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Giorno della Memoria 27 gennaio ’17. Una riflessione tra passato e presente

Giorno della Memoria 2017

27 gennaio 1945-2017

Una riflessione tra passato e presente

Auschwitz, 27 gennaio 1945

Il 27 gennaio del 1945 un’avanguardia dell’esercito sovietico entrò nel campo di Auschwitz, appena evacuato dalle SS, e il mondo da quel giorno cominciò a conoscere che cosa era avvenuto nel più grande campo di annientamento che l’uomo aveva progettato e realizzato contro l’uomo. In circa due anni di pieno funzionamento del campo di Auschwitz (1942–fine ’44) furono deportate circa un milione e mezzo di persone, prevalentemente ebrei di tutta l’Europa, e un gran numero di polacchi e russi non ebrei più alcune decine di migliaia di Rom e Sinti, ossia le popolazioni nomadi dell’Europa centrale e orientale. Quando il campo fu liberato emerse subito la terribile contabilità di Auschwitz-Birkenau: del milione e mezzo di deportati, circa 900.000 ebrei furono assassinati nelle camere a gas al loro arrivo mentre altre decine di migliaia morirono a causa del lavoro sfibrante, di ridotte razioni alimentari, a causa di malattie e violenze quotidiane. Moltissimi di loro erano ebrei di tutta Europa.Da Auschwitz e da quel 27 gennaio di 72 anni fa nacque una parola che riassume tutto l’orrore dei campi nazisti: Shoah. Shoah vuol dire “catastrofe”, “distruzione” del popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale: sei milioni di ebrei furono assassinati dal ’39 al ’45 e la metà in strutture di messa a morte come Auschwitz, dotate di camere a gas e forni di incenerimento.

Shoah e altri genocidi

Ma la grande tragedia della Seconda guerra mondiale non ha coinvolto solo gli ebrei. Facciamo fatica a capire quanti siano 48 o 50 milioni di persone che vennero uccise nel corso della guerra e la maggioranza erano civili morti per i bombardamenti, la fame, le violenze della guerra, le stragi contro i civili… Quindi bambini, donne, vecchi vittime della guerra. Anche la morte nei lager nazisti va purtroppo al di là dei tre milioni di ebrei morti nelle camere a gas dei campi di sterminio: ad Auschwitz furono uccisi anche i Sinti tedeschi con i prigionieri di guerra polacchi e russi mentre in altri lager, come Mauthausen e Dachau, a finire nel meccanismo di messa a morte tramite il lavoro esercitato in forme schiavili furono i partigiani di tutta Europa, gli antifascisti, gli operai che avevano scioperato, persone che avevano aiutato gli ebrei e i soldati nemici in fuga.  Anche qui la contabilità di quelli che furono chiamati Triangoli Rossi arriva a milioni di deportati di tutta l’Europa. E poi omosessuali, Testimoni di Geova, operai e tecnici di molti paesi deportati per lavorare nelle fabbriche tedesche rappresentano altre componenti di questa galassia infinita che furono i lager nazisti.

Le deportazioni dall’Italia

Anche l’Italia pagò un prezzo molto alto al terribile bilancio dei campi tedeschi. Dopo l’8 settembre del 1943 dal nostro Paese furono deportati:

  • 65o.000 soldati dell’esercito italiano (divennero IMI) / 30-40.000 morti
  • 24.000 Triangoli Rossi (operai in sciopero, partigiani, antifascisti…) / 10.000 morti circa
  • 120.000 lavoratori rastrellati in Italia per lavorare come schiavi nei lager / difficile calcolare il numero di morti
  • 8.000 ebrei cittadini italiani che finirono nelle camere a gas di Auschwitz / tornarono poche centinaia di persone

In totale almeno 800.000 italiani conobbero la prigionia e molti la morte al di là delle Alpi. Una deportazione imponente, forse ancora oggi non del tutto conosciuta.

Le deportazioni da Legnano e Busto Arsizio

Anche le nostre comunità sono state pesantemente investite da forme di repressione finalizzate a mantenere l’ordine nelle fabbriche e procurare manodopera per i lager in Germania e Austria. La deportazione da Legnano ha riguardato una quarantina di persone, in prevalenza operai delle grandi fabbriche dell’epoca. A Busto Arsizio addirittura i deportati furono una cinquantina, anche qui con una netta prevalenza dell’elemento operaio. Due episodi sono particolarmente significativi. Ci stiamo riferendo ai fatti del 5 gennaio 1944 alla “Franco Tosi” di Legnano e del 10 gennaio dello stesso anno alla “Comerio” di Busto Arsizio. Alla “Franco Tosi” lo sciopero andava avanti da alcuni mesi mettendo in difficoltà la produzione bellica tedesca che aveva nella Tosi un punto di riferimento. Per porre fine agli scioperi e riportare tutti gli operai in fabbrica nel primo pomeriggio del 5 gennaio di 73 anni ci fu l’irruzione di una cinquantina di SS ben armate nel cortile della “Franco Tosi” con l’obiettivo di terrorizzare gli operai. Otto operai deportati a Mauthausen, un solo “salvato”. La stessa tecnica militare cinque giorni dopo a Busto Arsizio (10 gennaio) quando vi fu un’irruzione ancora di SS nella “Ercole Comerio” con l’arresto e la deportazione di sei operai, quasi tutti membri della Commissione interna.

“Mai Più!”

Quando il mondo uscì dalla seconda guerra mondiale e conobbe l’universo dei lager nazisti molti dissero “Mai Più”! La condanna dei criminali nazisti a Norimberga e i tanti processi contro gli aguzzini nei lager sembravano la garanzia più efficace per un mondo migliore. Alcuni intellettuali giunsero a dire che dopo Auschwitz la poesia non sarebbe stata più possibile perché quanto era accaduto imponeva all’umanità un radicale cambiamento con l’abolizione delle guerre e di ogni forma di ingiustizia. Purtroppo le cose non andarono in questa direzione, la pace fu subito minacciata dalle due superpotenze uscite vincitrici dalla guerra: Stati Uniti e Unione Sovietica; dopo Hiroscima e Nagasaki nacque l’incubo atomico; la volontà di pace fu sopraffatta da nuovi nazionalismi e nuovi conflitti in Africa, Asia e Medio Oriente. Il messaggio di Auschwitz venne rapidamente dimenticato nelle tante guerre che insanguinarono il mondo dopo il ’45 e nuove dittature opprimevano i popoli, come nell’Europa orientale, dove altri campi di concentramento continuarono a sussistere fino alla caduta del Muro di Berlino. Neppure il genocidio ebraico sembrò educare a uno spirito di pace e concordia. Erano ancora fumanti le macerie della guerra e addirittura in Polonia, a Kielce, nell’estate del 1946, vi fu un pogrom antiebraico con decine di vittime. Nel 1994  in Ruanda vi fu un nuovo genodicio (l’etnia Tutsi) con poco meno di un milione di vittime. E poi non dimentichiamo le tante guerre che sono arrivate fino alla fine del Novecento e si sono protratte nel nostro nuovo secolo.

Che fare?

Che fare di fronte a tante ingiustizie nel mondo? A tante guerre dimenticate o guerre senza fine dove prevalgono logiche di esclusione del “nemico” per motivi religiosi, razziali o bassamente economici? Purtroppo Auschwitz non ha insegnato nulla a un mondo che appare privo di guida e soggetto a un vero disordine mondiale. Centrali finanziarie muovono ingenti masse di capitali seguendo solo la legge del profitto; milioni di disoccupati e soprattutto giovani sono senza lavoro e con la prospettiva di non trovarlo; interi popoli emigrano per sfuggire le guerre e le dittature oppure per dare un futuro migliore ai propri figli; forme esasperate di xenofobia e razzismo sono la risposta più frequente a chi cerca pace e lavoro lontano da casa.

Si può fare molto

Quindi, che fare? Si può fare molto nonostante tutto. Possiamo insegnare ai nostri figli e ai nostri studenti, se siamo educatori, che al mondo esiste una sola razza. Quella umana. Ed esiste almeno da 40.000 anni! Geneticamente parlando siamo tutti uguali!  Possiamo insegnare qual è il motivo per cui siamo tutti uguali geneticamente. Perchè l’uomo si è sempre mescolato con altri uomini nel corso di lunghe e continue peregrinazioni da un continente all’altro. Ecco perché le razze umane non esistono. Colore dei capelli, degli occhi, della pelle… sono adattamenti che l’uomo ha subito in centinaia di migliaia di anni stanziandosi alla più diverse latitudini. Possiamo insegnare quindi che il razzismo non ha nessuna base scientifica e la “paura dello straniero” è esasperata da partiti, televisioni e giornali che seguono logiche a loro favorevoli: voti, pubblicità televisiva e consenso facile. Possiamo insegnare a chi vuole ascoltare che oggi la stragrande maggioranza dei migranti in Italia è regolarizzata, lavora, paga le tasse, rispetta la legge ed è integrata nelle nostre comunità. I loro figli nati in Italia parlano perfettamente l’italiano e si sentono italiani a tutti gli effetti. Possiamo insegnare che l’operaio tunisino o egiziano in Italia è uguale all’operaio italiano e tutti e due devono combattere le stesse battaglie sindacali avendo gli stessi interessi da difendere. Possiamo insegnare che il terrorismo islamico è un grave pericolo ma riguarda frange minuscole, seppure pericolose, di esaltati mentre la totalità dei migranti e di coloro che vivono da tempo con noi è a loro contraria.

“Noi” e “loro”?

Tutto questo non è utopia ma la realtà: basta leggere i giornali, leggere i libri migliori e assumere un atteggiamento critico verso quotidiani, mondo politico, associazioni da dove vengono diffusi invece messaggi che incitano allo scontro, alla contrapposizione tra “noi” e “loro”.  Anche durante il colonialismo europeo in Africa, durante l’età dei nazionalismi in Europa e con il fascismo-nazismo al potere la contrapposizione tra “noi” e “loro” sembrava un dato indubitabile. Le conseguenze di questi atteggiamenti furono i massacri coloniali, le guerre in Europa, e lo sterminio di chi non rientrava in determinati “parametri” di purezza razziale, come nella Germania hitleriana gli zingari, gli ebrei, i disabili tedeschi. Non facciamo che queste logiche abbiano il sopravvento, non giriamo la testa di fronte a chi semina tempesta, cambattiamo ogni giorno la nostra piccola grande “guerra” a favore dell’integrazione, della tolleranza, contro ogni razzismo e ideologia prevaricante. Ricordiamo le tragedie del passato come monito affinchè non si ripetano più. Vengono in mente le parole di Dante Alighieri in una sua opera (“Convivio”):

“Noi, invece, che abbiamo per patria il mondo, come i pesci il mare…”

Giancarlo Restelli e Renata Pasquetto

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