati a vari Arbeitkommando o squadre di lavoro, dentro e fuori del lager, impiegati insieme ai prigionieri sovietici, ultimi nella "scala" perchè "bolscevichi", nei lavori più degradanti e faticosi nell'agricoltura, nell'industria bellica ma soprattutto nello sgombero delle macerie nella zona di Amburgo, quasi completamente distrutta dai bombardamenti alleati. A migliaia morirono di stenti, di abusi e violenza, di malattie causate dalla denutrizione, dal freddo, dalle condizioni igieniche intollerabili. Mio padre, dal novembre '43, forse per punizione, fu trasferito al lager di Neuengamme, nei pressi di Amburgo, il più grande lager della Bassa Sassonia, con oltre 90 campi esterni o sottocampi, nei quali i prigionieri erano costretti ai lavori forzati. In quel lager erano attivi due forni crematori: la sempre crescente mortalità tra i prigionieri aveva reso insufficiente il crematorio provvisorio costruito nel 1941. Papà ne portò un indelebile ricordo, era una delle poche cose che menzionava di quel periodo della sua vita! A Neuengamme i prigionieri erano picchiati a morte, annegati, impiccati, vivevano nella costante paura di morire! Da lì, papà fu assegnato alle squadre di rimozione delle macerie, uno dei lavori peggiori, per vari motivi: il continuo rischio di crolli, il pericolo delle bombe inesplose che loro stessi dovevano disinnescare; l'immane sforzo fisico (10-12 ore giornaliere lavorando con picconi, pale e le nude mani); il freddo intenso (non indossavano altro che la loro divisa sudicia e strappata); il pericolo dei bombardamenti alleati, durante i quali agli IMI era vietato ripararsi nei rifugi antiaerei. In proposito, papà raccontava che durante un bombardamento, dal riparo di fortuna che aveva trovato, aveva visto un suo compagno, già ferito a morte, correre verso di lui con l'addome squarciato, per poi cadere a terra senza vita... Papà lavorò in quei mesi in vari campi satellite, tra cui quello di Hamburg-Neugraben dove si costruivano prefabbricati per la ricostruzione; in quello di Spaldingstrasse, ad Hamburg-Hammerbrook, dove nel solo mese di Dicembre 1943, morirono 400 prigionieri addetti allo sgombero delle macerie. Dal Luglio al Settembre 1944 mio padre fu trasferito a Kiel, per lavorare nel lager di Schutzenpark. Anche Kiel, città portuale, era stata pesantemente bombardata dagli Alleati e la manodopera degli "schiavi di Hitler" era preziosa. Il 20 Settembre 1944, gli IMI furono trasformati in lavoratori civili all'estero. Formalmente, la situazione migliorò sensibilmente (erano assicurati e sorvegliati da guardie civili e non più dalla Wermacht), ma di fatto le condizioni di umiliazione, sporcizia, fame, degrado, malattie, rimasero immutate. Erano considerati traditori e come tali erano bersaglio di soprusi e maltrattamenti anche da parte dei compagni di lavoro. Il 28 Settembre 1944, papà, già ritornato ad Amburgo, ebbe un incidente sul lavoro, di cui mai parlò, ma che risulta dai registri della Bauberufsgenossenschaft di Amburgo, con numero 3-12-44. Sempre da documenti originali dell'epoca, papà risulta essere stato impiegato nella rimozione delle macerie dalla ditta Aug. Prien di Amburgo Harburg, una grande impresa edile ancora oggi in piena attività. Questa ditta prelevava appunto manodopera dal lager di Neuengamme, per impiegare i prigionieri nei campi di lavoro, come quello di Spaldingstrasse, di Neugraben, di Kiel-Schutzenpark. In quel periodo papà era assicurato presso l'AOK, la cassa mutua dei lavoratori di Amburgo, ed era registrato come residente a Kirchdeich, nel quartiere amburghese di Wilhelmsburg, nella estrema periferia cittadina, confinante con la zona industriale di Hamburg, dove la ditta Prien aveva ed ha la sua sede, ed oggi ridente zona residenziale. Nell'Aprile '45, con l'avanzata degli Alleati, 9500 prigionieri furono trasferiti da Neuengamme e dai suoi campi satellite verso il lager di Sandbostel; altri furono trasferiti in diversi campi, ammassati in gruppi di 50-100 in carri bestiame, dove molti trovarono la morte. Quando le SS non poterono trasportare i prigionieri per ferrovia, li costrinsero ad interminabili marce forzate: chi, stremato, cadeva a terra, veniva immediatamente ucciso con un colpo di pistola! A Neuengamme, i tedeschi eliminarono tutta la documentazione esistente, occultando così ogni prova dei crimini commessi: la forca, il crematorio, la baracca delle torture, i documenti e i veicoli furono distrutti. I prigionieri, tra i quali mio padre, che riuscirono a raggiungere Sandbostel (molti persero la vita nel trasferimento forzato, le cosiddette marce della morte), furono liberati all'arrivo delle truppe Britanniche. Papà fu liberato il 4 Maggio 1945 e rimpatriato il 7 Agosto 1945, data in cui fu registrato al Centro Assistenza Rimpatriati di Pescantina (VR). Con mezzi di fortuna riuscì a raggiungere Lucca, dopo alcune settimane. La mamma, avvisata da un vicino che lo aveva visto mentre barcollante percorreva a piedi gli ultimi chilometri verso casa, gli corse incontro; si strinsero in un abbraccio per poi cadere a terra, lui sfinito, mia nonna per troppa emozione: dal Settembre '43, dopo la notizia della cattura, non aveva più saputo nulla di lui. Al suo ritorno a casa, papà pesava 38 Kg, aveva la pleurite e gli restavano solo 15 denti. Trascorse i primi 3 mesi dal suo ritorno in ospedale. Aveva 21 anni. La ripresa fu lenta e difficile, tanto che nel Dicembre 1949, fu nuovamente ricoverato con diagnosi di broncoperibronchite cronica con enfisema e insufficienza ventilatoria di notevole grado in deperito, accompagnati da disturbi neurologici; rimase in ospedale altri due mesi, sino alla fine di Gennaio 1950. Molti ex IMI morirono anche dopo la liberazione ed il ritorno in patria, per le condizioni di salute troppo compromesse e coloro che sopravvissero, ebbero comunque la vita segnata da quegli avvenimenti, fisicamente e psicologicamente. Papà lentamente riprese in mano la sua vita: si sposò, ebbe una famiglia, costruì una casa... ma nei miei ricordi di lui non trovo momenti di vera serenità, nè di spensierata allegria; ricordo invece i lunghi silenzi, le notti insonni, la salute sempre cagionevole. L'esperienza terribile della prigionia lo aveva segnato indelebilmente! Eppure, come per i suoi compagni, gli oltre 650.000 IMI, non vi fu, al ritorno in Patria, nessun riconoscimento: avevano opposto la loro orgogliosa ed eroica "resistenza dietro al filo spinato", accettando di soffrire anche fino a perdere la vita perchè non venisse meno la loro fedeltà verso il proprio Paese, ma l'Italia sembrò ignorare tutto ciò per lunghi anni, la loro vicenda restò misconosciuta fino agli anni '80, quando l'ex IMI Alessandro Natta riuscì a far pubblicare il proprio diario di prigionia e gli storici iniziarono a ricercare e studiare la vicenda. Papà morì a soli 60 anni, il 16 Febbraio 1985; io ero poco più che un ventenne, e non ebbi la possibilità, una volta adulto, di poter parlare e approfondire con lui, condividere con lui la sofferenza... Solo alla fine del 2017 trovai in casa dei miei genitori, in mezzo ad altre carte, il suo Foglio di Congedo, che riportava: Catturato il 9 Settembre '43 a Bolzano, deportato a Bremervorde. Da quella data e da quella città partì la mia ricerca tra archivi nazionali ed esteri, ministeri, associazioni, ect. Dopo un anno circa ero riuscito a ricostruire, in buona parte, quel vuoto di 18 mesi nella vita di mio padre. La mia rabbia, a mano a mano che approfondivo la conoscenza di quei fatti e la scoperta che essi fossero passati per anni sotto silenzio, mi spinse a fare qualcosa. Così, ottenni per mio padre gli encomi e le onorificenze che gli spettavano, oltre alla croce di guerra di cui era già stato insignito. - il 6.12.2017, la lettera di riconoscenza della Presidenza della Repubblica. - il 19.3.2018, il Distintivo d'Onore per i Patrioti Volonatri della Libertà. - il 2.6.2018. la Medaglia d'Onore al Merito per i Deportati Militari Italiani. - il 29.5.2018, il Diploma d'Onore per i combattenti per la Libertà d'Italia 1943-1945. - il 3.9.2018, l'Autorizzazione a fregiarsi del Distintivo e della Medaglia della Liberazione 1943-45. In seguito, fissai in un video la mia ricostruzione dell'intera sua vicenda di Internato, nel più ampio quadro degli avvenimenti di quegli anni. Infine, nel Giugno 2019, ho ripercorso le tappe di mio padre da Bolzano alla Germania e poi fino al suo rientro a Pescantina. In Germania ho visitato quel che resta del lager di Sandbostel, oggi Memoriale, il lager di Neuengamme, il cimitero militare Italiano di Ojendorf e i campi di lavoro che ho citato in questo scritto. Un'esperienza che ha portato, allo stesso tempo, tanto dolore e tante emozioni. Ho visto coi miei occhi i luoghi di quell'orrore, ma al tempo stesso, ho conosciuto la tenacia e la dedizione di coloro che della Memoria e della sua diffusione, soprattutto tra i giovani, hanno fatto la propria missione, il proprio lavoro, lo scopo della loro vita. Ho visto gli sguardi attenti delle scolaresche in visita nei lager, mentre muti ascoltavano ciò che veniva loro spiegato. Ma ho anche appreso con quante difficoltà, opposizioni ed interruzioni, il cammino verso la verità storica di quegli anni si sia fatta strada: il terreno su cui sorgeva il lager di Sandbostel venduto e diventato quasi totalmente una zona industriale; la lapide che ricordava il lager di Spaldingstrasse ad Amburgo più volte rimossa perchè "scomoda" per i commercianti della via; la pietra con la targa che ricordava il sacrificio degli "schiavi prigionieri" nel sottocampo di Neugraben, anch'essa ripetutamente violata o rimossa. Un filo di speranza che tanto orrore non abbia a ripetersi, l'ho trovato nell'incontro casuale con un anziano signore tedesco, nel Cimitero Militare Italiano di Ojendorf. Con la voce rotta dall'emozione e con le lunghe pause di commozione, più che con le parole, ha espresso tutta la sofferenza della guerra che aveva vissuto da bambino. Prima di andarsene, accennando alle migliaia di lapidi bianche degli Italiani lì sepolti, mi ha detto queste esatte parole " Ogni volta che vengo al cimitero a visitare i miei genitori, vengo sempre a trovare anche i miei amici Italiani". Girando le spalle con gli occhi lucidi e le labbra tremolanti, si è incamminato, ma non ho potuto fare a meno di vedere che stava piangendo! Marcello Galli