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Il Biennio Rosso in Italia nell’ipotesi strategica di Lenin

I rapporti tra Lenin e il movimento operaio italiano.

Il “Biennio Rosso” in Italia nell’ipotesi strategia di Lenin

Il testo vuole esaminare il complesso rapporto tra Lenin e il Partito socialista italiano in un contesto storico di fondamentale importanza quale il primo dopo guerra e le possibilità di trasferire in Italia l’esperienza dell’Ottobre bolscevico.

Due lettere di Lenin a cavallo fra il ’18 e il ‘19

Un buon punto di partenza per capire i rapporti tra Lenin e il PSI nel Biennio rosso sono due lettere che Lenin scrive a cavallo tra il ’18 e il 19.

“Caro compagno Serrati! I miei migliori auguri a Voi e al compagno Lazzari. Noi tutti speriamo che in Italia e negli altri paesi dell’Intesa avrà presto inizio la rivoluzione proletaria…” (dicembre ’18)

La seconda invece è del gennaio ’19: “… Aumenta nei paesi dell’Intesa il numero di coloro che seguono la strada del comunismo, la strada di Mc Lean, di Debs, di Loriot, di Lazzari, di Serrati, di coloro i quali hanno capito che solo il rovesciamento della borghesia, la distruzione dei parlamenti borghesi, solo il potere sovietico e la dittatura del proletariato possono schiacciare l’imperialismo, garantire la vittoria del socialismo, assicurare una pace duratura”.

Pensiamo che queste due citazioni di Lenin siano emblematiche della fiducia con la quale il capo del nuovo Stato sovietico guardava alle potenzialità della rivoluzione comunista in Italia e plaudiva all’operato degli uomini che dirigevano in questo periodo il PSI. Una fiducia mal riposta come vedremo tra poco.

Un partito frazionato

Potremmo dire, a grandi linee, che nel PSI che esce dalla Prima guerra mondiale ci sono tre tendenze di base:

  • la corrente maggioritaria è quella dei massimalisti di cui Lazzari e Serrati sono gli esponenti principali
  • i riformisti con Turati, Treves e Modigliani

– i socialisti di sinistra, già in parte orientati verso l’esperienza bolscevica. L’esponente principale è Bordiga

Giacinto Menotti Serrati è l’esponente storico della corrente massimalista che ha preso il controllo del partito già al congresso di Reggio Emilia del 1912. Massimalisti perché fautori del “programma massimo” che sarebbe la rivoluzione comunista in Italia.

In realtà il gruppo, per niente coeso intorno a Serrati, si segnala per un linguaggio barricadero a cui poi non si associa un’azione politica conseguente. In poche parole si addita al proletariato italiano la meta della rivoluzione bolscevica (che diventa un mito nelle loro parole) ma poi la prassi politica rimane impastoiata nelle beghe di partito, nella crescente competizione con i riformisti e nell’incapacità di strappare alla riformistica Cgl la conduzione delle lotte operaie.

I riformisti sono i più conseguenti con la loro storia che nasce nel lontano 1892 a Genova con la fondazione del PSI. Sanno cosa vogliono a differenza dei massimalisti:

– non vogliono assolutamente la rivoluzione comunista in Italia

– sono del parere che dopo la guerra si aprano importanti spazi politici per un’azione incisiva basata su riforme strutturali. Per loro al socialismo si sarebbe arrivati con riforme sempre più incisive. Come dimostrerà la repentina ascesa del fascismo, già nel ’20 non è più tempo di pacifiche riforme a vantaggio dei lavoratori

– all’estrema sinistra ci sono giovani, che poi saranno tra i fondatori, del PCd’I, i quali guardano con molta simpatia agli avvenimenti in Russia. Però:

  • mancano di esperienza politica
  • commettono errori gravi che rallentano l’accidentato percorso che porterà a Livorno (gennaio ’21, è fondato il PCd’I)
  • Gramsci e Bordiga sono le figure più importanti della terza corrente nel PSI

Il problema del “ritardo”

Alla fine avremo un partito comunista che nasce quando ormai le lotte operaie avevano raggiunto l’apice. E così il partito nato per guidare le lotte fino all’instaurazione della dittatura del proletariato dovrà vedersela con la controrivoluzione fascista armata dalla borghesia ormai all’offensiva contro il proletariato.

Nel ’19-20 la classe operaia italiana dà il meglio di sé con un’altissima combattività che si esprime con numeri mai visti di iscritti alle maggiori organizzazioni di classe.

Però già nel giugno-luglio ’19 si registrava una flessione delle lotte rispetto ai mesi tra la fine della guerra e la primavera-estate del ’19. La combattività rimane molto alta per tutto il ’20 (occupazione delle fabbriche, settembre 1920) ma non c’è dubbio che l’apice delle lotte era stato raggiunto molto prima.

Tante “occasioni sprecate”?

Eviterei di parlare di occasioni sprecate pensando a Caporetto (ottobre ’17) e ai primi mesi del ’19 – altissimo livello delle lotte per le otto ore, l’occupazione delle terre nel Sud, forme di agitazioni anche nel pubblico impiego… – perché in questo periodo storico non c’è ancora il partito rivoluzionario capace di dare la giusta direzione agli scioperi e alle proteste.

Le lotte sono dirette politicamente dai massimalisti (incapaci di uscire dal vuoto verbalismo) e dai riformisti della Cgl (dando obiettivi solo di carattere salariale e normativo).

Ben altra cosa se il partito rivoluzionario fosse stato operante ai tempi di Caporetto (reso robusto da lotte precedenti come il partito bolscevico nel ’17) oppure operante nei mesi della “scioperomania” (1919-1920) quando il potenziale di opposizione di classe fu vanificato dai massimalisti generando nella classe sfiducia e stanchezza.

Le limitate esperienze internazionali del PSI avevano reso difficile capire che cosa fosse veramente il Partito socialista italiano in questo momento.

Durante la guerra il PSI è il partito del “né aderire né sabotare”, apparentemente un partito che si è conservato “puro” rispetto al socialsciovinismo dei tedeschi, inglesi e francesi (votazione dei crediti di guerra nell’agosto ’14 e ampio sostegno nazionalistico al proprio paese durante la guerra).

Non era vero che il PSI non fosse stato contaminato dal nazionalismo. Più volte Turati aveva plaudito alla vittoria italiana e alle “giuste conquiste” che spettavano al paese. Soprattutto Serrati non meritava la fiducia che Lenin manifestava nei suoi confronti nella lettera del dicembre ’18.

Per capire i rapporti tra Lenin e il PSI, a partire dall’inizio del secolo fino al ‘20, non dobbiamo trascurare le fonti di informazioni che erano a sua disposizione. Era difficile, praticamente impossibile, farsi un’idea precisa di quanto si agitava nel PSI. La Russia rivoluzionaria era praticamente congelata all’interno dei propri confini: poco nulla usciva, poco nulla entrava.

Quindi il plauso nei confronti di Serrati nella lettera del dicembre ’18 non va considerato una sorta di investitura nei suoi confronti.

Del resto Lenin aveva già conosciuto Serrati al tempo di Zimmerwald e Kienthal (1915-16) e non gli era sfuggito il vuoto verbalismo accanto a una indubbia fede nei confronti del proletariato, che forse è l’unico aspetto che va sottolineato della sua eredità politica.

Il II Congresso dell’Internazionale Comunista

La fondazione della III Internazionale (2 marzo ’19) è un’occasione persa per conoscere più a fondo il bolscevismo perché il “cordone sanitario” intorno alla Russia impedisce a molte delegazioni nazionali (tra cui quella italiana) di raggiungere Mosca.

Non c’è dubbio che il “congelamento” dei rapporti tra l’Internazionale e il PSI, totale almeno fino a giugno ’20, abbia impedito il rapido maturare politicamente in Italia di quella “nuova sinistra” sicuramente eterogenea che, comunque, avrebbe più tardi fatto nascere il PCd’I.

Il problema fondamentale nell’Internazionale Comunista era portare fuori dalla Russia l’esperienza dell’Ottobre, ossia la strategia e la tattica seguita dai bolscevichi per circa quindici anni fino alla presa del potere.

I rivoluzionari dei singoli paesi erano in gran parte giovani nutriti di fede rivoluzionaria ma carenti di esperienze fondamentali. Purtroppo i rivoluzionari bolscevichi non poterono influire più di tanto su quello che sarebbe successo in Europa.

Il Congresso del PSI (ottobre ’19)

Fondamentale in questo periodo è il XVI congresso socialista. E’ il momento in cui le tre correnti fondamentali del partito avrebbero potuto uscire allo scoperto.

Il 1° settembre, in una circolare inviata a tutte le sezioni del Comintern, Zinoviev poneva al PSI tre precise richieste:

.esclusione dei riformisti

.cambiamento del nome in “Partito Comunista”

.uso della tribuna parlamentare

Serrati difese le sue posizioni sul mantenimento del nome del partito e sulla necessità di evitare ogni scissione; Bordiga invece fece proprie le prime due tesi dell’Internazionale, ma condannava l’ultima sulla base delle tesi astensionistiche che aveva già proposte nel “Soviet”.

Il cammino politico di Bordiga, dalla nascita del “Soviet” a Livorno, fu “assai lento” – a parere di Luigi Cortesi – perché la sua strategia si basava inizialmente sul presupposto della possibile conquista interna del partito scacciando solo i riformisti, quindi portando a sinistra tutta la Direzione socialista. Forza coagulante per attuare questo progetto sarebbe stato un rigido astensionismo.

Così Bologna, nonostante l’imperversare del mito sovietico e di tutto il pathos del “diciannovismo”, non dette luogo a una svolta, anzi vi fu un riavvicinamento tra Serrati e Lazzari e quindi tra Serrati e i riformisti.

Il congresso si chiuse con una schiacciante maggioranza per Serrati: in totale 48.411 voti; 14.880 voti ebbero Lazzari e i riformisti; solo 3.417 andarono a Bordiga.

Il congresso confermò l’appartenenza del PSI alla III Internazionale, ma l’adesione anche dei riformisti doveva toglierle ogni significato.

Lenin e i risultati di Bologna

Lenin conobbe molto presto i risultati del Congresso di Bologna nonostante proprio in quei giorni la repubblica sovietica stesse vivendo i suoi giorni peggiori.

Il 10 ottobre scrisse un “Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi” in cui vi è un importante giudizio sul PSI: “Del partito italiano abbiamo saputo soltanto che nel suo congresso ha votato a stragrande maggioranza l’adesione alla III Internazionale e il programma della dittatura del proletariato. Il partito socialista italiano si è così unito di fatto al comunismo benché mantenga ancora, purtroppo, il suo vecchio nome. Un caloroso saluto agli operai italiani e al loro partito”.

Il mantenimento del “vecchio nome” segnalava a Lenin una forte ambiguità che non si sarebbe mai risolta nella dirigenza massimalista.

Il II Congresso dell’Internazionale Comunista

Nel giugno del ’20, passato il momento peggiore per la Russia rivoluzionaria, il II Congresso dell’I. C. può svolgersi alla presenza di numerose delegazioni socialiste.

La partecipazione dei socialisti italiani è folta. C’è praticamente tutto lo stato maggiore dei massimalisti, c’è anche Bordiga il quale aspettava da tempo l’occasione per mettere in evidenza il percorso politico della sua frazione comunista astensionista.

Una svolta nel segno della chiarezza avviene con la pubblicazione di un testo fondamentale del leninismo: “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, distribuito a tutti i congressisti del II Congresso.

In una nota Lenin scrive: “Il compagno Bordiga e la sua Frazione hanno ragione nei loro attacchi contro Turati e contro i suoi seguaci, i quali restano in un partito che ha riconosciuto il potere sovietico e la dittatura del proletariato, i quali continuano a essere deputati al Parlamento e a svolgere la loro vecchia e dannosissima politica opportunistica. Naturalmente, nel tollerare questo, il compagno Serrati e tutto il Partito socialista italiano commettono un errore, che minaccia di causare lo stesso danno e pericolo già prodotto in Ungheria”.

Siamo indubbiamente di fronte a una svolta nei rapporti tra Lenin e Serrati, soprattutto se pensiamo all’atteggiamento di simpatia di Lenin nei suoi confronti per tutto il ’17 e il ’18, temperato però dalla consapevolezza del carattere “zimmerwaldista di destra” dell’azione del direttore dell’ “Avanti!”.

Pesa in questo momento l’insistenza del boicottaggio delle elezioni che Bordiga porta a Mosca:

“Ma il compagno Bordiga e i suoi amici di ‘sinistra’ dalla loro giusta critica nei confronti di Turati e soci traggono la falsa conclusione che, in genere, ogni partecipazione al parlamento sia dannosa”. Ormai era chiaro che Lenin era deciso, tramite una ferma pressione, ad operare a favore della scissione nel PSI.

Del resto le “21 condizioni” per ratificare l’adesione all’Internazionale dovevano porre i “centristi” italiani in una posizione dalla quale non si poteva uscire con la solita dimestichezza latina.

Il 26 giugno la delegazione italiana fu ricevuta da Lenin. Nel ’21 con una punta di acredine, ma anche con tutta l’ingenuità di cui era capace, Serrati avrebbe ricordato l’episodio e, soprattutto, il momento in cui il colloquio si spostò sul problema della scissione: “Alle nostre affermazioni in contrario, alle nostre preoccupazioni circa la vita e lo sviluppo delle organizzazioni economiche e delle cooperative di classe, ci rispondeva con dei sorrisi”.

Ciò che a noi interessa rilevare è che finalmente si è realizzato tra Lenin e il socialismo italiano uno stretto contatto che non lascerà più spazi ad equivoci di sorta.

Le dichiarazioni possibilistiche dei socialisti italiani, i colloqui privati, la massa di informazioni e di dati sulla situazione italiana e all’interno del PSI, permettono finalmente a Lenin un giudizio maturo sul partito italiano e sulle sue potenzialità rivoluzionarie.

L’Italia poteva diventare il possibile teatro di una rivoluzione che avrebbe cominciato a rendere palese la strategia internazionalista dell’Ottobre bolscevico e nello stesso tempo aiutato la Russia bolscevica strangolata dalle Armate bianche presenti nel suo territorio.

Bordiga e Gramsci

Gramsci non era presente a Mosca, segno della crisi del gruppo dell’ ”Ordine Nuovo” dopo il fallimento di alcuni scioperi nella prima metà del ’20 in cui capisce finalmente i limiti dei Consigli di fabbrica che nella sua prospettiva avrebbero dovuto operare come elementi già socialisti incuneati nella società capitalista.

Lo stesso Bordiga vede lucidamente la necessità in Italia del partito rivoluzionario e si impegnerà a fondo per realizzare l’obiettivo. Ma la sua polemica astensionista probabilmente rallenta tra i giovani socialisti orientati verso la scissione la presa di coscienza del problema del partito.

Per disciplina rivoluzionaria Bordiga accetterà di accantonare ogni forma di antiparlamentarismo unilaterale. La priorità assoluta andava alla nascita a tutti i costi del partito, anche rompendo con i massimalisti.

Il fatto nuovo dopo l’occupazione delle fabbriche è la convergenza degli ordinovisti con i bordighiani. Nel momento in cui consiliarismo e antiparlamentarismo non sono più prioritari si poteva far convergere le forze migliori scaturite dalle lotte operaie in quei mesi.

Infatti il 23 ottobre del ’20 nasce la Frazione comunista nel PSI, cellula dal quale nascerà il PCd’I.

Anche l’Internazionale ora si riconosce pienamente solo nella Frazione guidata da Bordiga. Livorno è vicina.