“A settent’anni dall’ingresso dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale: 10 giugno 1940” è stato il tema di una riuscita conferenza con immagini dell’epoca del prof. Giancarlo Restelli a Vanzaghello.
Qui di seguito, l’intervento del noto storico cittadino
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Dopo essersi dissanguata in guerre molto dispendiose l’Italia nel 1939, a settembre, quando Hitler invade la Polonia e fa scattare così il conflitto mondiale, non può seguire l’alleato. La guerra di Abissinia, quella di Spagna e la presa dell’Albania l’hanno fiaccata. Ma all’inizio delle operazioni militari ancora Mussolini si barcamena tra la fedeltà all’alleato e la voglia di giocare un importante ruolo di paciere, a livello almeno europeo, così com’era successo a Monaco l’anno prima.
Nonostante avesse sempre esaltato la guerra Mussolini si appresta nell’inverno tra il ’39 e il ’40 ad iniziare un periodo di indecisione politica verso il proprio Paese e verso l’alleato Hitler, che lo terrà impegnato sino alla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940.
Il 23 gennaio ’40 Mussolini fece presente ai suoi ministri che l’Italia non poteva rimanere neutrale per sempre senza divenire, sulla scena europea, una potenza di scarso rilievo. Qualche giorno dopo cambiò idea, dicendo che era meglio aspettare sino alla seconda metà del 1941. Ma indipendentemente dalle sue preferenze del momento, erano sempre le condizioni del materiale bellico che avrebbero dovuto dettare legge. Ed i militari, qualcuno almeno, provava persino a farlo presente.
Dopo una visita alle unità dell’esercito, De Bono riferì a Mussolini che una parte dei soldati possedeva solo un paio di stivali e una sola camicia, e qualcuno non aveva neppure un paio di pantaloni. Non fu ascoltato.
I successi delle armate naziste all’inizio del conflitto suggerivano comunque di fare presto. Una volta deciso per l’entrata in guerra gerarchi e militari si accodarono subito ed anche la Casa Reale lo fece, salvo poi, sia Badoglio che i Savoia, cercare di mescolare i ricordi per accreditarsi come pacifisti agli occhi dei vincitori nel dopoguerra.
Il giorno dopo l’annuncio (10 giugno 1940) il “Corriere della Sera” esce con titoli a caratteri cubitali. In prima pagina si può leggere: “Folgorante annunzio del Duce. La guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Popolo italiano, corri alle armi!”. E naturalmente l’articolo di spalla si apre con il titolo classico: “Vinceremo!”. Messaggi del Furher ed esortazioni varie chiudono il tutto. A pagina due figura pure “L’ardente entusiasmo del popolo d’Albania”. A pagina tre vi campeggia “l’Ardente entusiasmo in Germania per l’intervento italiano”.
Titoli che denotano anche un chiaro impoverimento d’inventiva. Sino a giungere ai titoloni dell’edizione del pomeriggio dello stesso giornale con il proclama di Vittorio Emanuele III che cede a Mussolini, ufficialmente e pubblicamente, “il comando delle truppe operanti su tutti i fronti”.
Il bilancio della guerra persa è drammatico
– 300.000 soldati morti in tanti fronti, dall’Africa alla Russia, dalla Francia ai Balcani
– 150.000 civili morti a causa della guerra, di cui 60.000 morti a causa dei bombardamenti anglo-americani (particolarmente violenti nel ’43)
– 650.000 soldati italiani deportati nei lager tedeschi, dopo l’8 settembre del ‘43
– 600.000 militari finiti nei campi di concentramento degli alleati, dall’Algeria francese all’India inglese fino ai campi di concentramento negli Stati Uniti
– 40.000 partigiani morti in combattimento. Circa 25.000 deportati in Germania
– immani distruzioni materiali (città, rete viaria e ferroviaria)
– la perdita delle colonie in Africa (Etiopia, Somalia, Libia)
– la perdita dei territori orientali (Istria e Dalmazia) con 300.000 esuli Ecco perché gli avvenimenti del 10 giugno 1940 devono avere ancora oggi un posto di riguardo nella nostra cultura e nel nostro rapporto con il passato.
Giancarlo Restelli