Dopo essere stato a Legnano, nello stesso 5 ottobre 1924 Mussolini arrivava a Gallarate per inaugurare sedi del fascio e tenere discorsi. Qualunque sia il nostro giudizio sul capo del governo in quel periodo, l’articolo è un frammento di storia locale che merita di essere conosciuto.
Il 25 ottobre Mussolini era a Busto Arsizio per l’inaugurazione della stazione ferroviaria. Segue trascrizione del suo discorso.
La Prealpina 7 ottobre 1924
Cronaca Gallaratese
Le entusiastiche accoglienze
al Presidente del Consiglio on. Mussolini
L’anima del popolo è andata domenica verso Benito Mussolini ed ha acclamato a lui coll’entusiasmo più fervido e sincero; egli è passato per le vie, salutato con affetto, con spontaneità, con quel vigoroso clamore che è la dimostrazione più pura del sentimento della folla ed in questa grandiosa, e indimenticabile, manifestazione egli deve aver sentito quale sia veramente l’anima della popolazione gallaratese e come tutto il nostro popolo, acclamando a lui, inneggiasse alla nuova risorta Italia.
L’arrivo del Presidente
Alla Cascinetta
Sino dalle 14.30 gruppi di popolani si sono affollati nei pressi della Cascinetta, località di entrata in Gallarate dall’Autostrada. Poi mano, mano i gruppi si sono ingrossati, formando due ali lungo la grande arteria e verso la via varesina. Folla ansiosa e paziente nell’attesa: folla di lavoratori e di donne ammassatasi nella località semi-campestre, spinta solamente dall’entusiasmo, dalla volontà di vedere e di acclamare il Capo del Governo. La lunga attesa non ha stancato questa massa di persone e neppure una moltitudine di fotografi, in posizione di presa! La brava musica di Crenna, addossata alla cabina del cantoniere, eseguiva gli inni patriottici accolti dagli applausi della folla.
Le macchine si susseguono velocissime sulla magnifica strada e le notizie che giungono da Legnano sono tutte di entusiasmo per la riuscita della manifestazione tributata da quella città a S. E. Mussolini. E queste notizie… accrescono la morbosità della nostra attesa.
Sono le 16.30 quando arriva l’auto con l’on. Gnocchi, il signor Boattini, ed il dottor Carlo Ravasio, i quali annunciano imminente l’arrivo dell’auto presidenziale. Un minuto ancora e la rombante macchina guidata dal saldo polso del grand’uff. Puricelli, appare alla curva: il nostro Sindaco, si avanza verso l’auto che si è fermata all’imbocco della Cassinetta ed al Capo del Governo che gli stringe vigorosamente la mano, porge il saluto di benvenuto della cittadinanza gallaratese- La musica di Crenna intona l’Inno Reale e dalla folla parte il primo caloroso applauso. Il Sindaco è subito accolto a bordo dell’auto presidenziale fiancheggiata da quattro militi gallaratesi in bicicletta ed il corteo in macchina entra rombando in Città. Con il Capo del Governo sono il Prefetto di Milano grand’uff. Pericoli, S.E. il gen Cattaneo, Console generale Dabbusi, comm. Sileno Fabbri, generale Arrivabene, ed altre autorità.
Tra gli applausi e sotto i fiori
La breve strada portante sulla provinciale varesina è presto superata, tra i nuovi applausi della folla addossatasi ai bordi della via e poi il corteo, voltando a sinistra, entra in via Mario Brumana: lo spettacolo che si presenta ai nostri sguardi è impressionante per la sua imponenza. Tutta la balda 26° Legione della Milizia Volontaria è schierata, su due ali, nella rigida posizione del «presentat’arm». Più innanzi vi sono le sezioni fasciste e le associazioni, tra una miriade di vessilli a ridosso di questi cordoni, il popolo esultante. Dalle finestre umili della casette e dai balconi signorili dei palazzi, incomincia la caratteristica e meravigliosa pioggia ininterrotta di fiori, tra uno sventolio di bandiere, di fazzoletti, di tappeti ed un grido assordante di evviva ed un replicarsi di acclamazioni, e di alalà!
La fermata in Piazza Risorgimento
Prima dell’imbocco della Piazza Risorgimento l’auto del Presidente è ormai completamente circondata dalla massa di popolo e di sodalizi delirante. Rotti i cordoni di militi e di associazioni, la folla si è riversata in una impressionante fiumana lungo la larga strada Ronchetti… assediando la macchina con S. E. Mussolini mentre la pioggia di fiori continua da ogni parte.
Il Capo del Governo evidentemente commosso da questa spontanea esplosione di affetto e di entusiasmo, si alza in piedi sulla auto ringraziando con la mano e sorridendo ripetutamente. La fermata improvvisa, provoca l’accorrere da ogni parte della piazza di altra gente, di altre bandiere e la situazione è… disperata! Ma S. E. Mussolini è contento di questo ammassarsi indescrivibile di persone… è tanto contento che scende dalla macchina e si getta coraggiosamente tra la folla.
L’atto inaspettato provoca una nuova enorme dimostrazione della massa che quasi trascina S. E. Mussolini nel giro di omaggio attorno al grandioso Monumento ai Caduti gallaratesi.
Il Capo del Governo, ammira lungamente l’opera meravigliosa esprimendo a più riprese la sua compiacenza per la perfettissima costruzione e l’armoniosità delle linee d’assieme.
Ed è così che, confuso tra la folla, può finalmente riprendere il suo posto nell’auto attorno alla quale, dopo sforzi enormi ed energici, i carabinieri ed i militi nazionali sono riusciti a fare un po’ di largo.
E la marcia riprende per via Verdi e Via Manzoni sempre sotto la pioggia incessante di fiori e tra l’urlo acclamante delle Associazioni asserragliate lungo il percorso in caratteristica confusione con il popolo…
La prima sosta significativa
I Mutilati “sequestrano” il Presidente
All’angolo di via Manzoni con via Postcastello, avviene il secondo emozionantissimo episodio della indimenticabile giornata. La strada è completamente ostruita da una folla di giovani gloriosi: è un gruppo numerosissimo di mutilati di Gallarate e della Zona che si asserraglia davanti al cofano dell’automobile salutando entusiasticamente.
Mussolini alla inaspettata graditissima manifestazione della nobile massa, salta sveltamente dalla macchina e si trova davanti nella rigida posizione d’attenti il valoroso mutilato Giovanni Puricelli di Verghera. In uno slancio commovente di affezione, il Presidente abbraccia e bacia ripetutamente il Puricelli… E’ un istante di profonda emozione: il nobilissimo e fraterno atto solleva una acclamazione poderosa: il Duce è quasi sollevato in trionfo e portato alla sede della sezione Mutilati, mentre la forza pubblica a stento può reggere contro la fiumana enorme di popolo.
Nella sede della sezione Mutilati, addobbata con trofei tricolori, vi sono i rappresentanti del Consiglio direttivo dei Sodalizio con il Segretario Augusto Bazzichi e numerosi grandi invalidi di guerra.
All’uscita del Duce, sulla via Postporta, la dimostrazione da parte dell’immensa folla riprende in una sinfonia indescrivibile di grida e di saluto. Faticosamente il corteo delle auto riesce a fendere la folla ed a dirigersi verso il palazzo Civico ove sono disposti ferrei cordoni di Carabinieri e di militi.
Anche in questo breve tragitto gli episodi si contano a diecine e tutti sono la più tangibile dimostrazione della grandissima devozione del popolo verso il Capo del Governo.
L’imponente ricevimento
In Broletto
Nel vastissimo cortile del Broletto, che il Municipio aveva fatto trasformare in una grande serra, facendo sorgere anche d’incanto una grande vasca con fontana, era stato eretto un imponente palco, di bellissima decorazione e curato efficacemente fino nei minimi particolari.
Nell’immenso ambiente intanto vanno rapidamente raccogliendosi le rappresentanza ufficiali, chiamate a presenziare alla riunione e a porgere il saluto e S. E. l’on. Mussolini, e gli appositi incaricati, che devono provvedere alla sistemazione di tutti gli intervenuti hanno non poco a fare, per assolvere il loro compito.
Le dimostrazioni
Annunciato da un applauso e da un triplice squillo di tromba, arriva l’on. Mussolini, che è accolto da un imponentissima dimostrazione. Si levano gagliardetti, si lanciano saluti, si intrecciano grida. Mussolini scende dall’automobile e seguito dal Prefetto grand’uff. Pericoli, dal segretario federale Dante Boattini, dal grand’uff. Puricelli, dal cons. cav. Dabbusi, invece di dirigersi verso il palco si caccia tra la folla, si ferma dinnanzi ad ogni rappresentanza, chiede nomi, riconosce amici, stringe mani, solleva entusiasmo.
Dall’alto i gruppi femminili applaudono, da basso sono acclamazioni infinite e senza tregua, e invano alcuni fascisti si sbracciano ad impedire che il Presidente sia troppo stretto e schiacciato. La folla quasi gli impedisce di salire sul palco.
Gli omaggi
Rapide presentazioni, più rapide firme, poi nuove acclamazioni.
Intanto sul palco il Sindaco consegna al Presidente una riproduzione in bronzo del bel monumento eretto alla memoria di Mario Brumana offertagli dal Fascio, una bellissima targa in argento che reca la seguente dedica: «Le famiglie dei Caduti – i mutilati e combattenti – i fascisti – al Duce – che rivinse la vittoria».
Gli presenta poi una ricca pergamena che reca la seguente epigrafe:
«A S. E. Benito Mussolini – Presidente del Consiglio dei Ministri – in riconoscenza dei suoi meriti altissimi – il Comune di Gallarate – con deliberazione 2 giugno 1924 – ha conferito la cittadinanza onoraria, con fede immutabile – in occasione della sua ambita visita – col voto augurale unanime – i gallaratesi italicamente offrono».
E infine Mussolini sorride di compiacimento quando gli viene presentata una custodia di pelle, che contiene il bilancio del Comune ed ha la seguente dedica:
«A S. E. Benito Mussolini – Cittadino onorario di Gallarate – questo documento che consacra il pareggio del Civico bilancio – e l’auspicato ampliamento territoriale – dica – l’incrollabile volontà dei gallaratesi – di fedelmente seguire – le direttive del Governo Nazionale – perché – al possente ritmo del Centro – armonicamente corrisponda – l’azione dei Comuni Italiani – per la romana grandezza della Patria – nel mondo e nei secoli».
Il discorso del Sindaco
Fra il silenzio più profondo prende ora la parola il Sindaco Mario Colombo, il quale con voce forte e precisa dice:
Eccellenza!
Come Sindaco di Gallarate, e come Milite fedele del Fascismo, sono orgoglioso di porgervi il saluto devoto mio e di questa Città, e di ringraziarvi dell’alto onore che ci avete fatto, intervenendo ai Sacri riti che oggi qui celebriamo.
Con viva soddisfazione, posso dichiararvi che la nostra Amministrazione, fascista nella fede e nel metodo, ha obbedito in tutto al Vostro programma di ricostruzione nazionale, ed ha portato anch’essa la sua piccola pietra al nuovo edificio della Patria. Ho il piacere di annunciare a Voi, Capo del Governo Nazionale, Duce nostro e Cittadino onorario della nostra Città, che l’Amministrazione Fascista, seguendo l’esempio del Vostro Governo, ha raggiunto con opera risanatrice, ardua ma tenace, il pareggio del bilancio comunale (applausi vivissimi).
Abbiamo compiuto il nostro dovere: abbiamo tenuto fede ai nostri principii, seguendo il monito da Voi spesse volte ripetuto, che per far grande il Paese, è necessaria la virtù tipicamente romana, della umile e silenziosa tenacia nel lavoro.
Oggi, vedete la laboriosa e industre Gallarate, raccogliersi intorno a Voi, per manifestarvi il suo affetto e la sua gratitudine: vedete le Vostre Camicie nere fedeli e disciplinate come sempre apprestarsi a giurarvi ancora una volta obbedienza a qualunque costo (applausi).
Presidente: Voi che con opera tanto dura ed infaticata, quanto feconda e benemerita, guidate sicuro la Nazione verso la sua maggiore valorizzazione, al di sopra delle misere competizioni di parte, ricordatevi di questo popolo che vi segue perché vi ama, che vi ama perché ogni vostra opera è una benemerenza che acquistate verso la Nazione, ed è pronto a sostenervi con tutte le sue forze, sino al giorno in cui avrete compiuto la redenzione della Patria e l’Italia avrà acquistato il posto che le spetta nel mondo.
Il discorso del Sindaco è seguito colla massima attenzione dal Presidente del Consiglio, che fa segni vivi e ripetuti di compiacimento e di approvazione, e alla fine stringe ripetutamente la mano all’oratore unendo il suo applauso a quello della folla.
Mentre risuonano le acclamazioni egli fa annunciare che parlerà al popolo tra poco in piazza, e fra grida di evviva lascia il [Broletto].
Le varie cerimonie
Sempre accompagnato da numerose autorità e salutato ovunque da grandi applausi e da getto di fiori, il Presidente si reca ad inaugurare la Casa del Soldato ove parla il sig. Alfredo Seveso, ed inaugurare il vessillo della Società Esercito ove parlano il presidente generale della Società e la madrina, e infine a porre la prima pietra del Padiglione, Maino, per la Maternità, dove parla il cav. uff. Antonio Maino.
In Piazza Garibaldi
Una folla enorme, incredibile, è radunata in Piazza Garibaldi, quando vi giunge il Presidente del Consiglio la Milizia della 26° Legione schierata con accanto la musica Carroccio ed agli ordini del console cav. Tarabella. Tutto attorno è una infinità di rappresentanze, di gruppi, di delegazioni, e poi è folla, folla, folla.
Mussolini, entrando, si ferma a salutare i Balilla e le scolaresche, poi sale rapidamente sul palco, accolto da un uragano di applausi.
LE PAROLE DI DON COAREZZA
Si avanza ora il Cappellano don Camillo Coarezza che benedice il nuovo labaro che il tenente Fossati impugna e che la signora Cagnola presenta.
Poi don Coarezza, che sotto i paramenti sacri reca la divisa della milizia, invoca il Dio degli Eserciti, e benedice il vessillo e ricordando il motto delle Madri romane che salutavano i figli partenti per la guerra, dice che nelle file della Milizia non vi saranno mai disertori, mai rinnegati. E invita a giurare alla presenza del Duce, colle parole: «O col nostro gagliardetto o colla morte!».
Le fiere e nobili espressioni del sacerdote sono accolte da applausi entusiastici.
LA MADRINA DEL VESSILLO
Parla poi la Madrina del vessillo signora Giuseppina Cagnola Mauri che pronuncia le seguenti parole:
Militi della XXVI Legione!
Oggi, alla presenza del Grande Capo del Governo e del Fascismo per il quale siamo tutti pronti a qualsiasi rinuncia, ho l’altissimo onore di porgervi questo labaro, a nome delle Fasciste gallaratesi, le fedelissime sorelle della vigilia che ammirano il vostro indomito coraggio, il vostro generoso ardimento e che hanno con voi comune la stessa fede che non crolla e che non muta, quella fede che ha un solo nome: Italia!
Camicie Nere, è con noi, in quest’ora solenne, lo spirito eletto di Mario Brumana, che, superbo e palpitante, esulta nella purissima gloria del suo olocausto.
Si elevi possente dal vostro petto il grido di suprema invocazione e d’amore appassionato del Martire Camerata della diletta Patria, e, secondo il comando del nostro magnifico Duce che ci ascolta e ci guarda, si incida inesorabilmente nella vostra volontà, forte ed invitta, il fermo proposito di giungere, attraverso i sentieri del sacrificio e della disciplina, superbamente vittoriosi alla meta.
Per l’Italia di Benito Mussolini e per i suoi Morti, eja, eja, alalà!
Il grido è ripetuto da tutta la folla che acclama.
Il ringraziamento del Console
Parla ora il cav. Tarabella con accento commosso e vibrante di fede per ringraziare vibratamente il Presidente per il suo intervento alla cerimonia.
Il console si dice orgoglioso di annunciare che le squadre gloriose dell’autunno 1922 sono ora i fedeli e disciplinati militi e dice che nel loro cuore non sul labaro sta scritto il motto della Legione: «Amore armato».
E aggiunge: «Se voi comandate, noi siamo pronti a combattere, noi siamo pronti a morire. Uccidere può essere facile, più difficile è saper morire. Ma noi occorrendo per la Patria sapremo anche morire!».
Mussolini parla alla folla
Un urlo immenso della folla saluta l’on. Mussolini che balza sul parapetto del palco e fa segno di voler arringare la folla, ma subito dopo si forma un assoluto silenzio e Mussolini parla dinanzi ad una enorme massa attentissima.
Egli dice
«Cittadini! Camicie nere!
«Voi forse pensate: il Presidente è stanco. Si è alzato di buon’ora stamane – ciò che succede spesso – ha traversato paesi, ha tenuto vari discorsi: già siamo al crepuscolo… Si dice che io parli spesso e volentieri alle moltitudini del popolo italiano. Dirò ai miei contraddittori, che questo è un sistema sommamente democratico; che nella repubblica degli Stati Uniti, nell’ultrademocratica Inghilterra, il Capo del Governo è sempre in mezzo ai suoi elettori e al popolo per prospettare i problemi più urgenti che interessano il Paese. Non solo non sono stanco, ma voglio dirvi una cosa che può interessarvi. Non so resistere alla tentazione di pronunciare un discorso politico. Non lungo, intendiamoci: il numero di parole sufficienti per esprimere qualche cosa che va detta in quest’ora.
Si discute sui giornali e nelle conventicole, sull’eterno tema della forza e del consenso. Io mi domando se sogno o se sono sveglio. Mi domando se questa folla che è dinanzi a me è una folla di larve o una folla di uomini vivi. Mi domando se i miei timpani auricolari non mi abbino per avventura ingannato e abbia preso per acclamazioni della urla d’imprecazione.
(Grida di no! no!). Mi domando se quelli che piovevano al mio passaggio erano fiori o sassi (Fiori! fiori!) Mi domando se i sindaci, i notabili “magistrati” delle vostre notabili città, gli uomini delle officine e dei campi, dell’industria e della agricoltura sono venuti a me per un falso senso di ipocrisia o non mi abbiano invece manifestato la loro aperta e sincera solidarietà.
Ebbene se tutto ciò è, poiché tutto ciò cade sotto il dominio dei nostri sensi, tutto ciò può essere constatato. Se questa è veramente folla, una folla entusiasta, vuol dire che il consenso esiste, che attorno al governo fascista, che attorno al capo di questo governo, che attorno all’idea che questo governo vuol fare trionfare c’è il consenso di vaste moltitudini di buoni italiani. Ora cosa sono questi giovani dallo spirito accartocciato che vanno inseguendo fantasmi, che cosa sono questi sfoghi iracondi di candidati che non sono entrati nel listone perché io li ho respinti, che cosa è questa requisitoria di un uomo che ha sul dorso il triste fallimento di una delle più grandi banche italiane e che oggi ha ancora il coraggio di…
La parola è coperta dall’urlo della folla . Si odono grida di abbasso Albertini.
No – risponde volgendosi agli interlocutori il Presidente del Consiglio – non si tratta di lui. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, diamo all’on. Belotti quello che è dell’on. Belotti.
«Veramente questi fascisti livornesi che io conosco…
Una voce – Sono falsi…
No, sono autentici, tanto autentici che hanno obbedito ai miei ordini pur sapendo che si sarebbero sentite violente accuse, pur sapendo che a Livorno si sarebbe fatto da molta gente in mala fede il processo al fascismo. I fascisti livornesi tacciono disciplinati, perché io diedi l’ordine perentorio. Allora voi intendete che anche la nostra longanimità non è inesauribile come la pazienza di Giobbe. Siamo uomini, non siamo dei santi. Siamo uomini e anche giovani con tutte le passioni e le esuberanze della giovinezza. Vogliamo lavorare, vogliamo dare la pace a tutti gli italiani, vogliamo vivere fraternamente con tutti sul nostro suolo adorato. Ma anche dall’altra parte, quando noi presentiamo non dei ramoscelli, ma intere foreste di olivo, anche dall’altra parte ci deve essere la generosità, il riconoscimento; poiché noi non abbiamo votato soltanto degli ordini del giorno, non abbiamo scritto soltanto delle chilometriche articolesse giornalistiche, ci siamo battuti, abbiamo lasciato del purissimo sangue sulle strade e le piazze d’Italia, e a questo sangue intendiamo restare fedeli per la vita e per la morte!
«Ogni qualvolta io discendo in questa città dove vibra più profondo che altrove il sentimento del popolo italiano, ne ho un conforto e una specie di viatico spirituale. Ciò fa sopportare le fatiche, le inevitabili amarezze, tutto ciò che c’è di arido nella politica militante. Io so che in Italia anche fuori dei ranghi tesserati del fascismo ci sono migliaia e migliaia di cittadini che domani sarebbero pronti a un mio ordine, se tutti coloro che abbiamo irrimediabilmente battuto tentassero di prendere una stolta rivincita!
«Camicie nere! Ho visto poco fa alzare i vostri moschetti, levarli in alto nel gesto gioioso del guerriero, nel gesto del sodato che è cosciente della sua forza, che è orgoglioso della sua passione. Avere un’arma, «amore armato», questa è ancora una grande e profonda verità umana! Ad Asiago lessi sul labaro della legione questa insegna: «Muti e fedeli». Anche la vostra, quella che voi avete scritto non sul labaro, ma nel vostro cuore, mi piace moltissimo.
«Camicie nere! Noi continuiamo a marciare, non siamo stanchi, i compiti di domani ci aspettano e a questi compiti adeguiamo gli spiriti e le forze. Noi teniamo la Nazione perché abbiamo osato quello che altri non osò mai, abbiamo il vanto di dire che abbiamo servito con umiltà la causa della Nazione. Se qualche volta abbiamo sbagliato fu la carne che ci tradì, lo spirito mai. Questo spirito lo consegno a voi perché diventi carne della vostra viva carne, spirito del vostro più profondo spirito.
«Camicie nere, a chi l’Italia? – grida l’oratore.
– A noi! – rispondono i militi e la folla.
– A chi Roma?
– – A noi!
– – A chi il combattimento?
– – A noi!
– – A chi la disciplina?
– – A noi!
– – La disciplina – conclude con forza il Presidente – a tutti, a tutti gli italiani devoti alla Patria!
– Ancora un urlo immenso si leva da ogni parte, poi Mussolini è ancora circondato e festeggiatissimo.
La partenza
Il Presidente del Consiglio e le maggiori autorità convengono subito nella ospitale casa del Grand’Uff. Maino, dove è stato preparato un sontuoso ricevimento, colla consueta tradizionale cordialità.
Dopo essersi trattenuto vario tempo in Casa Maina, il Presidente prende commiato e col suo seguito riparte alla volta di Milano.
Lo segue lungo la via l’urlo possente della folla che lo saluta ammirata.
Mussolini a BUSTO ARSIZIO
Il 25 ottobre 1924 s’inaugurava a Busto Arsizio la nuova stazione ferroviaria. Il Duce vi si recò con S. E. Costanzo Ciano, Ministro delle Comunicazioni, e presenziò alla cerimonia. Visitò poi l’Ospedale, per recarsi infine al Municipio, ove rivolse alla folla questo breve discorso. L’inizio di queste parole è ispirato dai berretti tricolori degli studenti.
I miei occhi sono allietati dalla bandiera vivente, dalla vista dei tre gloriosi colori che riassumono il sacrificio, la gloria e le speranze migliori della Patria. Vedo dinanzi a me i « Balilla » e gli avanguardisti, le camicie nere che si propongono di commemorare un anniversario glorioso e il popolo tutto che si raccoglie attorno ai gagliardetti che simboleggiano non soltanto la lotta, ma la disciplina, la concordia e il lavoro di tutti i cittadini che sono devoti profondamente alla causa della Nazione. Ogni giorno che passa noi poniamo le pietre dell’edificio della grandezza della Nazione: oggi è una stazione, domani sarà un porto, dopodomani una bonifica. Stamane era il circuito telefonico sotterraneo, novità in tutta Italia, che legherà le tre potenti città dell’Alta Italia: Milano, Genova, Torino; domani le strade calabresi, le bonifiche in Sardegna; tanti problemi che ci affaticano e che noi portiamo a compimento dopo mezzo secolo di inutili chiacchiere.
Ed è soltanto così che la Nazione diventerà prospera e potente. È soltanto così che noi cancelleremo talune deficienze per cui l’Italia è la terz’ultima nazione al mondo in fatto di telefoni: con la Russia e il Brasile. Tutte le altre nazioni sono molto più sviluppate di noi. Questi sono segni di deficienza che dobbiamo energicamente curare, altrimenti diventeremo la colonia di qualche popolo più potente del nostro; e siccome noi siamo troppo orgogliosi della vittoria che abbiamo strappato con immenso sacrificio di sangue per pensare anche lontanamente di diventare una colonia, così il dovere dell’ora di tutti i cittadini è quello di lavorare con tranquilla coscienza, giorno e notte, non soltanto otto, ma sedici ore, se sarà necessario, pur di aumentare la potenza, la ricchezza e il benessere della Patria.
Cittadini! Anche questa giornata che volge al termine in un tramonto di sole e di gloria… e per la quale avete trepidato un poco… sì! pensavate a qualche diluvio… anche questa giornata si chiude per me lasciando nel mio animo un ricordo lieto, un ricordo che non si cancellerà, vi assicuro, perché è con viva commozione che io ho ascoltato il discorso del vostro Sindaco; è stata per me una specie di rivelazione sapere che a Busto ci sono 360 tra piccoli e grandi stabilimenti, che la natività è potente, che la città si sviluppa! Quello che avviene a Busto avviene oggi in tutta la Nazione. Voi sentite che il ritmo della nostra vita si è straordinariamente accelerato; sentite che bisogna riguadagnare energicamente il tempo perduto; voi sentite, avete questa sicurezza, questa certezza suprema, che se tutti noi saremo disciplinati, concordi, laboriosi, stretti intorno al Sovrano, stretti intorno alle Istituzioni fondamentali della Patria, non potrà mancare un grande, un prospero, un glorioso avvenire.
Poco dopo, il Duce passò nella sala consigliare del Municipio di Busto Arsizio, e ai Sindaci del Circondario rivolse le seguenti parole:
Quando non si è dogmatici pur mantenendo la necessaria intransigenza ideale – la quale intransigenza risponde ai connotati di un individuo – si può tuttavia scegliere il minimo o il massimo comune denominatore che permetta di lavorare con assoluta concordia fra uomini diversi.
Io aggiungo, signor Sindaco, che se questo fosse possibile su vasta scala, sulla scala della Nazione, la cosa avrebbe certamente un’utilità grandissima. Ma debbo aggiungere con molta franchezza che se questo non è avvenuto, o non è avvenuto in quelle proporzioni che si potevano pensare, non è dipeso da me. No, non è dipeso da me. È solo con la concordia che si possono risolvere i problemi di una città, concordia che unisce i cittadini nel ramo della produzione. Tutti sanno che solo a questo prezzo è possibile realizzare l’avvenire del popolo. Quante volte io ho detto ai cittadini di buona volontà: lasciamo da parte, davanti ai problemi della ricostruzione nazionale che sono immensi, che sono urgenti (ci sono comuni in condizioni di vita premedioevale che sono in arretrato non di 50 ma di 400 anni), quante volte io ho detto: affrontiamo questi problemi, lasciamo da parte la policromia politica, l’arcobaleno, i trecento colori, lavoriamo! Lavoriamo perché è nel lavoro che si trova la concordia. Non è stato possibile. Evidentemente ogni movimento ha i suoi emigrati: la rivoluzione francese nell’89 ha avuto i suoi emigrati che andavano fuori della Francia per combattere; il movimento fascista ha avuto i suoi emigrati. D’altra parte non si può dimenticare che c’è un fatto compiuto, consegnato alla storia, che non si può cancellare. È mai possibile negare che nell’ottobre 1922 ci sia stata una Marcia su Roma, un fatto storico cioè come la spedizione dei Mille, il martirio di Belfiore, le dieci giornate di Brescia, le cinque giornate di Milano? Ebbene, signor Sindaco, non importa se gli appelli resteranno nel vuoto. Bisogna persuadersi di una cosa: che il Governo è solido, che io sono più solido ancora del Governo.
Io intendo, energicamente intendo, continuare la mia fatica. Oh! non già perché sia un piacere, non già perché sia piacevole avere sulle spalle il destino di un popolo; ma è un mio dovere preciso; ho una somma di problemi che debbo risolvere, e li voglio risolvere. Del resto vedete che vi faccio dichiarazioni politiche così, con molta familiarità, come ci fossimo sempre conosciuti, e probabilmente ci siamo davvero sempre conosciuti.
Ma queste dichiarazioni hanno forse la loro importanza. Se gli uomini di buona volontà vorranno ascoltare l’appello, bene; se no, continueremo la via da soli; la ricostruzione sarà più dura, più aspra, ma questa è una consegna storica che abbiamo; e noi siamo soldati fedeli alla consegna. Io penso che malgrado tutto, malgrado gli errori – ma chi è che non commette errori nel mondo! ci sono ancora dei vasti consensi, ci sono sempre dei vasti consensi intorno al Governo che ho l’onore di presiedere: Governo di lavoratori, di gente che ha l’altissimo senso della propria responsabilità.
E quando nelle mie meditazioni io metto a confronto l’Italia di dieci o di quindici anni fa e l’Italia di oggi, che deve risolvere problemi essenziali, e penso che è il Governo fascista, per esempio, che ha stabilito la linea telegrafica fra l’Italia e i 10 milioni d’italiani che sono al di là dell’Oceano (nessuno prima ci aveva pensato!).
per me è una grande soddisfazione avere sul mio tavolo di lavoro a Palazzo Chigi un frammento del cavo che unirà le nostre anime al di sopra degli oceani! Opera nostra! e molte altre, molte altre, Signori! Molte altre! Tanto che qualche volta commetto un peccato d’orgoglio, un grave peccato d’orgoglio; il peccato di dire che se ci lasciano tranquilli per cinque o dieci anni, fra cinque o dieci anni l’Italia sarà irriconoscibile, avrà cambiato faccia, perché sarà ricca, tranquilla, prospera, perché sarà possente, perché sarà una delle poche nazioni che potranno domani guidare la civiltà mondiale.
E in Europa, l’ho già detto e lo ripeto, c’è chi sale e chi scende; il destino dell’Europa non è irrevocabilmente tracciato e definito. Io penso che fra coloro che salgono, fra coloro che montano all’orizzonte europeo ci sono gli italiani, ci siamo noi. E tanto più saliremo, tanto più rapidamente monteremo ai fastigi di questa storia quanto più saremo uniti, quanto più saremo concordi, quanto più rispetteremo le leggi – quelle che sono e quelle che saranno – quanto più ci considereremo soldato che ha i suoi cómpiti, la sua consegna, le sue responsabilità. Non la caserma prussiana, ma la nostra caserma; non il falansterio ma la fraternità di tutti gli italiani, che si ritrovano, che combattono, che lavorano, che sperano e che marciano verso un sicuro, verso un prospero avvenire!