Return to Foibe ed esodo giuliano-dalmata

Brevissima sintesi degli avvenimenti al Confine Orientale d’Italia dal 1920 al 1 maggio ’45

Cassano Magnago, 31 maggio ’19

Vediamo il quadro storico in cui inserire la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo

1) La nostra storia inizia il 1 maggio 1945 quando a Trieste entrano le truppe dell’esercito di liberazione jugoslavo e iniziano subito le violenze. Non solo a Trieste ma anche a Pola, Fiume e in tutta l’Istria.

Sono 40 giorni di terrore che non saranno mai dimenticati. L’Ozna (la polizia politica jugoslava) agisce sulla base di vere e proprie liste di proscrizione in cui ci sono nomi, cognomi, indirizzi di gente che deve sparire: fascisti soprattutto, militari della Rsi, ma anche partigiani del CLN, democratici, antifascisti… tutte persone che si sarebbero sicuramente opposte al disegno del maresciallo Tito volto a fare dell’Istria e della Venezia Giulia territori della nascente Jugoslavia popolare.

Alla fine a Trieste avremo 1500 persone scomparse e poi ammazzate in vario modo (una parte nelle foibe, l’altra nei campi di concentramento jugoslavi), 1100 a Gorizia, 650 a Fiume e 827 a Pola (in una città che contava 32mila abitanti!), città che è un po’ la protagonista del racconto di questa sera.

Infatti quando si parla di “foibe” dobbiamo utilizzare questo macabro conteggio: probabilmente le vittime furono 4.500- 5000 conteggiando le vittime delle foibe del ’43 con le vittime delle foibe del maggio-giugno ’45.

Perché 40 giorni? Perché dopo alcune settimane di occupazione titina di Trieste e di Gorizia il nuovo presidente americano, Truman, impose a Tito di allontanarsi con le sue truppe perché stanno già nascendo gli schieramenti della Guerra Fredda e Trieste deve appartenere al blocco occidentale.

In questo momento non c’è dubbio che sono i titini a esprimere una violenza brutale che provocherà tante vittime e brutali traumi nel corso del tempo. Sotto accusa è il nazionalismo del movimento di liberazione popolare guidato da Tito che vuole fare di Trieste la “Settima federativa”, ossia Trieste doveva diventare il fiore all’occhiello della nuova Jugoslavia socialista.

Ma c’è stato un tempo in cui la violenza era italiana e si esprimeva attraverso il nazionalismo fascista.

Quando finisce la Grande Guerra l’Italia occupa Trieste, Gorizia, l’Istria e alcune zone della Dalmazia (dal 1920, Trattato di Rapallo).

La politica dello Stato italiano si esprime con quello che viene chiamato “Fascismo di confine”:

– violenze fasciste nel Biennio Rosso (1919-1920) tra le quali l’incendio del Narodni Dom – foto

– l’imposizione nelle ex-scuole croate e slovene della sola lingua italiana

– il cambiamento dei cognomi e dei nomi di battesimo della popolazione slava in lingua italiana

– l’afflusso di numeroso personale italiano per cambiare i rapporti demografici tra italiani a autoctoni a tutto vantaggio degli italiani

– la cacciata del clero slavo e l’arrivo di preti italiani ben allineati con il regime

E’ una politica che si basa su uno slogan molto chiaro: snazionalizzazione degli slavi nei territori ora italiani ossia rapida italianizzazione del territorio con gli abitanti.

Poi arrivò la seconda guerra mondiale e la situazione per gli “alloglotti” precipitò.

Le autorità italiane di occupazione si macchiarono di gravi crimini:

– incendio di villaggi in Slovenia per combattere la “piaga” dei partigiani

– centinaia e centinaia di civili messi al muro come ritorsione per la morte di soldati italiani

– deportazioni di civili sloveni e croati verso i campi di concentramento italiani e in terra jugoslava

Alla fine avremo alcune migliaia di vittime morte a causa delle tante violenze e alcune decine di migliaia di civili deportati in Italia.

Tutto questo va detto non tanto per giustificare una violenza con l’altra quanto per far capire come l’Istria e la Venezia Giulia siano state vittime di un doppio nazionalismo: prima di quello fascista e poi di quello jugoslavo ammantato di socialismo.