Torna a La rivoluzione d’Ottobre e lo stalinismo

Caporetto, l’ “Ottobre” italiano?

Caporetto, l’ “Ottobre” italiano?

Caporetto poteva diventare l’ “Ottobre” italiano?
Vorrei iniziare con una citazione del grande storico Leo Valiani: “Il solo istante in cui, durante la guerra, un moto rivoluzionario sarebbe stato oggettivamente possibile in Italia, si ebbe con Caporetto”.
E’ un tema al quale non è facile rispondere e che ha provocato molti dibattiti in Italia nei decenni precedenti.

Sappiamo tutti che cosa è accaduto a Caporetto (25 ottobre 1917). Una grande offensiva tedesco-austriaca nel settore tra Tolmino e Plezzo provoca lo sfascio della II Armata e il ritiro verso il Piave (Grappa, Montello) delle armate del Trentino, della Carnia e del Basso Isonzo.
Nuovo modo di combattere da parte dei “nemici” (tattica dell’ “infiltrazione”) e grossolani errori da parte dei vertici dell’esercito, Cadorna in primis, provocano il disastro di cui parlano tutti i libri di storia con la perdita di un territorio molto ampio (120 chilometri tra Caporetto e il Piave).
Qualche mese prima a Torino (dal 21 agosto) c’è una grande ribellione del proletariato della città contro la guerra e soprattutto per la mancanza del pane con l’intervento dell’esercito e alcune decine di morti.

Quindi abbiamo due episodi forti su cui riflettere. Da una parte la ribellione di un’intera città che per tre giorni tiene in scacco la Torino borghese, dall’altra un’enorme massa di soldati armati che abbandonano le trincee lungo l’Isonzo e un nemico che sembra irresistibile nella sua avanzata. Alla fine ci saranno 300.000 prigionieri italiani, 10-15.000 morti, la perdita di territorio (Friuli e Venezia Giulia con parte del Veneto) accanto alla perdita di magazzini, armi e altro.

Ritorna la domanda iniziale: c’erano condizioni rivoluzionarie tra l’estate e l’autunno del ’17 in Italia? e se sì perché non ci fu un’esperienza simile all’ ”Ottobre” bolscevico?
Anticipando le conclusioni possiamo dire che in Italia rispetto a quanto avviene contemporaneamente in Russia manca un sicuro protagonista: un partito rivoluzionario simile a quello bolscevico, temprato da decenni di lotte contro nemici ideologici esterni ma anche interni. Un partito capace di essere presente al momento giusto nelle lotte di operai di fabbrica e di soldati-operai-contadini al fronte. Soprattutto un partito capace di coordinare le lotte con slogan efficaci e con una strategia conseguente.
Tutto ciò mancò in Italia in quel momento: le lotte di Torino furono assolutamente spontanee, prive di organizzazione centralizzata e prive anche di sbocchi politici; Caporetto fu allo stesso modo, più in grande, un moto di protesta di soldati abbruttiti da anni di sofferenze senza alcuna alcuna organizzazione illegale operante tra le truppe in rotta.
Infatti se andiamo a vedere ciò che scrissero i contemporanei vediamo che questo grande potenziale di lotta (soldati armati che volevano solo tornare a casa) fu malamente sprecato dai dirigenti socialisti dell’epoca.

“La rivolta dei santi maledetti” (Malaparte)
“ Era una marcia tranquilla. Non un viso su cui si leggesse la vergogna o il furore o la disperazione, non un occhio che non fosse sereno. Nessun indizio di indisciplina, di reazione, di rivolta; anzi, molti segni di rispetto verso di me che passavo”, così scrisse un tenente colonnello durante la ritirata.
Abbiamo altre autorevoli testimonianze del carattere assolutamente non rivoluzionario ma neppure prerivoluzionario della disordinata ritirata verso il Piave:
“I nostri soldati, nella quasi totalità, non sentivano la vergogna che ci aveva sommersi; erano anzi contenti perché era finita la camorra. Erano ormai una massa di bruti, una valanga di esaltati che correva, che rotolava giù per la china, per viottoli, fra gli alberi, fra i cespugli, fra gli sterpi e i sassi. Fuggivano il campo di battaglia, volevano arrivare al più presto, ma non sapevano dove” (un ufficiale poi catturato dagli austro-tedeschi).
Durante la rotta l’auto del re con a bordo il primo ministro Orlando finisce in mezzo alla fiumana dei “fanti maledetti” avrebbe detto Curzio Malaparte:
“Certo è – disse Orlando – che se quella gente fosse stata animata (ed anche in una sua minima parte) di spiriti sovversivi, lontanamente paragonabili a quelli che dominarono nell’esercito russo e, in certi momenti e in certi reparti, nello stesso esercito francese, mai migliore né più facile occasione si sarebbe potuta offrire di impadronirsi del capo di stato e, nello stesso tempo, del capo del governo!”. Non accadde nulla di tutto ciò, anzi molti soldati riconoscendo il re lo salutarono rispettosamente.
Stessa esperienza Cadorna verso Treviso: “Passammo attraverso una lunghissima colonna di sbandati. Qual migliore occasione per ingiuriarmi impunemente e peggio! Ebbene, non una voce, men che rispettosa, partì da quella turba”. Eppure quante volte Cadorna aveva denunciato l’ “inquinamento nell’esercito della propaganda sovversiva”, la “malattia morale” che dilaniava l’esercito a causa della propaganda del “nemico interno”?
In realtà è un punto assodato nella storiografia su Caporetto che in quei giorni non ci fu alcuna organizzazione politica responsabile di quello che stava accadendo.
Appena i vertici dell’esercito si ripresero dallo shock, senza eccessive difficoltà, con le “buone” ma anche con fucilazioni sommarie, riportarono l’ordine nell’esercito apprestando la linea del Piave e fino alla fine della guerra non accadde più niente di simile a Caporetto.

Torino, agosto ’17
La stessa cosa Torino qualche mese prima. La rivolta per il pane è così improvvisa da sorprendere gli stessi dirigenti socialisti torinesi che in gran parte erano in vacanza al mare o in montagna.
Se ci fu qualche tentativo di intervenire nella protesta collettiva fu per frenarla. Tentativi inutili perché ormai il proletariato torinese, esasperato dal comportamento brutale di polizia ed esercito, voleva solo vendicarsi e averla vinta.
Altro fattore da tenere presente, mentre ragioniamo delle possibilità rivoluzionarie a Torino, è il fatto che i soldati-contadini della Brigata “Sassari” sparano sugli operai di fabbrica senza che tra soldati e operai ci fosse un’intesa o una possibilità di dialogo. Gramsci più avanti, con molta onestà, dirà che “invano avevamo sperato nell’appoggio dei soldati; i soldati si lasciarono trarre in inganno che la rivolta fosse stata provocata dai tedeschi”.
Una stretta unione tra soldati e operai doveva nascere molto prima con un’attiva propaganda socialista tra i soldati ma la presa di posizione iniziale del Psi, “Né aderire né sabotare”, bloccava ogni iniziativa in tal senso.
La componente riformista dei vari Turati, Rigola, Treves “aderiva” alla guerra voluta dalla borghesia italiana, la corrente massimalista dei Serrati, Lazzari, Bombacci si era imposto il non sabotaggio della guerra.
E’ inutile dire che una delle cause della vittoria dei bolscevichi nell’ “Ottobre” russo fu la solidarietà politica tra gli operai nelle fabbriche e i fanti contadini-operai al fronte. La prova migliore è che anche i cosacchi non sparano sugli operai nelle giornate della rivoluzione, anzi le truppe mandate da Kerenskj per riportare l’ordine si misero dalla parte dei bolscevichi.

Debolezza del “bolscevismo” italiano
Come mai allora il doppio “sciopero” dell’agosto-ottobre svanì nel nulla permettendo alla borghesia italiana di tirare un grosso respiro di sollievo?
La risposta è semplice: è necessario ribadire che purtroppo non era operante in quel momento un partito sul modello bolscevico capace di inserirsi nelle lotte indirizzandole verso obiettivi precisi, ossia di carattere rivoluzionario.
Nel Psi di Turati la corrente riformista aveva il sopravvento perché era quella con le idee più chiare. Durante la guerra al massimo il partito arrivò a forme di pacifismo generico e mai a tentativi di orientare le masse popolari verso obiettivi quali scioperi nelle fabbriche e minacce di proteste e diserzioni dei soldati al fronte. Dopo Caporetto la corrente riformista assunse toni nazionalistici con alcuni “memorabili” discorsi di Turati alla Camera.
L’altra corrente, quella massimalista dei Serrati e Lazzari, non seppe mai andare oltre una generica avversione verso la guerra nonostante la forte protesta operaia e contadina durante gli anni di guerra.

Serrati a Torino
Anzi Serrati nei giorni caldi dell’insurrezione di Torino svela la sua inconcludenza perché invece di rimanere a Milano (era direttore dell’”Avanti!” stampato a Milano) e incitare gli operai milanesi a scendere in uno sciopero di solidarietà con il proletariato torinese, il 24 agosto va a Torino e non combina nulla perché il movimento ormai non poteva essere né frenato né indirizzato in modo diverso. Impotente di fronte ai fatti Serrati tornò subito a Milano.
Era andato a Torino con l’obiettivo di gettare acqua sul fuoco? Con l’obiettivo di riportare gli operai in fabbrica? E’ molto probabile ma il suo operato rivela la natura opportunista del suo intervento.
E’ inutile dire che Milano aveva un grande proletariato di fabbrica, molto attivo e ben organizzato soprattutto da Fortichiari. La saldatura tra le lotte di Torino e Milano avrebbe aperto nuovi scenari, con la possibilità che anche il proletariato di Genova e altre città facesse sentire la sua voce.

Viene spontanea un’altra domanda: andò a Torino per non organizzare qualcosa di simile a Milano?

Mancò una comune strategia bolscevica a livello europeo
Eppure, se mai ci fu un momento potenzialmente rivoluzionario in Italia tra guerra e dopoguerra fu proprio questo. Le analisi di Leo Valiani, le considerazioni di Giorgio Galli, Del Carria, Luigi Cortesi e altri vanno in questa direzione.
Mancò, come detto, una organizzazione politica e una strategia capace come in Russia di dare concretezza alle lotte delle masse operaie e contadine.
Una strategia simile non era presente neppure in altri paesi europei molto segnati dalla guerra. Non era operante un partito bolscevico né in Germania e neppure in Francia, nonostante la grande ampiezza degli ammutinamenti e delle diserzioni nell’esercito francese tra la primavera e l’estate del ’17.
Pensiamo solo a una possibile saldatura tra Italia e Francia, tra Torino-Caporetto e le ribellioni francesi dopo la fallimentare offensiva di Nivelle allo Chemin de Dame! E in ottobre sappiamo che cosa succede in Russia.
Neppure Bordiga fu capace, nonostante la giustezza della sua analisi politica, di porsi alla guida delle masse rompendo con i socialsciovinisti (Turati), con gli “unitaristi” (Serrati) che volevano mantenere unito il partito socialista a tutti i costi e coloro che frenavano il movimento (Gramsci).

Nasce la Frazione Intransigente nel Psi
Era molto attiva nel Psi la corrente rivoluzionaria capeggiata a Napoli da Bordiga, Gramsci e Terracini a Torino e a Milano da uomini poi dimenticati dall’egemonia togliattiana-staliniana quali Repossi, Fortichiari e la Zanetta.
In questo momento (novembre ’17) fondano una Frazione Intransigente nel Psi, ossia una corrente di estrema sinistra orientata in senso rivoluzionario, ma sono dirigenti ancora giovani (Bordiga nel ’17 ha 28 anni, Gramsci 26, Terracini 22) ma soprattutto saranno necessarie le esperienze dell’ ”Ottobre” russo, la nascita della III Internazionale (marzo ’19) per arrivare alla fondazione del Partito Comunista d’Italia a Livorno nel gennaio del ’21, quando ormai Caporetto era un ricordo e l’ondata rivoluzionaria in Italia nel dopoguerra stava rapidamente scemando di fronte alla tracotanza della controrivoluzione fascista foraggiata da agrari e industriali.
Voglio dire che il Pcd’I nacque tardi quando ormai il momento migliore per uno sbocco rivoluzionario era passato sia in Italia che in Europa.
Come scrive Antonio Barberini (“Bordiga e la Grande guerra”) “il partito rivoluzionario non era stato costruito nei decenni precedenti, mancava la strategia e il ritardo storico non poteva essere cancellato con l’abnegazione, l’impegno e il coraggio di un giovane organizzatore come Fortichiari, di un operaio rivoluzionario come Repossi e di un’agitatrice e propagandista, pur coraggiosa ed efficace, come la Zanetta”.
Quindi potremmo sintetizzare il tutto dicendo che l’insurrezione di Torino non fu un tentativo rivoluzionario ma al massimo una rivolta (Del Carria).
Chissà, se Bordiga avesse avuto la possibilità di partecipare alle due conferenze di Zimmerwald e Kienthal, a colloquio con Lenin, Zinoviev, Trotsky, la sua maturazione sarebbe stata accelerata e così il processo rivoluzionario in Italia. Ma così non fu.
Fu invece presente il solo riformismo italiano con l’evidente scopo di frenare ciò che si muoveva già verso una nuova Internazionale (Lenin e i bolscevichi).

Limiti della sinistra rivoluzionaria italiana
Non dobbiamo pensare che questi giovani e meno giovani dirigenti italiani siano stati inferiori al compito che si erano assunti, ossia essere la voce del proletariato italiano durante la guerra e delle sue aspirazioni al socialismo. Non mancò l’impegno, la tenacia, la passione, il sacrificio.
Accanto alla giovane età di molti pesava la scarsa diffusione del marxismo in Italia nei decenni precedenti (una sorta di “tara” storica), il pensiero di Lenin prima dell “Ottobre” era quasi sconosciuto al di là di qualche scritto, il peso della tradizione riformista e quindi di collaborazione di classe con la borghesia era molto radicata accanto al vuoto fraseggiare massimalista incapace di dare senso alla propria azione.
Da qui limiti, ritardi, errori compiuti dai giovani dirigenti socialisti e poi comunisti. Basti pensare che seppure per un attimo Gransci guardò con simpatia all’interventismo, Togliatti partì volontario per la guerra (!) e lo stesso Gramsci di fronte alla rivoluzione russa, almeno all’inizio, mostrò di non averla capita.

Gramsci contro “Il Capitale”
Mi riferisco a un articolo apparso sull’ ”Avanti!” il 24 novembre del ‘17 dal titolo “La rivoluzione contro il “Capitale” (di Marx) in cui Gramsci sosteneva che in Russia i “bolscevichi avevano rinnegato Marx (!).
Secondo il giovane socialista sardo i bolscevichi avevano preso il potere smentendo “Il Capitale” che prevedeva prima la rivoluzione borghese in Russia e poi – dopo il consolidamento del capitalismo – la rivoluzione socialista.
Era una lettura da II Internazionale opportunista nei confronti del marxismo, erano le tesi dei “traditori” e “rinnegati” della socialdemocrazia tedesca che poi verranno a galla con la debacle del 4 agosto ’14 e appare segno di mancata assimilizzazione del marxismo l’aver sostenuto tesi simili: “Il “Capitale” in Russia era il libro dei borghesi, più che dei proletari”. In realtà la rivoluzione russa non era contro ma con “Il Capitale” di Marx!

Gramsci correggerà questi errori ma è importante mettere in evidenza che questi errori teorici emersero proprio nel momento in cui il proletariato italiano avrebbe avuto bisogno della stessa chiarezza tattico-strategica con la quale Lenin guidava il suo partito.

Così non fu ed è per questo che è opportuno all’interno della storia del movimento operaio italiano vedere in Torino (Milano) e Caporetto due occasioni mancate per rafforzare la lotta di classe in Italia nella prospettiva del socialismo.