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8 Marzo, l’incendio alla Triangle Waist Company (25 marzo 1911)

Tra pochi giorni ci sarà l’8 Marzo e vorrei fare qualche precisazione di carattere storico su questa data.

Prima di tutto sgombriamo il campo dal più facile degli equivoci: l’8 Marzo non ricorda il fantomatico incendio a New York della fabbrica “Cotton” (8 marzo 1908), per il semplice motivo che questo fatto non è mai accaduto.

Per anni si è scritto e ci si è indignati di fronte al presunto proprietario dell’azienda, il signor Johnson, il quale da vero negriero sfruttava le donne al lavoro imponendo turni estenuanti e addirittura chiudendo gli accessi alla fabbrica per impedire pause, innescando indirettamente l’incendio con decine di vittime.

Nel Museum of the City of New York, che si trova nell’Upper East Side, sono ricordati tutti gli incendi che purtroppo devastarono la città: della fabbrica “Cotton” e dell’8 marzo del 1908 non c’è traccia. Invece nel museo è narrato con immagini shock l’incendio della fabbrica “Triangle” del 1911, probabilmente la vera origine della ricorrenza dell’8 Marzo.

Che cosa accadde quel giorno?

Era il 25 marzo del 1911 e cinquecento ragazze e donne giovani (tra i 15 e i 25 anni), più un centinaio di uomini stavano lavorando in un palazzone di Washington Place a New York. La fabbrica di camicie si chiamava “Triangle Waist Company” e occupava gli ultimi tre piani dell’edificio.

Le donne della “Triangle” lavoravano sessanta ore la settimana ma non si contavano gli straordinari imposti e poco pagati. Ma forse non era nell’estenuante orario di lavoro il vero malessere delle operaie: la sorveglianza era feroce ed era esercitata da “caporali” esterni, retribuiti a cottimo dai padroni, ognuno dei quali sorvegliava e retribuiva a sua volta sette ragazze imponendo loro ritmi massacranti, che spesso erano origine di incidenti durante le ore lavorative.

Gli ingressi erano chiusi a chiave per impedire alle lavoranti di lasciare il proprio posto di lavoro, seppure per pochi minuti. Il sindacato non era mai entrato in quella azienda. Diritti zero, sicurezza inesistente.

Sono le 16.40 di quel maledetto venerdì quando per cause accidentali si propagò l’incendio che a partire dall’ottavo piano lambì subito il nono e poi devastò il decimo.

Alcune donne riuscirano a scendere lungo la scala anti incendio ma presto crollò sotto il peso di tante disperate preda del terrore, anche l’ascensore cedette quasi subito. Le operaie dovettero salire al decimo piano ma anche lì arrivò il fuoco e quel giorno a New York si videro scene che poi si rividero nella stessa città l’11 settembre del 2011, il giorno dell’attacco alle Twin Tover.

Lascio la parola a Gian Antonio Stella il quale qualche anno fa è stato il primo ad associare l’8 Marzo all’incendio della “Triangle” (“Quella svista sull’8 marzo”, Corriere della Sera, 8 marzo 2004).

«La folla da sotto urlava: “Non saltare!”», scrisse il New York Times. «Ma le alternative erano solo due: saltare o morire bruciati. E hanno cominciato a cadere i corpi». Tanti che «i pompieri non potevano avvicinarsi con i mezzi perché nella strada c’erano mucchi di cadaveri». «Qualcuno pensò di tendere delle reti per raccogliere i corpi che cadevano dall’alto», scrisse il Daily, «ma queste furono subito strappate dalla violenza di questa macabra grandinata. In pochi istanti sul pavimento caddero in piramide orrenda cadaveri di trenta o quaranta impiegate alla confezione delle bleuses». «A una finestra del nono piano vedemmo apparire un uomo e una donna. Ella baciò l’uomo che poi la lanciò nel vuoto e la seguì immediatamente». «Due bambine, due sorelle, precipitarono prese per la mano; vennero separate durante il volo ma raggiunsero il pavimento nello stesso istante, entrambe morte».

Scene terrificanti che fanno ancora oggi inorridire e muovere a pietà. Ma questa tragedia ci riguarda da vicino perchè delle 146 donne sfracellate al suolo 39 erano italiane, immigrate nella Grande Mela, quindi. Le altre erano in gran parte ebree venute negli Stati Uniti dall’Europa orientale, dalla Russia soprattutto, per sfuggire i terribili pogrom che periodicamente si abbattevano sulle povere comunità ebraiche dell’Est. Il loro “sogno americano” si infranse su un marciapiede.

Inutile chiedersi che cosa accadde ai proprietari della “Triangle”: tutti assolti.

Non siamo sicuri, ed è lo stesso Stella a sottolinearlo, che l’incendio della “Triangle” sia all’origine dell’8 Marzo. Ma forse non c’è episodio più signficativo per cogliere da vicino la condizione della donna nella società industriale: sfruttata bestialmente per pochi soldi, priva di diritti, tra cui anche il diritto di voto; circondata dal pregiudizio di una presunta inferiorità morale ed intellettiva rispetto all’uomo; libera solo di scegliere se morire di parto, in una fabbrica di camicie, per mano di un bruto o uccisa dalla polizia nella repressione dei frequenti scioperi dell’epoca.

Testimonianze della Triangle

Lo sfruttamento

“Per prima cosa lasciatemi spiegare in che modo lavoriamo e quanto veniamo pagate. Ci sono due tipi di lavoro: quello regolare e quello a cottimo. Il lavoro regolare viene pagato circa 6 dollari alla settimana e le ragazze devono stare alle macchine alle 7 in punto del mattino fino alle 8 di sera, con solo mezz’ora di pausa pranzo. C’è solo una fila di macchine alla luce del sole, quella più vicina alle finestre. Le ragazze delle altre file di macchine devono lavorare alla luce delle lampade a gas, sia di giorno che di notte … perché si lavora anche di notte.

I capi in fabbrica non sono proprio dei gentleman, per loro le ragazze sono parti delle macchine. Urlano contro le ragazze e le riprendono così duramente che mi immagino gli schiavi neri del Sud. Non ci sono spogliatoi per le ragazze, devono appendere i loro cappelli e cappotti a chiodi piantati nel muro. La fabbrica è insalubre.

Se viene trovato un difetto sul pezzo che stiamo lavorando, al di là che sia colpa nostra o no, dobbiamo pagare il pezzo, e a volte per l’intera iarda di materiale. Ogni tanto ci tolgono due dollari dalla paga, ma non siamo mai riuscite a capire perché”.

Così si lavorava presso la  “Triangle Waist Company”, a Manhattan,  prima che bruciasse. Bassi salari, 13 ore di lavoro, condizioni insalubri e pericolose. Il caporalato era la norma: i caporali affittavano la manodopera e intascavano una percentuale sulle paghe, pagavano la gente quanto volevano, in genere molto poco.

I padroni della Triangle, Max Blanck e Isaac Harris, non sapevano neanche con esattezza quanto guadagnassero quelle lavoratrici, e nemmeno quante fossero esattamente. La maggior parte erano giovani immigrate prive di organizzazione. Nel 1909, dopo un incidente, in 400 uscirono in corteo. Ricevettero la solidarietà della Women’s Trade Union League, un’associazione progressista di donne della classe media che aiutarono le ragazze nei picchetti e fronteggiarono le provocazioni poliziesche.

Il 25 marzo 1911 scoppiò un incendio ai piani alti dell’Asch Building, sede della Triangle. Le operaie del 9° piano corsero verso le uscite di sicurezza che non portavano da nessuna parte, visto che le porte sulle scale antincendio erano state bloccate. I padroni le facevano chiudere frequentemente, accusando le operaie di rubare i materiali. Le porte furono trovate piegate dal peso delle ragazze che vi si accalcavano contro. Altre aspettarono alle finestre, per scoprire che al  nono piano non arrivavano né le scale dei pompieri né i getti degli idranti. Molte scelsero di buttarsi.

Una sopravvissuta

“Quel giorno fatale una ragazza chiese al capo “Mr. Bonstein, perché non c’è acqua nei secchi ? In caso di incendio non c’è niente con cui poterlo combattere”. Lui si infuriò col nostro gruppo e con arroganza disumana replicò: “se brucerai ci sarà qualcosa con cui spegnere il fuoco!” …… C’erano pochi uomini in fabbrica.

Centinaia di ragazze erano soprattutto ebree, più alcune italiane. Io e molte altre eravamo praticamente “novelline”, eravamo nel paese solo da un anno o anche meno. Per molte, come per me, era solo il secondo lavoro, per altre il primo. La maggior parte di noi aveva meno di 20 anni……. La tragedia fu anche più grande perché le scale dei pompieri erano troppo corte e non riuscivano a raggiungere il nono e decimo piano. Inoltre, le reti tese per prendere chi si lanciava dalle finestre erano troppo deboli, e molti si sono tuffati verso la morte. Ho visto molti pompieri piangere davanti alle vittime del fuoco uccise perché avevano sfondato le reti”.

“La porta verso le scale era completamente bloccata da casse piene di camicette e di merci”.

“Corremmo verso la porta che dava sulla scalinata. Era chiusa. Tutti urlavano intorno a me. In pochi secondi l’ambiente si riempì di fumo nero. Non ricordo esattamente cosa successe, ma la porta fu aperta da fuori, da un pompiere che la sfondò”

“Era giorno di paga. Riuscimmo ad identificare molte ragazze morte grazie alla busta paga che avevano addosso”.

Morirono in 146, soprattutto giovani donne. Le più piccole erano Rosaria Maltese e Kate Leone, di 14 anni.

Il processo

Max Blanck e Isaac Harris furono portati alla sbarra. L’avvocato difensore, Max Steuer, si occupò di distruggere la credibilità  di una delle sopravvissute, Kate Alterman, chiedendole di ripetere  la sua testimonianza innumerevoli volte. Kate continuò a ripetere la sua versione dei fatti senza contraddizioni. Per questo fu accusata di essersi imparata le dichiarazioni a memoria.

La giuria assolse gli imputati, che in seguito vennero condannati in sede civile al pagamento di $ 75 a vittima. Ne avevano ricevuti 400 dall’assicurazione per ogni operaia uccisa.

Nel 1913 Blanck fu  arrestato  di nuovo per aver bloccato le porte della sua fabbrica durante l’orario di lavoro. Fu condannato a $ 20 di multa.

Uno straordinario e inquietante parallelismo

14 dicembre 2010 – Incendio al That’s It Sportswear (Hameem Group): 29 morti, 11 feriti gravi, numerose ferite lievi. Bangladesh
L’incendio, scoppiato in un edificio moderno, è stato causato da un corto circuito. E’ iniziato al nono piano, rendendo i vigili del fuoco impotenti perché le loro scale non potevano andare oltre il quinto, e gli elicotteri non riuscivano ad atterrare perché il tetto era stato illegalmente trasformato in una mensa. Molti operai sono morti  lanciandosi dalle finestre. Non erano mai state fatte esercitazioni antincendio, le uscite erano bloccate e il luogo di lavoro non era  adeguatamente sorvegliato. Inoltre, ai lavoratori era stata negata la libertà di associazione, che avrebbe permesso loro di svolgere un ruolo per affrontare alcune di queste violazioni in anticipo sulla tragedia.

Committenti della That’s It Sportswear: Gap, PVH Corp., VFCorporation, Target, JC Penney, Carter (Oshkosh), Abercrombie and Fitch, Kohl.

Storia della famiglia Maltese

Leon Stein ha raccontato per primo la vicenda della famiglia Maltese nel suo volume The Triangle Fire (Triangle, l’incendio che cambiò l’America) di David Von Drehle.

Ma andiamo per gradi. Serafino Maltese, calzolaio in Marsala, Trapani, si aggregò a quanti andavano in America e partì da  Palermo il primo maggio 1906. In attesa di sistemarsi, e farsi raggiungere dalla famiglia, si stabilì presso il cognato. Evidentemente prospettò un futuro diverso e richiamò la famiglia.

La moglie Caterina, d’anni 36, i figli Lucia, 16; Vito, 14 ; Rosaria,10; Maria, 4 e Paolo, 2. La famiglia di Serafino partì un mese dopo il 16 luglio 1907 e attracco a New York il 3 agosto 1907.

Maria Maltese, probabilmente già malata e ulteriormente debilitata dalla traversata, riuscì a superare i controlli al porto di partenza, ma non resse agli strapazzi, e appena giunta a New York fu ricoverata in ospedale dove morì il 5 agosto 1907. I registri non specificano le cause certe oltre a una tosse persistente. Morì a Ellis Island.

La famiglia di Serafino Maltese si riunì e riprese a vivere il sogno americano già infranto sul nascere. Serafino continuava la professione di calzolaio e la figlia maggiore Lucy (Lucia) ora 19enne lavorava alla (Triangle) Ladies Waist. La madre Caterina ora 39enne e la figlia Sarah ora 13enne la affiancarono poco tempo prima dell’incendio.

Il 25 marzo 1911 la famiglia di Serafino fu nuovamente colpita. Nel rogo Lucy e Sara persero la vita per asfissia e per le bruciature. Furono identificate dal padre Serafino il 27 marzo 1911. Erano morte abbracciate nello stanzino dove avevano trovato temporaneo rifugio.

La madre Caterina,  non fu riconosciuta subito. Soltanto il 18 dicembre 1911 alcuni oggetti personali convinsero Serafino che i resti carbonizzati che aveva di fronte erano quelli della moglie Caterina (Secondo altre fonti l’identificazione avvenne prima, nel giugno 1911).

Nel rapporto n.54 stilato nell’aprile 1912 dal comitato della Croce Rossa si ha un quadro della famiglia Maltese. Caterina, Lucy e Sara guadagnavano complessivamente 36 dollari la settimana contro i 15 di Serafino e Vito, rispettivamente calzolaio e barbiere.

I discendenti della famiglia Maltese sono tuttora presenti a New York.

L’ex senatore dello stato di New York  Serphin Maltese, figlio di Paolo, porta orgogliosamente il nome del nonno ed è molto attivo nel mantenere vivo il ricordo della tragedia. Serphin Maltese è il presidente della Triangle Shirtwaist Fire Memorial Society mentre suo fratello Vincent C. Maltese ne è presidente del consiglio di amministrazione. L’associazione è stata  fondata con lo scopo di mantenere la memoria delle vittime e di non dimenticare le conseguenze causate dalla negligenza sul posto di lavoro.

Considerazioni finali

Oggi la condizione della donna è decisamente mutata, ma solo nell’Occidente del mondo. Quante incendi simili alla “Triangle” accadono nel mondo ogni giorno? Quante donne lavorano in condizioni simili alle Rosaria e Lucia Maltese, Bettina e Francesca Miale, Serafina e Sara Saracino della “Triangle”?

Sui sette milardi di popolazione nel mondo i lavoratori sono ormai due miliardi e tra questi le donne che lavorano nelle fabbriche e nei campi sono centinaia e centinaia di milioni.

Ricordiamoci di loro almeno un giorno l’anno.

“Negli occhi di tutti restò l’immagine di una ragazza che,

lanciatasi nel vuoto nella speranza di aggrapparsi all’edificio accanto,

restò impigliata per alcuni interminabili secondi

finché le fiamme le divorarono il vestito lasciandola precipitare.

Forse era russa, tedesca, finlandese… Ma non è improbabile che quella poveretta fosse italiana”

Gian Antonio Stella

– “8 de marzo”, Video con le tragiche immagini di quel 25 marzo 1911 (nel video erroneamente l’8 marzo 1908)

http://www.youtube.com/watch?v=UIb-IDjXgbQ

– “8 marzo 2009 Auguri a tutte le donne”, video con immagini della tragedia

http://www.youtube.com/watch?v=c6zDJn6-JhE

8 marzo 415

E’ lapidata la filosofa e scienziata alessandrina Ipazia da una folla di fanatici cristiani

“Ho rinunciato a tutto nella mia vita, Cirillo, a tutto: a essere moglie, amante, madre, ad avere una famiglia… per servire la mia libertà di pensiero. Non ho mai tradito e non tradirò mai coloro che contano su di me”: queste nobili parole sono una bandiera per chi considera la libertà di pensiero un valore a cui dover dedicare l’intera esistenza.

Fu uccisa da una massa di cristiani resi folli dal fanatismo nel momento di trapasso dal paganesimo morente (di cui Ipazia voleva difendere i valori migliori) al cristianesimo vincitore.

Non siamo sicuri che l’assassinio brutale sia avvenuto proprio l’8 marzo. Sicuramente nel marzo del 415.

In ogni caso Ipazia merita di entrare nel novero delle donne che si sono sacrificate per altre donne e per dare dignità a tutti.

http://www.youtube.com/watch?v=A5-DyM749Bo