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151° ANNIVERSARIO UNITA’ D’ITALIA: A CHI INTERESSA?

151° ANNIVERSARIO UNITA’ D’ITALIA: A CHI INTERESSA?

Gentile Direttore,
esattamente un anno fa non c’è stato cittadino italiano che non abbia partecipato a una delle tante iniziative per il 150esimo dell’Unità italiana o non si sia sentito coinvolto emotivamente da inni, discorsi e bandiere sventolanti.
Oggi, 17 marzo 2012, il silenzio; anzi un silenzio assordante che stride con i fiumi di retorica di un anno fa.
Perché questa situazione? Saremmo tentati di dire che noi italiani non amiamo la storia perché la scuola ce l’ha sempre insegnata male oppure perché la storia fa sbadigliare.
È inutile dire che sono “spiegazioni” molto banali.
Nei limiti delle poche righe di una lettera cercherò di far capire perché il Risorgimento non è mai entrato nel cuore degli italiani. È inutile dire che si tratta di semplici opinioni, nessuna pretesa di pontificare, solo offrire qualche spunto per capire e discutere.
Il processo che portò all’unificazione italiana partì dallo Stato sabaudo e coincise con una vera e propria “conquista regia” della penisola italiana che fu realizzata da Vittorio Emanuele II nel 1861.
La prima e seconda guerra di indipendenza (1848-49 e 1859) sono il tentativo del Piemonte sabaudo di allargare i propri territori verso la Lombardia e l’Adriatico. Con il concorso di circostanze irripetibili (appoggio diplomatico inglese e debolezza francese), Garibaldi unì il Sud con il Nord (settembre 1860).
Il grande assente in questo processo furono le masse contadine che fino alla spedizione di Garibaldi in Sicilia stettero a guardare ciò che stava avvenendo. Tra i vari motivi che permisero a Garibaldi di conquistare tutto il Sud borbonico un fattore importante fu sicuramente l’appoggio popolare di migliaia di contadini che sgretolarono il “grande malato”: il governo borbonico di Francesco II.
Perché i contadini siciliani e poi i contadini delle altre regioni meridionali appoggiarono Garibaldi? Perché fin dallo sbarco a Marsala e poi con il Proclama di Salemi Garibaldi promise ai contadini le terre demaniali e degli aristocratici borbonici.
Gran parte dei contadini meridionali aveva “fame” di terre e promesse così allettanti non potevano passare inosservate. Per loro il Risorgimento della nazione italiana aveva un senso solo se avessero ottenuto terre di proprietà come condizione per uscire da quella miseria nera che ben conoscevano.
Sappiamo poi come andarono a finire le cose: i contadini ebbero solo promesse, le nuove leggi piemontesi peggiorarono le già critiche condizioni sociali del Sud facendo esplodere il fenomeno del Brigantaggio, in realtà un profondo moto di protesta delle masse contadine minacciate nella loro sopravvivenza.
La repressione fu durissima fin nei mesi in cui a Torino-capitale si celebrava l’Unità: villaggi distrutti, civili messi al muro, distruzione di raccolti, violenze inenarrabili, migliaia e migliaia di morti.
Da qui nacque nel Sud un odio tenace, duraturo, inestirpabile verso tutto quello che era Stato italiano.
È inutile dire che la prima vittima fu il Risorgimento che nel Sud sembrò portare miseria ancora maggiore, il dissolvimento del fragile tessuto sociale dell’epoca borbonica, l’emigrazione di massa con il nuovo secolo e tante altre realtà che facevano del Sud un‘area di disperazione sociale.
Anche nel Nord il Risorgimento rimase un fenomeno minoritario convolgendo quasi esclusivamente i giovani borghesi colti di ambiente urbano.
Sarebbe stato importante coinvolgere i contadini del Centro-Nord i quali avrebbero rappresentato una massa d’urto di proporzioni incalcolabili rispetto alla presenza militare austriaca.
Perché i contadini settentrionali rimasero passivi? Perché non potevano capire i messaggi patriottici essendo analfabeti? Sicuramente. Ma c’è un altro aspetto.
Se i rivoluzionari della scuola di Mazzini e Cattaneo avessero proposto ai contadini una profonda riforma terriera dopo la cacciata degli austriaci sicuramente il mondo contadino settentrionale sarebbe uscito dal suo letargo secolare. Solo Pisacane avvertì il problema di una profonda riforma sociale a favore delle campagne, ma non ebbe seguaci.
Se la riforma agraria non fu nemmeno abbozzata è perché i giovani protagonisti del Risorgimento erano in gran parte figli della borghesia e dell’aristocrazia terriera oppure non volevano mettere in discussione gli assetti proprietari come era stato fatto in Francia al tempo della Rivoluzione del 1789.
Nessuno voleva in Italia le violenze che avevano accompagnato il 14 luglio dell’ 89: incendio di castelli, assalti alle ville padronali, distruzione dei catasti, massacri di preti e aristocratici… e in prospettiva l’ombra della ghigliottina.
La paura delle masse contadine, una volta che fossero entrate da protagoniste nella Storia, impedì di estendere alle campagne la lotta risorgimentale al prezzo da limitarne la forza materiale e il consenso.
Quando le masse contadine del Nord (ossia la gran massa della popolazione) si ribellarono contro le nuove tasse, esempio la famigerata Tassa sul Macinato (1869), trovarono sempre in piazza i soldati in assetto di guerra e pronti a sparare a vista.
Quindi, a mio parere, l’Italia nuova nacque subito zoppa mostrando ovunque un volto violento e intollerante nei confronti delle masse contadine e dei pochi nuclei di operai.

C’erano le condizione per amare il Risorgimento e farne un momento fondante della costruzione dello Stato? Quali valori potevano rappresentare la Patria e la Nazione per chi piangeva i propri morti uccisi dai soldati oppure per chi si preparava a varcare il “mare-oceano” per non morire di fame?

Sono passati 150 anni e le generazioni che hanno fatto o subito l’Unità sono morte per lasciare il posto ad altre generazioni sempre più lontane da quegli anni: ma i limiti in cui l’Italia si realizzò sono entrati profondamente nel nostro modo di pensare.

Mi rendo conto che sono problemi grossi, che non possono esaurirsi in poche righe. Ma credo di poter dire che se oggi la data del 17 marzo non ha il valore universale del 14 Luglio in Francia o del 4 Luglio negli Stati Uniti una ragione ci deve essere e deve essere cercata nella Storia, probabilmente all’interno delle contraddizioni in cui si è realizzata l’Unità italiana.

In ogni caso l’unificazione è stato un momento fondamentale che non si può ridicolizzare come spesso si fa. Ma essere d’accordo con qualcosa non vuol dire accettare tutto.

Giancarlo Restelli