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Natale al fronte. Tre legnanesi nella bufera della Seconda guerra mondiale tra Jugoslavia, Russia e campi di prigionia

Natale al fronte
Tre legnanesi nella bufera della Seconda guerra mondiale
tra Jugoslavia, Russia e campi di prigionia

Giuseppe Mezzenzana, Ermenegildo Caironi e Giuseppe Biscardini

Giuseppe Mezzenzana
Arruolato nel gennaio del ’43 giunge in Dalmazia due mesi dopo. In seguito alla dissoluzione dell’esercito regio (8 settembre ’43) passa con le formazioni partigiane di Tito, “Battaglione Garibaldi”. Partecipa alla liberazione di Belgrado e poi di Zagabria (maggio ’45). Ritorna a San Giorgio su Legnano il 15 settembre ’45.

23 dicembre ’44, sabato
“Stamattina ha cominciato a nevicare, piano piano, poi verso mezzogiorno si è fermata. Siamo all’antivigilia del giorno del S. Natale, come passerò il Santo Natale quest’anno? Sarà buono come quello dell’anno scorso? chissà? Come lo passerà la mia famiglia il S. Natale? Certo non tanto bene, mamma in pensiero per me, saranno tristi, perché non sanno dove sono, se sono vivo o morto. Che Dio aiuti loro, che li assicuri che io sono vivo e che non ci pensino, ma chissà?”

25 dicembre ’44, lunedì
“E’ Natale, è nato il Bambino Gesù, grande festa, tutte le famiglie si riuniscono per festeggiare con gioia e cara pace questa grande festa. I famigliari anche i più lontani questo giorno ritornano alle loro case, alle loro famiglie, ma quest’anno come gli altri 5 passati, molte e molte persone, non potranno ritornare, perché la guerra, questa dura guerra che non finisce mai lo impedisce.
Quanto strazio, quante famiglie oggi saranno tristi perché manca qualcuno dei suoi cari, non sapranno se vive ancora o se è morto, anche la mia famiglia sarà tanto triste per me, poverini che cosa faranno, che cosa diranno? È il secondo Natale che faranno senza di me, ormai avranno perduta la speranza per me, ed io sono qua, penso, cerco di far qualcosa per avvertirli, dirgli che sono vivo, che non ci pensino, sono libero, in salute, ma non posso farlo perché è impossibile, là da loro ci sono i Tedeschi, quei disgraziati uomini che non si decidono ad arrendersi.
Oggi sono stato in Chiesa e ho seguito la S. Messa dopo tanto tempo che non ci andavo, mi pareva una cosa nuova, ho pregato per me e per la mia famiglia. Gesù Bambino mi esaudirà.
E’ arrivata la posta dall’Italia, per gli italiani che sono qua con me, che gioia per quei ragazzi ricevere notizie dopo tanto tempo.

A mezzogiorno abbiamo mangiato noi Italiani che facciamo parte del Comando di Divisione tutti insieme, per fare una bella festa, è riuscita brillantemente; alla sera abbiamo ballato poi abbiamo anche cantato insieme: è stata una bellissima festa, meglio dell’anno scorso che ero in partenza e nevicava, quest’anno l’abbiamo fatto in pace. <freddo, nuvoloso>”.

Ermenegildo (Gildo) Caironi
Nato a Rescaldina nel 1940 è arruolato nella Divisione Alpini Cuneense. Combatte prima in Albania e poi è in Russia con l’ARMIR a partire dall’agosto del ’42. La lettera del 28 dicembre è una delle ultime che spedisce a casa. Coinvolto nella ritirata dal Don, Gildo morirà il 30 gennaio del ’43 dopo essere stato fatto prigioniero dei russi e deportato in un campo di prigionia. Aveva 27 anni.
28 dicembre 1943: “Con questo mio voglio dirvi o meglio raccontarvi come ho passato il Natale in Russia. Questa festa, da noi tutti aspettata, sembra la giornata più bella dell’ anno, quest’ anno voi sapete dove mi trovo, non l’ho passata male, si è fatto il possibile per stare bene. Qui vicino a dove ci troviamo c’è un ospedaletto da campo, c’è anche un cappellano e lui ha voluto che ci comunicassimo, noi abbiamo acconsentito subito. Ha celebrato la messa di mezzanotte. Il posto era in un bosco, in un bunker scavato sottoterra. Sembrava di essere come i vecchi romani che si nascondevano a pregare, così eravamo in un posto caldo. Abbiamo fatto la Comunione e ci fu data un’immagine ed una medaglietta dono del Vescovo di Udine per gli Alpini in Russia, credo che voi sarete contenti di questo fatto, in quel momento vi pensavo lontani con la speranza che questo pensiero potesse incontrarsi con il vostro.”
Il giorno di Natale il pranzo degli alpini fu ricco però nel pomeriggio, la pace della giornata fu interrotta da un bombardamento e qualche aereo russo cascò a poca distanza da loro … però non mi lamento penso a quelli che stanno peggio di me, solo che Dio mi mantenga con la salute al resto ci penseremo dopo. Ora sto aspettando da voi qualche lungo scritto e più sovente. Ditemi come avete passato le feste, ditemi tutto.”
Tenente Giuseppe Biscardini
Nasce a Legnano nel 1910. E’ tenente di complemento degli Alpini durante il Secondo conflitto. Dopo la deportazione in Germania (in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre ’43) nei lager di Tarnopol, Siedlce, Sandbostel e Wietzendorf, viene liberato dagli inglesi il 3 aprile del ‘45. Rientra a Legnano nel mese di luglio dello stesso anno. In seguito sarà presidente della sezione “Combattenti e reduci” della sua città.

25 dicembre 1943, Stammlager 328 di Tarnopol
“Siamo riusciti a ottenere dal Lagerfuhrer una baracca per celebrare la messa di Natale. Tutti hanno collaborato, con mezzi di fortuna, per costruire un piccolo altare. Sopra l’altare è stata posta una tavola raffigurante l’immagine della Madonna protettrice dei prigionieri di guerra, Mater captivorum, dipinta da un compagno del campo. L’ora della messa è stata fissata per le 17.
Raggiungo la baracca-cappella, fra neve e gelo. Qualche minuto prima delle 17, una moltitudine di prigionieri si spinge per entrare nella baracca. A fatica trovo un posto. C’è una grande aria di tristezza e sembra di sentire un bisbliglio: è l’invocazione sofferta a Dio di farci tornare dalle nostre famiglie. Un coro canta gli inni sacri, ma alle mie orecchie perviene il dolce canto “O mia patria sì bella e perduta”.
Siamo al buio, solo l’altare è illuminato da una tenue luce. In questa penombra, fra ombra e luce, mi sono sentito il cuore spezzare: mi è parso di sentire una mano stringermi il cuore, mi è sembrato di essere in chiesa, come un Natale normale, assieme a lei. Durante la messa sono distratto da pensieri alla famiglia, alle patrie divise, all’avvenire distrutto, ai progetti svaniti per sempre. Mi è passata davanti alla mente la nostra vita: da quando ci siamo conosciuti a quando abbiamo coronato il nostro sogno. Ora tu sei lontana, sarai in apprensione per me, sarai disperata dal mistero che avvolge la nostra vita.

Io sono lontano, senza una parola di conforto nelle mani degli ex-alleati, che ci giudicano traditori, senza una Patria che ci dia la forza di sopportare le dure avversità della prigionia. Due Patrie: una che si è completamente dimenticata di noi, malgrado la nostra integra fedeltà all’onore e al giuramento; l’altra con propaganda ci stuzzica e tormenta con offerte che rifiuto per quel… maledetto senso dell’onore e fedeltà che è in me…
Ma sono subito chiamato alla dura realtà dall’urlo delle sirene del campo. L’allarme suona più di una volta. Alcuni tedeschi ci spingono fuori dalla baracca per l’appello. Ci chiediamo che cosa sia accaduto.
Più tardi veniamo a sapere che due nostri compagni, approfittando dell’oscurità e di qualche bicchiere bevuto in più dalle sentinelle naziste, hanno tagliato il reticolato e se ne sono andati attraverso i campi, verso le case dei partigiani polacchi. Ci applicano pesanti sanzioni, che sopportiamo con coraggio. La contropartita è la libertà di due compagni”.
Giuseppe Biscardini, “Gefangenennummer: 42872. Diario di prigionia”, Biblion edizioni 2015, pp. 75-76