Mauthausen: il lager degli italiani
Il titolo del nostro incontro è “Mauthausen, il lager degli italiani”, non solo perché gli antifascisti italiani sono stati deportati qui ma perché Mauthausen è stato per decenni il simbolo dei lager nazisti prima che fosse “superato” per brutalità e numero di assassini da Auschwitz.
Un tempo in Italia bastava dire “è stato a Mauthausen” oppure “è morto a Mauthausen” per capire tutto.
Dall’agosto del 1938 al 5 maggio del ’45, quando fu liberato dagli americani, nel lager di Mauthausen vennero deportati circa 200.000 persone (50mila polacchi, 40mila sovietici, 39mila ebrei, pur non essendo un lager destinato agli ebrei), di essi 95.000-100.000 morirono nel campo.
Gli italiani furono deportati dal settembre-ottobre del 1943 con una ventina di “trasporti” (vagoni piombati) con un totale di 6.615 deportati (le donne erano 127). I sopravvissuti furono il 45%.
Storia di Mauthausen
Il lager nasce dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938. Il luogo scelto è presso Linz (Alta Austria) in prossimità di una cava di granito da utilizzare per la costruzione del lager e per lo sfruttamento a fini commerciali della pietra.
In questo momento (1938) i prigionieri sono criminali comuni tedeschi, asociali, Testimoni di Geova, zingari e i primi ebrei austriaci. Nel 1940 è costruito Gusen, è il primo dei 40 sottocampi di Mauthausen.
Quindi, prima della guerra, il lager ha una funzione modesta: internare i nemici del Reich e sfruttarli nella cava di granito arricchendo le SS.
La guerra cambia tutto e muta in profondità tutto il sistema concentrazionario del nazismo. L’obiettivo ora è sfruttare a pieno la manodopera per la vittoria del Reich.
Se esuliamo dagli immani compiti di produzione bellica riservati ai lager dalle SS, non possiamo capire l’essenza dei campi di concentramento.
Già nel 1940 iniziano gli arrivi di prigionieri degli eserciti nemici: polacchi, spagnoli della guerra civile, cechi, ebrei olandesi. Poi con i mesi arriveranno anche i “politici” ossia partigiani, resistenti e scioperanti dei diversi paesi europei (Triangoli Rossi).
Il periodo peggiore di M. corrisponde ai trasferimenti forzati di decine di migliaia di deportati da un lager all’altro negli ultimi mesi della guerra nel 1945 (marce della morte con contemporaneo trasferimento di macchinari). Addirittura nel marzo del 1945 si arriva a un massimo di 84.000 deportati (affollamento, carenze igieniche, peggioramento del cibo, mancata distribuzione del cibo).
Le terribili immagini che abbiamo visto girate dagli americani e inglesi a Bergen Belsen, Buchenwald, Dora- Mittelbau e appunto Mauthausen, proiettate durante il processo di Norimberga, si riferiscono alle ultima settimane di vita del nazismo quando nei lager tutto viene a mancare e gli uomini muoiono come mosche.
Il 5 maggio Mauthausen è liberato dagli americani
Caratteristiche di Mauthausen
Mauthausen ha una sua peculiarità nella storia dei lager nazisti. Nel 1941 una circolare di Reinhard Heydrich classifica Mauthausen come lager di III categoria (per nemici irriducibili). Mauthausen diventa “centro di sterminio” (attraverso il lavoro).
Mauthausen è il solo di terza categoria. Dachau è di prima categoria con Auschwitz I, Buchenwald è di II categoria. I VL non possono essere considerati in questo schema (Belzec, Auschwitz II-Birkenau, Chelmno, Sobibor, Treblinka).
Qui l’obiettivo non è uccidere con il lavoro ma uccidere subito con “impianti industriali” di messa a morte.
Struttura del campo
Alla fine del 1942 M. assume la configurazione definitiva:
– il campo madre sulla collina circondato da mura alte fino a 4 metri con funzioni di distribuzione della manodopera e “affitto” della manodopera alle aziende private
– la cava di granito (simbolo di Mauthausen), profonda cento metri a cui si accedeva scendendo una scalinata di 186 gradini. Vi lavoravano stabilmente dai 1000 ai 3000 deportati, alcuni appartenenti alla cosiddetta “compagnia di disciplina” (massi da 50 kg sulle spalle)
– il campo ospedale (una decina di baracche al cui interno si moriva privi totalmente di cure)
– una quarantina di sottocampi tra cui Ebensee, Gusen, Melk, tre a Linz… all’interno dei quali i deportati lavoravano e morivano per incidenti, debolezza, malattie, percosse.
In genere i prigionieri nei sottocampi sono impiegati in tre settori:
– costruzione di infrastrutture (strade, centrali elettriche, tratti di ferrovie, ecc)
– trasferimento sotterraneo delle industrie belliche (scavi gallerie, installazione macchinari)
– produzione di armamenti
Gli italiani a Mauthausen
Arrivarono dopo l’8 settembre del ’43, meglio dire tra la fine del ’43 e i primi mesi del ’44 e furono accolti, anche dagli stessi deportati di altra nazionalità, con evidente ostilità (badogglio, macaroni). La maggiore violenza da parte delle SS (italiani traditori).
Nel lager i posti migliori erano già stati assegnati e così nessuno di loro potè trovare una sistemazione meno disumana.
La percentuale dei morti, 55%, indica con chiarezza le sofferenze a cui furono sottoposti gli italiani.
Chi erano questi italiani?
Partigiani non fucilati sul posto, partigiani senza armi, scioperanti (soprattutto marzo ’44), coloro che aiutavano i partigiani, rastrellati durante le azioni antipartigiane (spesso non c’entravano nulla).
Divennero Triangoli Rossi, ossia “politici”: agli occhi dei nazisti pericolosi avversari che dovevano morire o subito o poco alla volta nel lager.
* Dati su Mauthausen-Dachau e i deportati dalla Provincia di Milano
– Deportati da Milano e provincia: 1.010 uomini e 32 donne (totale 1043). Morti: 575
– Deportati dalla provincia di Milano: 569 a Mauthausen e 270 a Dachau
– Da Milano 170 deportati
– la deportazione da Milano è dopo Pola, Gorizia, Trieste e Udine (quinto posto)
– Dalla Lombardia 1202 deportati, seconda regione dopo il Friuli V.G.
Dati Valota / Sesto San Giovanni
– 553 deportati da Sesto San Giovanni (le donne sono 13). A quel tempo Sesto aveva 50mila operai
– al centro della deportazione soprattutto Breda, Pirelli e Falck
– 400 i deportati per gli scioperi del marzo ‘44
– dei 553, 196 arrestati in fabbrica
– 220 morti
dati lager:
– Mauthausen: 6615 dep / 4121 morti (con due donne) / 60% / è la percentuale più alta
– Mortalità globale a Mauthausen: 50%
– Dachau: 9311 dep. / 1765 morti (6 donne) / 17,4% (è il quinto posto)
– Ravensbruck: 1237 dep italiane / 85 morte / 7%
Il Bunker (crematorio) di Mauthausen
La camera a gas entrò in funzione nel 1942 e provocò la morte di circa 4-5000 deportati, in genere si trattava dei nuovi arrivi (vecchi, malati), degli inabili al lavoro provenienti dal Revier, degli ammalati. Fu usata in modo irregolare.
Dei 5000 uccisi, la metà alla fine della guerra. Dimensioni: 3,80 di lunghezza, 3.50 di larghezza. È usato lo Ziklon B.
Altri spazi per uccidere con il gas furono le “corriere blu” e la camera a gas di Hartheim (3.000 da M. e 1900 da Gusen).
Nei tre forni crematori di Mauthausen furono incenerite 27.500 persone.
Ma non c’era solo la camera a gas per uccidere: si moriva di malattie e fame nel Revier, si moriva per fucilazione, per esperimenti medici, per bastonate, per iniezioni di fenolo al cuore, di lavoro nei sottocampi… e in tanti altri modi.
Non solo tormenti
E’ sbagliato vedere i lager solo come luoghi di tormento per antifascisti di tutte le nazioni europee. Il lager fu un sistema brutale, certo, ma di efficiente sfruttamento della manodopera.
Soprattutto per i lavori di manovalanza non c’era alcun rispetto della vita perché ogni giorno arrivavano treni carichi di manodopera. Mancavano nei lager gli ingegneri, gli operai specializzati, i tecnici, che infatti furono trattati meglio rispetto ai manovali.
Addirittura nel “Terzo Libro dei Deportati”, nel saggio su Mauthausen, la Scala della Morte non è neppure citata. Prevale quindi nella migliore storiografia l’analisi non tanto degli “orrori” quanto della “razionalità” del lager, della sua efficienza e del suo ruolo nello sforzo bellico tedesco.
Lettura finale: la Liberazione / Roberto Camerani a Ebensee
“La sera del 6 Maggio 1945 scendiamo dai bett (letti a castello) per metterci in fila quando il capo blocco ci ordina di tornare nei castelli: niente appello, la fetta di pane viene data a tutti.
Dopo pochi minuti entra uno scrivano francese che veniva tutte le sere a trovare quattro compatrioti che stavano a lato del mio bett. Parla brevemente con loro e se ne va velocissimo.
Un francese allora mi chiama dicendomi: “Toi, l’italien! Tu sais que les Americains sont arrivés à Ebensee?”
Io non detti peso alla frase. Ne avevo sentite e ne sentivo troppe tutti i giorni, ma in quel momento si sentì un motore, un rombo fuori nel viale e grida; mi girai e feci appena in tempo a vedere una strana macchina mai vista prima, color verdognolo con una grande “stella bianca” sul fianco: era una “jeep”.
Allora successe il miracolo: nella baracca quegli scheletri viventi si misero a… cantare. Le bocche buie, le voci fioche miscelevano l’Internazionale con i salmi ebraici, con la Marsigliese e le note di “Mamma”. Io guardavo inebetito e stremato, svuotato da ogni possibilità di partecipazione.
Quando scendemmo dai castelli Ennio ed io avevamo infatti sentito uno strano ronzio nelle orecchie e vedevamo dei pallini rossi. Ce lo dicemmo e stabilimmo tranquillamente che ormai le nostre ore erano contate e che la mattina successiva saremmo stati anche noi nel mucchio, ma l’arrivo dei liberatori ci diede indubbiamente una sferzata.
Non mi riuscirà mai di poter descrivere come passammo quella notte: pensieri, speranze, preoccupazioni, paure, stranezze, pause di vuoto. Qualcuno di noi tentò di uscire dal blocco, ma non andò più in là di dieci metri accasciandosi per terra e rimanendo lì fintantoché non fosse raggiunto da qualcuno in grado di riportarlo dentro.
Ennio ed io tentammo di uscire il mattino e, come gli altri, ci accasciammo subito per terra.
C’era il sole, era un periodo molto bello e tiepido, ma il caldo ci faceva sentire ancor più sfiniti. Per ritornare nella baracca bisognava chiedere aiuto a chi aveva più energie e così finimmo per rimetterci nei bett”.