Torna a La rivoluzione d’Ottobre e lo stalinismo

Prigioniera di Stalin e Hitler. Margerete Buber Neumann

Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino, 1994

“Non dimenticare, vivere per raccontare”: così si espresse Margarete Buber-Neumann alla fine della sua esperienza concentrazionaria che è durata ben sette anni.

Anche Primo Levi, Elie Wiesel e tanti altri ex-deportati si sono espressi in questi termini: sopravvivere, tornare a casa, raccontare e far conoscere al mondo la propria esperienza.

Margarete ha vissuto, se è possibile, una esperienza ancora più bruciante e sconvolgente rispetto ad altri testimoni della Shoah nei lager nazisti. Potemmo dire una doppia esperienza concentrazionaria perché ha conosciuto il Gulag stalinista (due anni a Karaganda nel Kazakistan) e il lager nazista (cinque anni a Ravensbruck).

Da qui l’interesse per il suo libro perché ci consente di mettere a confronto le due strutture concentrazionarie concentrandoci sulle forti somiglianze e le inevitabili modeste differenze. Nello stesso tempo in sette anni di lager russo e tedesco l’autrice ha conosciuto centinaia e centinaia di deportati, donne e uomini, e di molti racconta la loro storia. Tra di loro ci sono tanti comunisti tedeschi finiti nei campi di concentramento di Stalin e tanti altri comunisti tedeschi e polacchi finiti a Ravensbruck.

Nella mia relazione penserei di affrontare due temi all’interno del libro della Buber-Neumann:

  • Il confronto tra i due sistemi concentrazionari
  • L’analisi dei percorsi di alcuni comunisti prevalentemente tedeschi finiti a Karaganda e a Ravensbruck

Leggere, p. 270

Gulag e lager

“Isolare i nemici dello stato sovietico e nazista” e “sfruttamento della massa schiavizzata”: ecco i due aspetti che sono alla base dei due sistemi.

Grazie al Gulag Stalin può popolare un enorme territorio, la Siberia, dove difficilmente in condizioni normali sarebbe stato possibile trasferire masse ingenti di persone per metterle a lavorare nelle miniere di oro e argento, a costruire grandi opere di collegamento (canali artificiali, strade, ponti, città intere, enormi impianti industriali) oppure mettere a coltura enormi estensioni di terreno (come nel caso del Kasakistan) dove il clima e la mancanza di acqua erano fattori negativi. La stessa cosa nel sistema concentrazionario nazista dove ebrei e deportati politici avevano il compito di lavorare nelle grandi fabbriche al limitare dei campi dove si producevano armi e tutto ciò che sarebbe servito alla vittoria del Terzo Reich.

Il lavoro schiavizzato e lo sfruttamento delle risorse e materie prime di un territorio sono aspetti che unificano i due sistemi deportativi.

Lettura, p. 102-103

Certo, nei Gulag non c’erano le camere a gas. E’ vero, però il freddo della Kolima e dei campi del nord aveva la stessa funzione di selezionare che non era più in grado di lavorare rispetto alla massa degli “idonei al lavoro”.

A questo punto le differenze tra i due sistemi possono apparire marginali mentre emerge maggiormente lo straordinario grado di somiglianza.

Karaganda e Ravensbruck

Tra le differenze Margarete mette in evidenza la rigida organizzazione di stampo prussiano di Ravensbruck rispetto alla disorganizzazione dei campi di Karaganda, il carattere primitivo della vita nei campi sovietici rispetto a una migliore condizione di vita a Ravensbruck.

Infatti uno dei momenti più curiosi nel testo è quando arriva a Ravensbruck (siamo nel ’40) e fa una immediata comparazione con i campi sovietici dove è stata. A Karaganda le baracche erano il terreno ideale di migliaia di cimici e parassiti di ogni genere perché il pavimento era di terra battuta e i muri erano privi di calce. Le baracche erano fatte di mattoni e argilla ed erano molto basse. Alle finestre i vetri erano rotti e le deportate non avevano una coperta individuale fornita dal campo. Utilizzavano quella portata da casa, se ce l’avevano. Dormivano su tavolacci senza nè materassi e cuscini

A Ravensbruck invece nelle baracche c’erano i pavimenti e spazio adeguato tra una fila di cuccette e le altre. A Ravensbruck c’erano armadietti per le prigioniere (un armadietto in due), una sala per mangiare dotata di tavoli e sgabelli, lavatoi e latrine nelle baracche e persino un mini zoo all’ingresso del lager (?). E’ inutile dire che nei gulag questi potevano apparire “lussi” inimmaginabili. E poi le aiuole fiorite di Ravensbruck, il prato perfettamente rasato, l’alimentazione decisamente migliore…

Tutto ciò solo nel ’40 e ’41. Con la continuazione della guerra anche le condizioni di vita e lavoro nel lager nazista peggiorarono notevolmente con un numero esorbitante di detenute in poco spazio nelle baracche e una alimentazione sempre più carente fino a diventare rapidamente insufficiente per vivere, lavorare e non ammalarsi.

Quindi negli ultimi anni di vita di Ravensbruck Margarete trovò condizioni che le ricordavano i due terribili anni di prigionia a Karaganda. In più la brutalità senza limiti di SS, capoblocchi e Kapò nelle ore di lavoro.

Donne nei lager

Altro aspetto interessante nella testimonianza di Margarete è il vivido ritratto di centinaia di uomini, donne e bambini che incontrò nei suoi sette anni di deportata.

Non tutte le donne incontrate erano esempi di comportamenti virtuosi: a dominare a Karaganda erano le “criminali” e le “asociali” (disoccupate croniche, prostitute…). L’estrema perfidia dei due sistemi concentrazionari era mettere insieme nelle stesse baracche e squadre di lavoro le “politiche” (spesso soccombenti) con donne con il triangolo verde e nero (nel sistema nazista) capaci di assassinare e esercitare molteplici forme di violenza.

A Karaganda non ebbe una buona accoglienza da parte delle altre detenute. Lei era la “tedesca”, quindi ostile al popolo russo, deportata da Stalin in quanto “nemica del popolo”. Ma l’accoglienza peggiore l’ebbe dalle staliniste russe per cui lei era una “trotschista” da isolare in quanto elemento capace di infettare le altre deportate con i suoi discorsi.

Sembra un paradosso ma non lo è: tante comuniste sovietiche erano finite in un Gulag per decisione di Stalin e della sua cricca ma erano convinte che fosse un errore compiuto da uomini corrotti all’insaputa di Stalin (“se Stalin sapesse”) oppure ritenevano il loro arresto e deportazione un male inevitabile combattendo il “Trotsckismo”. In ogni caso a Karaganda non potè contare su nessuna forma di solidarietà da parte delle “politiche” del campo.

Altre donne invece furono con lei solidali: donne arrestate per mercato nero, donne arrestate con i figli dopo l’arresto del marito, donne arrestate perché non avevano i documenti in ordine oppure donne contadine che si erano opposte con i loro uomini ai provvedimenti di collettivizzazione della terra ai tempi dell’”industrializzazione forzata”.

Tutto ciò mentre la propaganda diffondeva ovunque un motto di Stalin: “In Urss con il comunismo, si vive meglio e si vive felici”.

Una storia emblematica

Una delle storie più significative e paradossali è quella dell’operaio tedesco Erich Schmidt.

Lettura pp. 34-35

Margarete conobbe Erich Schmidt sullo stesso treno che li portava a Brest Litovsk dove sarebbe avvenuta la consegna dei comunisti tedeschi a Hitler. Ma non è finita qui.

Schmidt evitò il lager perché alla Gestapo disse di essere un convinto comunista! Pensarono che fosse un po’ tocco. Finita la guerra si trovò nella parte sbagliata della Germania (la Germania est) ma chiese con insistenza di essere riabilitato dall’onta dell’accusa di essere un elemento controrivoluzionario. Rischiò l’arresto ed emigrò nella Germania ovest ma ormai era un uomo spezzato. Morì pochi anni dopo. “Finalmente aveva compreso cos’era veramente accaduto in Unione Sovietica” (!).

Non è l’unica storia di un comunista tedesco che fece anni di lager per finire dopo il ’45 in una prigione o in un lager della Germana est.

Emaginata per “trotskismo”

Anche a Ravensbruck Margarete dovette fare i conti con le staliniste del campo, alcune erano tedesche ma la maggior parte provenivano dalla resistenza europea al nazismo.

Margarete era la “trotskysta”, elemento infido da tenere separata rispetto alle altre che potevano contare sulla solidarietà delle compagne. Era molto importante l’aiuto reciproco in un lager.

Milena Jasenkà

Ed è in questa condizione di isolamento che conobbe Milena Jasenkà, la donna che per due anni visse accanto a Franz Kafka prima della morte. Il ritratto che ne dà Margarete è sicuramente uno dei più belli nel campo della letteratura.

Lettura p. 236

Milena faceva parte del Partito comunista cecoslovacco ma da tempo si era allontanata da esso. Nel ’39 era stata arrestata quale appartenente alla Resistenza cecoslovacca.

Nel lager di Ravensbruck il suo scetticismo nei confronti di Stalin e dell’Urss non le era stato perdonato dal gruppo delle staliniste che l’avevano emarginata così come emarginarono Margarete fin dal suo arrivo.

Milena non ce la fece a sopravvivere al durissimo regime di Ravensbruck e morì nel maggio del ’44. Per Margarete fu un durissimo colpo che in parte pregiudicò la sua volontà di sopravvivere a tutti i costi fino al termine della guerra.

La fuga dai russi a Ravensbruck

L’ombra dello stalinismo perseguitò Margarete anche negli ultimi giorni di vita del lager di Ravensbruck. L’arrivo dei russi era attesto con spasimo dalla stragrande maggioranza delle deportate, non da Margarete perché temeva che qualche compagna stalinista potesse denunciarla ai soldati e per lei si sarebbero aperte ancora le porte di un Gulag. Da qui la terribile odissea di Margarete nel momento in cui potè allontanarsi dal lager ben sapendo che i russi erano dietro di lei e per mettersi in salvo doveva arrivare a tutti i costi nel settore degli americani.

A piedi, su un carretto o con mezzi di fortuna Margarete attraversa da sola o in piccoli gruppi il territorio tedesco che sarebbe stato occupato dai sovietici dandoci immagini che ben rendono lo stato di quasi totale distruzione della Germania tra l’aprile e i primi di maggio del ’45.

La sua testimonianza termina con il ritorno a casa. La sorella e la madre erano ancora vive e la accolsero incredule di poterla ancora vedere viva, dopo tanti anni.

Ostracismi e rifiuti

Il suo testo pubblicato a Stoccolma nel ’48 fu accolto con incredulità o aperto ostracismo. Finita la guerra il mito di Stalin e della resistenza sovietica al nazismo impediva che si parlasse apertamente dei campi di concentramento in territorio sovietico.

Lo prova il processo intentato dalla rivista stalinista “Les lettres francaises” contro il deportato David Rousset il quale aveva parlato dell’esistenza di campi di concentramento in Urss. La rivista lo denunciò per aver denigrato l’Unione Sovietica e Margarete, da Stoccolma dove viveva, raggiunse Parigi per portare la sua testimonianza.

Il processo si tenne all’inizio degli anni cinquanta e fino a quel momento a nessuno era interessata la storia di Margarete.

Il processo terminò con la vittoria di Rousset e forse fu la prima volta in cui in Europa si parlò dell’esistenza di campi sovietici così come sicuramente era la prima volta che si parlava del Patto Hitler-Stalin (Patto Molotov-Ribbentrop) che ebbe per corollario la consegna da parte dell’NKVD alle SS dei comunisti tedeschi non ancora fucilati o morti in un lager stalinista.

Come detto il suo libro fu pubblicato a Stoccolma nel 1948 e tradotto in una dozzina di lingue ma non in italiano. Venne pubblicato la prima volta dalla casa editrice “Il Mulino” nel 1994.

Conclusione

Il valore della denuncia dei crimini dello stalinismo è l’elemento sicuramente ancora oggi più importante di “Prigioniera di Hitler e Stalin”:

Lettura p. XV

NOTE

  • Karaganda era grande come due volte la Danimarca. Non c’erano reticolati: non servivano
  • I due sistemi sono espressione del capitalismo tedesco e del capitalismo di stato russo
  • E’ capoblocco per due anni delle Testimoni di Geova (“prigioniere volontarie”)
  • “Non siete migliori dei fascisti tedeschi! No, siete peggiori perché credete di essere dei socialisti”. E’ una reclusa tedesca. Fu arrestata perché una volta aveva detto ai colleghi: “Gobbels è l’unico nazista ad avere un po’ di cervello”
  • Ci sono donne emigrate in Urss che non si trattennero da esprimere critiche su quanto vedevano con i propri occhi e finirono nelle mani dell’NKVD
  • Un giorno una comunista implorò Margarete: “Non puoi togliere ai lavoratori le loro illusioni, la loro ultima speranza!”. Si riferiva al fatto che Margarete una volta libera avrebbe denunciato l’aberrazione del socialismo in Urss
  • In Urss Margarete ebbe cinque anni per attività controrivoluzionaria. E’ arrestata il 19 giugno ‘38
  • I comunisti russi non riuscivano a spiegarsi la loro detenzione rispetto ai comunisti arrestati dalle SS. Ciò li portava alla follia
  • Alcuni comunisti tedeschi erano diventati strenui avversari dello stalinismo ma avevano rispetto per il nazionalsocialismo di cui mettevano in evidenza le affinità con il “vero” socialismo. Prevedevano la vittoria di Hitler
  • A Ravensbruck le comuniste staliniste sono odiate da tutte le altre donne per il loro essere prevalentemente tedesche. E così nel lager tutti parlavano di popoli e non più di classi e della mutazione nessuno si accorgeva (a parte Grete)
  • Kazakistan, “steppa della fame” / era abitata solo da nomadi che migravano da un pozzo all’altro con le loro greggi
  • Con Margarete sono consegnati ai nazisti 130 uomini e 7 donne
  • R., l’”inferno delle donne”, la “piccola Siberia del Meclemburgo” / è a 80 km da Berlino
  • Per le staliniste Margarete è una “traditrice”
  • “Testimone d’eccezione” del secolo scorso / “testimone assoluta” / donna esemplare
  • Processo Kravcenko del ’49 a Parigi intentato da “Le lettres francoise” (1948) contro l’autore, il primo dirigente del Pcus fuggito in occidente. L’autore scrisse “Ho scelto la libertà”

Margarete lascia con Neumann la Germania nel ’33. Riparano a Zurigo. Sono espulsi dalla Svizzera e vanno in U. Sovietica nel ’35. Nel ’37 è arrestato Neumann. L’anno dopo Margarete. Neumann è inviato in Spagna nel ’32 per rimettere a posto il Pcs. Lei lo raggiunge solo nel gennaio ’33.