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3 ottobre 2016. Giorno Memoria dei Migranti di ieri e di oggi

Appunti per conferenza
Nell’aprile dell’anno scorso il Parlamento e poi il Senato hanno approvato un nuovo giorno della memoria: “3 ottobre, Giornata della memoria e dell’accoglienza”.
Il 3 ottobre del 2013 avvenne una delle stragi più gravi nel Mediterraneo: un barcone alla deriva a poche meglia dalla costa di Lampedusa, un incendio a bordo, ritardi nei soccorsi e alla fine su 500 migranti, 366 morti e 155 salvati.
Da qui, dice il testo di legge, “Una giornata in memoria di tutte le vittime dell’immigrazione come strumento per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla strage che avviene nel Mediterraneo e non solo e costruire una cultura di accoglienza per le persone che sfuggono da guerre e miseria cercando salvezza in Europa”.
E’ con questo spirito, memoria e accoglienza, che anche qui a Legnano abbiamo pensato a un percorso tra storia e attualità al fine di riflettere su quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo in parallelo con le tragedie della nostra emigrazione di un secolo fa.

Cominciamo con un bel video che racchiude il significato che vogliamo dare all’incontro di questa sera.

Video “Solo andata” / intero

Avete notato che il volto della donna salvata dal mare è lo stesso della fotografia che il pescatore tiene nel portafoglio. Non c’è differenza sostanziale tra chi un tempo lasciava un’Italia in cui dominava una cupa miseria e chi oggi lascia il proprio paese infestato dalle guerre oppure da situazioni di forte degrado sociale.
L’emigrante, anche se passano decine e decine di anni e viene da continenti e paesi lontani, ha sempre lo stesso volto.

Nel nostro incontro ci saranno due momenti. Nel primo racconteremo come i nostri emigranti affrontavano il Mediterraneo, l’Atlantico e analizzeremo alcune tragedie sul mare che hanno accompagnato la nostra emigrazione. Poi racconteremo che cosa è accaduto il 3 ottobre del 2013 a pochi chilometri dalla costa di Lampedusa. In sintesi: 366 morti e forti ritardi nei soccorsi da parte della Guardia Costiera.

I lazzaretti sull’oceano
Prima ancora dei naufragi nel Mediterraneo o nelle acque dell’Atlantico, a sorprendere sono le terribili condizioni in cui viaggiavano i nostri emigranti sulle navi che dall’Italia li avrebbero portati a New York, Boston, Montevideo, San Paolo, Buonos Aires. Un viaggio che con le navi a vapore sul finire dell’Ottocento, per le rotte più brevi, durava 15-18 giorni fino ad arrivare a poco meno di un mese per le rotte più lunghe (Sudamerica).
Ma la durata della traversta derivava soprattutto dalla vetustà della nave. In genere erano vecchie carrette del mare che avevano già sulle spalle una ventina di anni di “onorata carriera”. Nel momento del varo erano magari buone navi per velocità e affidabilità ma dopo aver trasportato merci su e giù i mari e gli oceani, avrebbero dovuto andare in cantiere per l’ultimo viaggio.
Non fu così perché gli armatori riciclarono le loro navi per il trasporto degli emigranti in barba a ogni regolamento e soprattutto in accordo con le varie autorità portuali che invece avrebbero dovuto vigilare.
Abituati a calcolare le merci trasportate in tonnellate gli armatori non calcolavano il numero dei passeggeri ma le “tonnellate umane” di ogni trasporto. Ecco perché in molti casi non sapremo mai il numero dei morti nei naufragi: perché nessuno a bordo sapeva quanta gente era stata imbarcata.

Momento dell’imbarco in Nuovomondo
https://www.youtube.com/watch?v=bUtn14WKAGQ
da 40.30 a 46.22

Durante il viaggio
Anche quando la nave non aveva avarie e quando non si scatenavano epidemie, le condizioni in cui viaggiavano gli emigranti fanno indignare ancora oggi.
Scrisse un medico della White Star Line, durante un viaggio da Napoli e New York (1905): “La temperatura (spesso molto alta perché numerose lettiere erano in prossimità della sala macchine) non è il solo fattore che rende nei dormitori l’atmosfera irrespirabile. Vi concorre il vapore acquo e l’acido carbonico della respirazione, i prodotti volatili che nascono dalla secrezione dei corpi, dagli indumenti dei bambini e degli adulti, che per tema o per pigrizia non esitano a emettere urine e feci negli angoli del locale. La puzza è tale che il personale di bordo si rifiuta spesso di entrare per lavare i pavimenti”.
E’ vero che le abitudini degli emigranti erano un po’ primitive, ma è anche vero che se le latrine fossero state in numero sufficiente e non subito intasate fin dalla partenza, probabilmente sarebbe stata possibile un po’ più di pulizia.
Volle fare un viaggio degli emigranti, per poi raccontarlo sul suo giornale, Ferruccio Macola, direttore del “Secolo XIX” di Genova:“Figuratevi 500 persone ammassate in uno spazio di altrettanti metri cubi d’aria, con una ventilazione insufficiente nelle condizioni normali, più insufficiente allora perché i finestrini erano rasenti la linea d’acqua e gli altri con il mare agitato non si potevano aprire. Scesi nelle corsie. Io inorridivo, mentre il sudore mi colava da tutti i pori, allargati quasi instantaneamente in quella temperatura asfissiante e corrotta… Si fece il giro delle corsie. Che orrore! Ci tenevamo ben stretti alle traversine di legno, perché il suolo imbrattato un po’ qua e un po’ là di materie ignobili, rendeva pericoloso qualunque movimento. Non mi sono mai spiegato come tante creature umane potessero vivere là dentro, qualche volta 20, qualche volta 30 e più notti, respirando le esalazioni più pestifere in un’aria umida, vischiosa, corrotta dai gas acidi sviluppati dal cibo mal degerito e rigettato”.

Che cosa accadeva sottocoperta quando c’era una tempesta in mare?

Da Nuovomondo, tempesta in mare
https://www.youtube.com/watch?v=bUtn14WKAGQ
da 1.00.47 a 1.06.34

Nessuna sorpresa quindi se a bordo fin dalla partenza si sviluppavano le più diverse malattie, spesso epidemiche come il vaiolo e il colera oppure le tante malattie che falcidiavano i bambini.
Pur essendo i bambini un’esigua minoranza tra i passeggeri il maggior numero di morti riguardava neonati e bambini, in genere due su tre. I bambini morivano di malattie dell’apparato respiratorio: bronchite, polmonite. Poi morivano di enterite, meningite oppure per incidenti vari durante la traversata, per esempio cadendo dalle cuccette più alte (fino a 2 metri e mezzo da terra, 4° livello). Spesso i dormitori peggiori, quelli vicino alla sala macchine, erano dati alle donne e molte volte le donne avevano con sé neonati e bambini. Anche l’alimentazione, spesso cattiva e pensata solo per gli adulti, influiva sulle condizioni di salute dei bambini.

Qualche dato della mortalità sui “piroscafi cimitero”. Il piroscafo Cachar, partito per il Brasile nel dicembre 1888, ebbe a lamentare 34 vittime per asfissia e alcune addirittura per fame. Il Frisia, salpato ancora per il Brasile, ebbe a contare 27 morti per asfissia (le cuccette troppo vicine alla sala macchine) e 300 ammalati. Il Parà ebbe 34 morti per un’epidemia di morbillo. Il Vincenzo Florio nel 1894 ebbe 20 morti su 1321 emigranti e l’Andrea Doria, nello stesso anno, 159 morti su 1317 emigranti.
L’Andrea Doria ebbe così tanti morti, a causa del colera, perché dopo un viaggio allucinate verso il Brasile, le autorità brasiliane non dettero il permesso di poter sbarcare e così, con il colera a bordo, la nave dovette tornare in Italia. E non fu l’unico caso.
Quante analogie con quanto avviene oggi dove chi sale su un barcone dalla Libia o dalla Tunisia o dalla Turchia non è per nulla certo di arrivare a destinazione vivo!

Il “Matteo Bruzzo”
Famosa è l’odissea del Matteo Bruzzo partito da Genova per Montevideo nell’ottobre del 1894. Si sapeva che il colera aveva provocato vittime anche in Liguria ma i controlli medici prima dell’imbarco erano inesistenti (se no si perdeva tempo) e si sperava (in caso di epidemia a bordo) che le autorità uruguage avrebbero chiuso un occhio. Invece le cose non andarono così.
Tra i 1200 emigranti c’era almeno un coleroso alla partenza. Infatti fino a Montevideo ci furono 4 decessi. Il porto fu chiuso alla nave e mentre la nave attendeva a bordo scoppiò l’epidemia. Le autorità portuali imposero alla nave la ripartenza.
Il comandante chiese l’autorizzazione a sbarcare a Rio de Janeiro. I brasiliani spararono cannonate alla nave in segno di ammonimento e collocarono all’ingresso del porto una cannoniera. Il capitano decise di ritornare e durante la traversata ci furono altre 19 morti per colera. La “nave di lazzaro” fu portata a Pianosa in quarantena. Finalmente dopo tre mesi arrivò a Livorno.

Il “Carlo Raggio”
Stesso destino il Carlo Raggio. Il vapore partì da Genova nello stesso anno, il 1894, già stracarico, poi arrivò a Napoli (città periodicamente afflitta dal colera) imbarcando altri emigranti. A Barcellona ne caricò altri 200. In totale 1700 persone. Scrisse un certo Toniazzo, un sarto, anche lui su quella nave:“Cominciai a d aver paura, perché era una cosa seria; eravamo troppo ammucchiati per poter camminare; come si fa a stare in piedi, senza muoversi? Si costruirono, ad esempio, più di 150 piccoli letti, o meglio, cucce per cani, e tutti gli spagnoli e un centinaio di napoletani dormivano sul duro pavimento”.
Ancora abbondantemente nel Mediterraneo ci fu il primo caso di “male blu”. Il comandante avrebbe dovuto invertire la rotta ma a questo punto la compagnia avrebbe dovuto a sua volta restituire i soldi del biglietto: il comandante decise di proseguire fidando nella buona stella e su San Gennaro.
Anche qui le autorità di Rio de Janeiro rifiutarono lo sbarco con la minaccia di affondare la nave. E così il Carlo Raggio affrontò il ritorno. Aveva solo 16 (!!) persone d’equipaggio.
Quando arrivarono all’Asinara, per la quarantena, avevano già scaricato in mare 141 persone uccise dal colera e 70 per malattie varie. In totale 211 morti. Quasi 4 persone per ogni giorno di navigazione.

Da notare che quando andava bene c’era un solo medico (senza infermieri) per tutte le persone a bordo, spesso non c’erano locali per separare le persone infette, c’erano pochi medicinali e cibo per i malati e soprattutto il medico non aveva lo status di ufficiale capace di dare ordini e ottenere rispetto. Era un semplice dipendente della compagnia di navigazione e poteva essere messo a tacere da un qualunque sottufficiale di bordo.

I Naufragi
E poi c’è il terribile capitolo dei naufragi. Era carica di emigranti italiani l’Ortigia, che naufragò nel 1880 davanti alle coste argentine con 149 morti. E così il Sudamerica che si inabissò nelle stesse acque con 80 persone. Naufragò il Bourgogne al largo della nuova Scozia con 549 morti.
Non c’erano solo emigranti italiani su queste navi, soprattutto se partivano dai vari porti europei: c’erano francesi, spagnoli, tedeschi, irlandesi, svedesi… tutti uniti nel comune destino di un’Europa dove si emigrava per cercare lavoro così come oggi l’Europa è meta di tanti viaggi della speranza.

Il “Titanic”
Anche a bordo del Titanic (1517 morti annegati) c’erano italiani in quella traversata del 1912, come Abele Rigozzi, un aquilano che sognava l’America o Sebastiano Del Carlo, un giovane di Altopascio che dopo aver fatto un po’ di fortuna nell’America era tornato per sposare una ragazza del suo paese e ora, marito e moglie, stavano tornando negli States. La donna si salvò e raccontò che era salita su una scialuppa grazie al marito. Lui non potè salire perché era già strapiena. La salutò per l’ultima volta così: “Vai. Non preoccuparti, ci vedremo più tardi”. Sembra la storia di Rose e Jack nel film di Cameron!
(inserisci la foto di Rose e Jack in mare)

L’ “Utopia”
L’Utopia salpò da Trieste nel marzo del 1891. Nel porto di Gibilterra il comandante, con una manovra spericolata, andò a speronare una nave da guerra inglese dotata di un lungo e affilato rostro a pelo d’acqua. Complice anche il mare in burrasca il bilancio fu terribile: 576 annegati anche perché tutto il personale tranne il comandante e pochi uomini fidati aveva subito abbandonato la nave. E così alcune scialuppe si ruppero, altre non poterono essere fatte calare in acqua in una incredibile confusione tra gli stessi migranti che si disputavano i pochi salvagente con il coltello tra le mani.
Ci fu un processo (durò 2 giorni!) ma senza nessun colpevole: né gli uomini dell’equipaggio né il comandante per la manovra azzardata nel porto di Gibilterra. Neppure la compagnia fu chiamata in causa per la vetustà della nave, in particolare dei motori, che se in buono stato avrebbero forse permesso al comandante di evitare l’impatto.
Particolare interessante: dopo la collisione la nave stava mezza inabissata all’ingresso del porto e così con un ingegnoso sistema idraulico venne recuperata. Al riemergere della nave vennero trovati sottocoperta decine di poveri resti, tra cui una donna che stringeva ancora al petto il suo bambino. Qualcuno la chiamò la “Madonna dell’Utopia”.

3 ottobre 2013
Il 3 ottobre del 2013 avvenne una tragedia nel Mediterraneo che colpì molto l’opinione pubblica italiana. La dinamica è molto semplice, anche perché si è ripetuta più volte.
Un pescheccio mal ridotto, lungo 20 metri (!), con circa 500 migranti somali ed eritrei a bordo, a poche centinaia di metri da Lampedusa ha un’avaria. Sono alla deriva ma la costa è vicina. Sono le prime ore della mattinata, ancora c’è buio.
A bordo viene accesa una torcia per richiamare qualcuno dalla costa, per esempio i pescatori che sono quasi pronti per prendere il largo. Nella confusione e nella mancanza di spazio la torcia cade nel barcone e l’imbarcazione prende fuoco. Probabilmente c’era del gasolio sul ponte.
A questo punto si scatena il panico. Molti si buttano in acqua, alcuni vengono investiti dalle fiamme, molti sono intrappolati nella stiva. Intanto il barcone affonda.
Le urla delle persone in mare richiamano i pescatori sulla riva e molti si muovono subito con le loro imbarcazioni portando aiuto. La capitaneria di porto viene avvisata subito ma sembra che ci siano voluti quasi 60 minuti per compiere tre miglia.
Mentre i pescatori caricavano all’inverosimile le loro barche con le persone in mare, da parte di una vedetta della guardia costiera arrivò ai pescatori l’ordine di allontanarsi dal punto del naufragio. Probabilmente in ossequio alla legge Bossi-Fini non si doveva “favorire” l’emigrazione clandestina.

Alla fine, a pochi chilometri dalla costa (!) e con l’allarme immediato, ci furono 366 morti.

Vediamo un video di quei giorni (è il 5 ottobre) con una parte dei corpi recuperati in mare e portati in un hangar.

Video Corriere, corpi nelle bare
-http://video.corriere.it/dentro-hangar-camera-ardente-111-vittime/f2c0eaa6-2de4-11e3-89d5-cdac03f987bf
dall’inizio a 4.10

Mentre si raccolgono i corpi dal mare divampano le polemiche. I più polemici sono i pescatori i quali rischiano di essere accusati di violazione della legge in fatto di immigrazione illegale perché hanno portato soccorso e hanno salvato delle vite portandole a terra.

Video Corriere, i pescatori raccontano
http://video.corriere.it/lampedusa-non-volevano-farmi-andare-porto-naufraghi/ef5925c2-2dad-11e3-89d5-cdac03f987bf

Sembra incredibile ma i pescatori vennero iscritti sul registro degli indagati per favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Atto dovuto si disse, ma la legge (la Bossi Fini) fece il suo corso.
Infatti dopo il naufragio di Lampedusa, il sindaco Giusi Nicolini disse di tre pescherecci che si sarebbero allontanati e non avrebbero soccorso i migranti in mare «perché il nostro paese ha processato i pescatori che hanno salvato vite umane per favoreggiamento all’immigrazione clandestina».
Il riferimento del sindaco era probabilmente all’episodio dell’8 agosto del 2007 quando i capitani tunisini di due pescherecci salvarono 44 naufraghi provenienti dall’Africa che stavano per affogare e li portarono nel porto più vicino, quello di Lampedusa. Vennero sospettati di essere scafisti, subirono un processo lungo quattro anni (con una prima condanna a più di due anni), 40 giorni di carcere e il sequestro degli strumenti di lavoro.
Il Testo Unico sull’immigrazione prevede il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per chiunque porti in Italia dei migranti senza un visto d’ingresso. Il reato punito è con la reclusione fino a tre anni e con una multa fino a 15mila euro per ogni persona “favorita”.
Del processo contro i pescatori tunisini si occuparono molto la stampa estera e il Parlamento europeo: nel settembre del 2007, un centinaio di europarlamentari sottoscrissero un appello di solidarietà con i marinai tunisini.

Sequenza sequestro della barca in Terramare
https://www.youtube.com/watch?v=R19t5mrZ2GM
da 40.24 a 43.25

Nelle settimane successive si procedette al recupero del barcone soprattutto per riportare alla luce i tanti corpi che erano rimasti in fondo al mare. Ricordate la “Madonna dell’”Utopia”? La donna ritrovata nella stiva di quella nave con ancora stretto forte tra le braccia il proprio bambino.
Anche qui parallelismi inquietanti tra “noi” e “loro”. Quasi capitoli diversi di una stessa storia.

Video recupero corpi intrappolati nel barcone
1 min e mezzo

Quante analogie tra “noi” e “loro”. Guardate queste fotografie.
Sono alcuni corpi recuperati dal mare di Lampedusa (2 foto) mentre questa è una foto del 1906 con i corpi del Sirio che il mare aveva portato a riva (foto Sirio).

Terminiamo il capitolo Lampedusa con una dolente riflessione dello scrittore Erri De Luca.

Video De Luca, il sale per non dimenticare

da 1.34 a 5.20

Ora qualche considerazione, prima di concludere, sul problema migranti in Europa e Italia, al di là delle solite chiacchiere dei mass media e di chi per fini elettorali pone la questione in termini terroristici: l’ “invasione”, il “terrorismo”, la perdita della “nostra cultura”, delle “radici cristiane” e via di questo passo.
Prima di tutto qualche dato.

Dal 1945 ad oggi la popolazione europea è cresciuta. Comprendendo anche la Russia oggi in Europa ci sono 743 milioni di abitanti ma ci dicono le Nazioni Unite che dal 2015 al 2050 la popolazione (nonostante gli immigrati) diminuirà di 34 milioni (- 5%). Anzi, se tutte le nazioni europee tenessero le porte ermeticamente chiuse l’Europa conoscerebbe un declino demografico di particolare gravità perdendo fino al 2050 87 milioni di abitanti, pari al 12%.
La forza lavoro scenderebbe dai 226 milioni di occupati del 2005 ai 160 milioni del 2050.

Quali sono le conseguenze più immediate e più facili da capire?
Lo scenario apparirebbe preoccupante: milioni in meno di lavoratori che producono e pagano le tasse e milioni in più di pensionati e grandi anziani che necessitano di cure e assistenza. Quindi prima di tutto si imporrebbe di alzare l’età pensionabile di parecchi anni. Altra conseguenza inevitabile l’aumento delle tasse.

Scrive Galli della Loggia sul “Corriere” dell’aprile dell’anno scorso:“Degli immigrati abbiamo bisogno: altrimenti nel giro di pochi decenni la nostra economia si fermerà, e saremo condannati a divenire una società di vecchi poveri, senza pensione, isterilita, priva di energie vitali, di creatività. La demografia non è una favola: è una scienza: senza l’immigrazione ci avvieremmo a una lenta ma irreparabile scomparsa. Quanti nostri cittadini sono consapevoli?”

Ancora qualche dato
In Italia ora ci sono 5 milioni di stranieri su una popolazione di 60 milioni di abitanti. 5 milioni sono l’8,3% della popolazione. È difficile parlare di invasione! Altri paesi hanno percentuali più alte: Regno Unito, Francia e Germania hanno una popolazione “straniera” sull’ordine del 12%, la Spagna è arrivata al 14%. Un quarto dei francesi è figlio o nipote di immigrati, quasi un decimo della popolazione in Germania è nata fuori dalla nazione tedesca.
Anche la temuta invasione di clandestini non ha ragione di essere: oggi in Europa sono 4 milioni di clandestini, pari allo 0.8% della popolazione europea. Sono tutti dati dell’ISPI di Milano (Istituto per gli Studi di politica internazionale).

Che cosa fanno gli stranieri in Italia? Producono ricchezza
Due milioni e trecentomila occupati non italiani contribuiscono alla produzione di 123 miliardi di euro di valore aggiunto, ovvero l’8,8% della ricchezza nazionale complessiva.
Un altro contributo all’economia italiana arriva dagli imprenditori stranieri: gli imprenditori nati all’estero e attivi in Italia sono oltre 632mila, pari all’8,3% del totale.
Bisogna aggiungere poi che i 2,3 milioni di occupati immigrati, proprio perché giovani, pagano contributi pensionistici che tengono in piedi l’INPS senza riscuotere le relative pensioni (ora sono giovani e quelli che tornano in patria non potranno mai goderne).
Sintetizza bene il “Mondo economico” in un articolo di alcuni mesi fa:“O facciamo entrare in Italia 300mila nuovi immigrati l’anno oppure bisognerà cambiare radicalmente la politica finanziaria (leggi più tasse) ed il welfare (leggi ridurre pensioni ed assistenza sanitaria)”.

Pensiamo solamente a che cosa accadrebbe se tutti gli immigrati fossero costretti ad andarsene dall’Italia.
– Pensiamo alle badanti (la categoria più numerosa). Quante donne (ma anche uomini) che oggi lavorano o sono in carriera dovrebbero lasciare il lavoro (o ricorrere a forme complesse di partime) per badare ai genitori o parenti bisognosi di assistenza quotidiana?
– Quanti insegnanti verrebbero licenziati se tutti i bambini e giovani fossero costretti a lasciare la scuola italiana?
– Quanti piccoli e medi imprenditori sarebbero in crisi dalla sera alla mattina se venisse a mancare una manodopera spesso in nero, pagata pochissimo e sfruttabile al massimo?
A raccogliere i pomodori, a lavorare nell’edilizia, nella pesca, nelle pizzerie, nell’allevamento o nelle fonderie mandiamo i giovani italiani diplomati o laureati?

Non è un caso che anche i partiti più xenofobi in Italia si guardano bene dall’invocare la cacciata degli stranieri ben consapevoli degli interessi di chi vota per loro. Alimentano invece una paura in gran parte immotivata sui recenti flussi migratori facendo finta di ignorare la crescente importanza dei giovani immigrati per la tenuta del sistema economico e sociale del nostro paese.

Molti motivi per riflettere ed evitare le paure irrazionali sparse a piene mani dai tanti che speculano su quanto accade.