Una volta liberata Legnano era giunto il momento di defascistizzare la società, a partire dalle cariche istituzionali, dai simboli degli edifici, dai nomi dei palazzi e delle vie e dalla scuola. Nell’archivio comunale è conservata l’ordinanza con la quale si chiedeva agli istituti scolastici e ai librai di tagliare, proprio con le forbici, le pagine che esaltavano il regime prima di utilizzare o vendere i libri. E sono conservate alcune dichiarazioni in merito l’ottemperanza della circolare.
La defascistizzazione è passata anche attraverso l’arresto, a partire dal 25 aprile, dei più importanti fascisti. Alcuni sono stati rilasciati subito, come l’industriale Gigetto Ratti della manifattura Giulini e Ratti: la valorosa staffetta della 182^ Brigata Garibaldi SAP nonché preziosa collaboratrice del comandante Mario Cozzi (Pino) della 101^ e 182^ SAP, Piera Pattani ricorda che “il 25 aprile sono andati a prenderlo. Io ero molto impegnata perché ero qui, nelle scuole [Carducci, diventata caserma dei partigiani], mi dicono “Piera, a in andà a tö ul Gigetü [sono andati a prendere il Gigetto]”. “Ah, momento!” Allora sono andata, ho detto “No! Lo lasciate andare perché quello m’ha aiutato me e ha aiutato tutti!” … Quello che ha detto lui non so. So che c’erano tutti i suoi operai della via Guerciotti che c’han sputato addosso tutti. Dopo ho detto loro “Siete stati malvagi, perché m’ha dato tutto: olio, riso, tutto!” A tutti, a tutta la fabbrica! Non solo a me: a tutta la fabbrica! Quando poi m’han detto che l’han portato via, io sono andata e c’ho detto “No!!!” Pensi che lui, dallo spavento, poco dopo è morto…”.
Altri fascisti sono stati inviati al carcere di San Vittore a Milano e da lì al campo di concentramento di Coltano, vicino a Pisa. Sono tornati tre o quattro mesi più tardi.
Fucilazioni senza processo
Ad altri è andata meno bene. Ma questo è comprensibile se si pensa che il giorno della Liberazione non aveva significato automaticamente la sconfitta delle forze fasciste. E poi una guerra totale come il Secondo conflitto non poteva finire semplicemente con le giornate del 25 Aprile.
Fino ai primi di giugno a Legnano e nei dintorni si registrano ripetuti spari e lanci di bombe. La notte tra il 2 e il 3 di giugno due bombe vennero lanciate contro la caserma partigiana garibaldina Carducci, tra il 5 e il 6 delle bombe a Rescaldina hanno provocato anche un ferito, appartenente alla 101^ Brigata Garibaldi. Il 31 luglio il Prefetto di Milano decide la chiusura anticipata di alcuni locali “in considerazione del continuo ripetersi di atti terroristici, rapine a mano armata e ribellioni alla Forza Pubblica nella zona di Legnano”.
L’elenco dei criminali della RSI inoltre era lungo e il desiderio di ottenere giustizia ed ottenerla subito portò negli immediati giorni dopo la Liberazione a numerosi episodi di giustizia sommaria in tutte le località del nord, nonostante gli appelli del clero e le direttive del 20 aprile del CLN Alta Italia per le commissioni di giustizia. Anche a Legnano.
Il “Circul di sciuri”, le carceri di San Martino in via Bellingera, il Palazzo Littorio (attuale Palazzo Italia) erano i principali “luoghi dell’orrore” legnanesi. Oltre ai militi vi esercitavano le funzioni di “picchiatori” diversi civili che venivano convocati all’occorrenza e profumatamente pagati. Anche i delatori non mancavano e il prezzo fissato, erogato in seguito all’eventuale successo dell’operazione, era di 5.000 lire per ogni partigiano.
Tra i documenti del comandante Mario Cozzi sono conservate delle “veline” in cui sono segnalati i dati anagrafici e le principali abitudini di alcune note spie legnanesi, tra cui C.V. che si vantava d’aver guadagnato 10.000 lire per la delazione che aveva portato all’arresto del vice-comandante della 101^ Brigata Garibaldi GAP Giuseppe Rossato, in seguito torturato, incarcerato a San Vittore a Milano e fucilato al Campo Giuriati il 14 gennaio 1945, e di uno dei comandanti della 101^ SAP, Francesco Marcer, riuscito a fuggire con la complicità degli infermieri, calandosi con delle lenzuola da una finestra del bagno, dall’Ospedale di Legnano, ove era stato ricoverato in seguito ad un malore per le percosse durante gli interrogatori.
Nella notte tra il 30 aprile ed il 1° maggio vennero rinvenuti sotto il ponte di San Bernardino i corpi di quattro fascisti: Rabolini, Toja, Bovini, Corradini.
Arturo Sesler
Il capitano delle Brigate Nere Arturo Sesler venne prelevato da non si è mai saputo chi direttamente dall’ospedale e in pigiama fucilato e lasciato ai piedi della fontana di piazza San Magno. Sul cadavere poi si accanì la folla.
Su di lui poi si sedimentarono memorie contrapposte: ci fu chi vide in lui una “bieca figura di delinquente fascista” (da un documento di fonte partigiana) e ci fu chi invece mise in luce gli ideali, lo spirito di sacrificio e la coerenza morale. Probabilmente era vera la seconda versione.
Il 5 maggio venne fucilato pubblicamente a Castano il legnanese Antonio Montagnoli, crudele squadrista delle Brigate Nere, fratello del tenente delle Brigate Nere Mario e del Brigadiere della GNR Angelo, morto a Castellanza il 23 aprile 1945 in uno scontro a fuoco con dei partigiani della 101^ e 182^ Brigata Garibaldi SAP.
Carlo Borsani
Un altro legnanese perse la vita, fucilato dai partigiani, nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione: si tratta di Carlo Borsani, esponente di rilievo nella Repubblica Sociale Italiana.
Era stato nominato Presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati in quanto gravemente ferito alla testa il 9 marzo 1941 in Grecia durante un’operazione di guerra che lo aveva lasciato privo della vista e per la quale gli era stata conferita una medaglia d’oro. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Carlo Borsani si era dato alla propaganda a favore dell’arruolamento nella GNR dei renitenti alla leva e degli Internati Militari Italiani negli Stalag e Oflag di Germania e Polonia, divenendo presto famoso con l’appellativo di “cieco di guerra”.
La sua appassionata propaganda lo aveva già inserito nelle liste dei fascisti pericolosi da eliminare, tanto che agli inizi di aprile 1945 per un soffio, grazie al suo attendente, era uscito incolume da uno scontro a fuoco con dei partigiani a Gallarate, dove risiedeva da qualche tempo (“Cronaca Prealpina”, 8 aprile 1945).
Il Borsani trascorse la sera del 25 aprile 1945 a Milano con i Marò della X-MAS e la notte all’Albergo Nord in Piazza della Repubblica dove, al mattino, rifiutò l’offerta di Borghese di un espatrio al seguito di Mussolini. Si rifugiò all’Istituto Oftalmico, dove era in cura da anni per la sua cecità. Il 27 venne individuato dai partigiani, prelevato e rinchiuso nei sotterranei del Palazzo di Giustizia, nel pomeriggio del 29 aprile, insieme a don Calcagno, fanatico predicatore a favore della RSI e di Mussolini, venne condotto nelle Scuole di Viale Romagna e da lì in Piazzale Susa dove venne fucilato o semplicemente gli spararono a bruciapelo.
Fucilazioni sommarie all’Olmina
La notte tra il 6 e il 7 maggio forse ad opera dei partigiani bustocchi vennero prelevati dalle carceri di San Martino a Legnano undici fascisti, portati a piedi alla cascina Olmina e qui fucilati e lasciati esposti: Carlo Bergonzi, Luigi (Fain) Clerici, Rinaldo Corno, Giovanni Fiumi, Vittorio Maerna, Attilio Martignoni, Emilio Pagani, Argenide Peressini, Giulio Salmoiraghi, Giovanni Battista Scrugli, Bruno Tiraboschi.
Tra i fucilati il noto medico Carlo Bergonzi, che aveva lo studio in via Marconi. Molti si stupirono di questa fucilazione e pensarono ad uno sbaglio o ad una vendetta privata. Probabilmente non sapevano che il medico era inquadrato nelle GNR col grado di Maggiore Medico e non sapevano un altro particolare. A dicembre 1944 era stato catturato il partigiano della 101^ Brigata Garibaldi SAP Filippo Zaffaroni, 17enne, definito dai fascisti come “pericoloso bandito”: Filippo era stato torturato nelle cantine al “Circul di sciuri”, la sede dell’UPI in via Alberto da Giussano (dove adesso c’è il Bingo) e a tenergli il polso per monitorarlo mentre gli davano scosse elettriche con delle piastre applicate alle tempie c’era il dottor Bergonzi. E non solo in quell’occasione era stato coinvolto nelle torture dei partigiani.
Il 14 successivo, nei pressi di Villa Cortese, venne fucilato anche l’ex podestà Fulvio Dimi.
Il processo
Altro destino invece per tre fascisti che vennero incarcerati a Busto e processati al Tribunale Straordinario alla caserma partigiana insediatasi nelle scuole Carducci. Su di essi pendevano vari capi d’accusa:
“1) Capitano Nucci: capo dell’UPI di Legnano – tristemente famoso come seviziatore dei detenuti politici. Responsabile della fucilazione di molti partigiani;
2) Tenente Montagnoli Mario: Comandante della Brigata Nera di Legnano – di una famiglia di spie fasciste responsabili di numerosi delitti. Torturatore e seviziatore di partigiani – particolarmente responsabile dell’uccisione di cinque patrioti;
3) Dr. Santini: per molto tempo Vice-Commissario dell’Ufficio Politico della Questura di Milano. Tristemente noto per la sua crudeltà. Commissario di P.S. di Legnano durante la Repubblica, particolarmente accanito nella lotta e nella caccia ai partigiani” (da “Giorni di Guerra. Legnano 1939-1945”).
Essi inoltre erano accusati di aver fatto fuoco sulla folla e sui partigiani il 25 aprile.
9 maggio 1945. “Piazzale Loreto” a Legnano
9 maggio. Monsignor Cappelletti annota: “Ore 15. Mons. Prevosto è invitato a portarsi alle Scuole Carducci per ascoltare la Confessione di tre condannati. … I tre vengono condotti a piedi al luogo del supplizio – P. Mercato – Mons. è al loro fianco. Si cammina tra due ali di popolo imbestialito. Appoggiati al muro di cinta dello stabilimento De Angeli Frua mentre Mons. Prevosto dà l’ultima benedizione un plotone di 12 comunisti spara e tutti e tre cadono fulminati.”
In quell’occasione ci furono diversi feriti perché la folla iniziò a sparare addirittura prima che i garibaldini del plotone facessero fuoco e per poco non colpirono anche Monsignore.
La folla si accanì poi sui cadaveri, come accadde per Sesler e per Mussolini a Piazzale Loreto.
Se il compito della riflessione storica è quello di comprendere, allora il contesto storico in cui nacquero le uccisioni deve essere tenuto in considerazione.
Come ha scritto lucidamente il partigiano Ermanno Gorrieri: “Molta rabbia si era accumulata negli animi. Era impossibile che non esplodesse dopo il 25 aprile. Violenza chiama violenza. I delitti che hanno colpito i fascisti dopo la liberazione, anche se in parte furono atti di giustizia sommaria, non sono giustificabili, ma sono comunque spiegabili con ciò che era accaduto prima e con il clima infuocato dell’epoca” (Ermanno Gorrieri, “Ritorno a Montefiorino”, p.183).
Non dimentichiamo che subito dopo l’8 settembre del ’43 nacque una terribile guerra civile tra italiani (partigiani e fascisti) che non poteva placarsi sic et simpliciter alla fine della guerra.
Durante l’insurrezione e nei giorni immediatamente successivi furono uccisi in Italia tra i 10.000 e i 12.000 fascisti, a fronte di 3-4.000 morti nella guerra antipartigiana. In Francia andò peggio ai collaborazionisti dei fascisti perché nell’epuration sauvage del dopo liberazione furono uccisi sommariamente tra le 17 e 18.000 persone (agosto-ottobre ’44).
Mussolini alla sbarra?
Poteva essere un’ipotesi suggestiva. Sappiamo come è andata. Non c’è dubbio che un processo a Mussolini e a tanti alti gerarchi fascisti, grandi e piccoli, avrebbe potuto rivelare la vera natura del fascismo durante il Ventennio e a Salò. Una dittatura che non si librava nel vuoto ma al contrario poggiava saldamente su aperte complicità dei poteri forti dell’epoca: monarchia, industriali, banchieri, burocrazia, esercito, proprietari terrieri, Vaticano, piccola-media borghesia.
Chiudere tutto a Giulino di Mezzegra (fucilazione di Mussolini) e a Dongo (e in tanti piccoli e medi centri come Legnano) ha impedito quella radicale pulizia politico-sociale che era nelle aspirazioni di una buona parte dei partigiani.
Fu soprattutto il Partito Comunista di Longo e Togliatti a volere la classica “pietra tombale” sul passato fascista. Così il Pci si sarebbe accreditato come partito della ricostruzione post-bellica e della “pacificazione nazionale”. Scelta molto discutibile per non dire opportunista.
E così l’Italia della fine degli anni Quaranta apparve a molti troppo simile all’Italia degli anni Trenta.
Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto
Per saperne di più:
. Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, Eo Ipso, 2009
. http://www.legnanonews.com/news/1/37565/come_giudicare_carlo_borsani_operazione_difficile
. http://www.legnanonews.com/news/1/37621/arturo_sesler_un_caso_ancora_irrisolto
. “Legnano, 25 aprile: i giorni della liberazione” dalla fine del 1944 al 9 maggio 1945, con particolari e fotografie a questo link: https://drive.google.com/file/d/0B2oiTbuM9ihjbjdXczR3R3pPam8/view?usp=sharing