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IMI e altri legnanesi deportati nei lager russi e anglo-americani

IMI e altri Legnanesi deportati nei lager russi e anglo-americani

Internati militari italiani in Germania
Abbiamo visto come il primo impatto terrorizzante per gli IMI è stato il viaggio. Anche per i legnanesi è stato così.
VITTORIO JELO apparteneva al 2° Reggimento Pontieri di stanza a Piacenza e ricorda: “Dopo qualche giorno ci caricarono sui vagoni merci stipati come animali, spesso addirittura in vagoni scoperti. Rimanemmo per giorni senza cibo in una situazione igienica indescrivibile perché XX mai ci fecero scendere dai carri merci chiusi dall’esterno. Solo quando arrivammo a Berlino ci fecero scendere e ci diedero una gavetta di brodaglia. XX Quello che veramente non dimenticherò mai, perché ci commosse fino alle lacrime, fu il momento in cui il treno attraversò il confine lasciando la nostra terra. Come se fosse stato impartito un ordine si levò simultaneamente un canto: XX era il coro dei Lombardi alla prima Crociata, l’opera di Giuseppe Verdi. Fu un momento di una intensità emotiva straziante”
Vittorio finì in Pomerania, nel campo di Hammerstein.

Simile, ma con qualche variante, il viaggio di GIUSEPPE BISCARDINI, sottotenente degli alpini che si trovava ad Antibes, in Francia. Giuseppe ci ha lasciato un diario dettagliato della sua esperienza.
“8 ottobre 1943. Si parte verso l’ignoto, in colonna, fra sentinelle, raggiungiamo a piedi la stazione di Cannes, attraversando la città. La gente ci guarda con compassione. Siamo degni di pietà. Ci caricano su carri merci e restiamo lì per qualche ora, poi ci fanno scendere e ci informano che la partenza è rinviata. Pensiamo per un attimo ad una grazia. Ma ci rendiamo subito conto del loro piano: vogliono tormentarci in una penosa incertezza. …
10 ottobre. Alle 18 ci riportano allo scalo-merci ferroviario, questa volta in autobus. Saliamo su antiquate carrozze malridotte. Alle 19 il treno su muove lentamente, verso una destinazione a noi ancora ignota. Fa molto caldo. … A St. Raphael il treno si ferma e caricano nella nostra carrozza, già superaffollata, altri Ufficiali italiani.
12 ottobre. Il treno riparte dirigendosi verso nord. Sono state sostituite le carrozze con carri bestiame.
20 ottobre. Si prevedeva un viaggio di due o tre giorni, invece sono già dieci giorni che siamo su questi orrendi vagoni, senza servizi e senza acqua. Facciamo tutti i nostri bisogni in un angolo, la puzza è indescrivibile. La scorta dei soldati tedeschi è violenta e ingiuriosa. Ogni due giorni il treno si ferma e ci danno i vivere: un pezzo di sgradevole salame con un po’ di pane. Niente da bere. … Questo maledetto treno oggi fa una sosta: ci fanno fare i nostri bisogni con una sentinella ogni tre o quattro prigionieri, che ci osserva e che punta minacciosa il fucile verso di noi. … Dai finestrini, coperti di filo spinato, siamo riusciti ad intravedere le città di Francoforte, Norimberga, Breslavia, Cracovia e Leopoli.”

Mio padre ADRIANO PASQUETTO mi ha raccontato uno strano episodio accaduto alla stazione di Varsavia. Loro erano chiusi nei treni e dallo spiraglio del portellone mio padre ha visto un sacco di donne che all’arrivo del treno sono fuggite via. Il treno è rimasto fermo a lungo in stazione. Dopo qualche minuto quelle donne sono tornate. Erano andate a comprare tutto il pane che la loro tessera annonaria consentiva loro e sfidando le guardie lo lanciavano ai militari attraverso i finestrini in altro del vagone. Mio padre non ne ha mangiato ma non ha mai dimenticato quel gesto di solidarietà.

Dopo il viaggio i legnanesi hanno conosciuto i vari campi di prigionia e campi di lavoro.

Il comm. LUIGI CAIRONI, storico presidente della Famiglia Legnanese, lo scorso anno ci ha raccontato la sua storia. Venne internato nel lager di Hammerstein, in Pomerania.
“Fummo abbandonati in un cortile coperto di neve, poi ci spogliarono per un’ispezione. …. Nel nostro settore c’erano quattro capannoni con mille prigionieri ciascuno. Nel centro c’era una torretta con fari e mitragliatrici, su tre lati altrettante latrine. Da mangiare ci davano una minestra fatta di rape e di brodo di pecora.“
In seguito venne mandato a lavorare in una fattoria, finchè non finì la guerra. Venne preso dagli americani che avrebbero dovuto rimpatriarlo, invece…
“Dopo due giorni fummo consegnati ai russi. Avrebbero dovuto riportarci in Italia, invece dal momento che avevano bisogno di manodopera ci deportarono in un campo di concentramento vicino a Varsavia. In questo nuovo campo restammo da aprile ad ottobre: all’inizio c’erano 7000 prigionieri, un po’ di tutte le nazionalità. Poi scoppiò un’epidemia di tifo e colera che durò 40 giorni, morirono quasi 4000 persone. Il campo era gestito dai “figli di Stalin”, ragazzotti di 16 o 17 anni rozzi e ignoranti. Ci consideravano traditori della nostra patria, ogni pretesto era buono per spararci addosso. … Alla fine arrivò l’esercito americano, che si fece garante del nostro rientro. Il 5 ottobre partimmo alla volta dell’Austria. Il 15 ero alla stazione di Legnano, dove rividi mio fratello. Pesavo 42 chili, in tasca avevo ancora il mio portafoglio e la mia pistola. Tutti i 22 ragazzi del Genio che erano sotto la mia responsabilità erano tornati in patria: 21 sulle loro gambe, uno su una barella della Croce Rossa. Alla fine si salvò anche lui”.
Con molto orgoglio lo scorso anno il comm. Caironi ci ha detto
“Ho vissuto periodi disumani, trattato come una bestia ma se oggi sono qui a raccontarvi tutto questo è soprattutto grazie alla coesione che abbiamo avuto noi Italiani: sono riuscito a portare a casa il mio plotone e nessuno di noi ha mai pensato di aderire alla Repubblichina. Uno per tutti, tutti per uno: questo ci ha salvato”

Anche VITTORIO JELO finì in Pomerania, nel campo di Hammerstein:
“Lì ci scaricarono in mezzo ad un campo recintato dove rimanemmo alcuni giorni all’addiaccio senza alcun aiuto. XX Alla fine … fummo assegnati alle baracche XX circondate da cani lupo. Procedettero in seguito ad un’ulteriore selezione ed io finii con un altro gruppetto di prigionieri a XX Barth Holz dove esisteva una fabbrica di bombe. Le baracche erano discrete ma il lavoro massacrante. … Si lavorava ininterrottamente per 12 ore senza soste e senza la distribuzione del rancio. … Solo una volta fatto ritorno alle baracche si aveva diritto ad una gavetta di acqua sporca che chiamavano minestra. Al lunedi sera i tedeschi distribuivano la razione settimanale che consisteva in un pezzo di pane nero, una fetta di salame e un cucchiaio di marmellata.”
Vittorio Jelo, al contrario del comm. Caironi, alla liberazione fu preso dai russi e consegnato agli americani. Era il 10 maggio 1945. Anche per lui iniziò l’odissea del ritorno, che si sarebbe conclusa solo a settembre.

COSTANTINO COLOMBO, appartenente al “° Reggimento Pontieri di stanza a Piacenza, finì come Vittorio Jelo a Barth Holz e ci racconta che
“Faceva molto freddo e anche la razione giornaliera di cibo, una zuppa con una fetta di pane scuro, ci permetteva appena di restare in piedi. Un giorno senza alcun motivo mi colpirono con 13 manganellate. Alla fine svenni.”
Vittorio Jelo e Costantino Colombo lavoravano insieme nella fabbrica di bombe. Con loro Gaetano Ciompi di Marina di Massa. Una notte avvenne un incidente.
“Ciompi fece esplodere involontariamente una macchina da lavoro della quale eravamo responsabili tutti e tre. – racconta Costantino – Questo significava dover comparire di fronte alla corte marziale. Fummo così trasferiti nel carcere di Stralsund, dove la maggior parte dei prigionieri moriva per le estenuanti marce sotto temperature polari, le epidemie, la denutrizione. Con i nostri familiari era impossibile comunicare. Jelo fu assolto, mentre a me e Ciompi diedero 5 anni da scontare in un lager polacco, a Graudenz, vicino Varsavia. … Arrivati a Graudenz ci fu tatuato un numero. Il mio era 47.823. Dovevamo raccogliere i morti dalle macerie: questo era il nostro lavoro che ci impegnava tutta la giornata. Da mangiare solo una gavetta di acqua di rape al giorno. Dopo poche settimane arrivai a pesare 37 chili. Pensavo che prima o poi sarei morto lì. Ogni giorno, infatti, diversi prigionieri spiravano per la fame e la tubercolosi. …
Insieme a Ciompi formammo una sorta di gruppo di studio. Parlavamo di filosofia, arte e meccanica. I tedeschi ci stavano uccidendo minuto dopo minuto, ma non volevamo che ci privassero anche della nostra dignità. Imparavamo qualcosa tutti i giorni, visto che ogni giorno per tutti noi sarebbe potuto essere l’ultimo. … Una notte (era il marzo del ’45) udimmo l’avvicinarsi dei carri armati. Era un convoglio russo”
Costantino ha deciso con altri di fuggire e raggiungere con mezzi di fortuna la frontiera. Il viaggio durò mesi.
“Arrivati in Italia ci dividemmo. Proseguii il mio viaggio in treno e giunsi a Legnano. Da oltre due anni i miei genitori non avevano mie notizie. Mia madre vedendomi arrivare svenne”.

Il sottotenente degli alpini GIUSEPPE BISCARDINI da Antibes, in Franci, giunse nel lager di Tarnopol in Polonia. Fu poi trasferito a Siedlce, poi a Sandbostel e poi a Wietzendorf, uno dei più duri campi per ufficiali. In biblioteca potete trovare un libro fotografico che contiene molte fotografie scattate clandestinamente da un IMI Vittorio Vialli proprio in questi due ultimi oflag e due libri tra cui un diario scritto in questi due lager da Giovannino Guareschi, il papà di Peppone e Don Camillo. Giuseppe Biscardini fu per un periodo compagno di Guareschi. A Wietzendorf i tedeschi stavano facendo un esperimento medico: con quante calorie di rapa può vivere un uomo? Un pezzetto di pane nero di segale e di segatura che – Guareschi annota – non si inzuppava se lo mettevi nell’acqua, come fosse fatto di sughero, una rapa prima cotta poi cruda, su richiesta degli ufficiali medici italiani per avere più vitamine, ogni tanto un cubetto di un formaggio più puzzolente del gorgonzola ed un cubetto di un patè grigiastro che chiamavano margarina. Doveva bastare per tutto il giorno. Questo menù lo conosco perché a Witzendorf c’è finito anche mio padre e quando è uscito di lì e ha saputo dei forni crematori per tutta la vita ha avuto seri dubbi riguardo agli ingredienti di quel patè grigiastro untuoso e nauseabondo. Il campo con le sue baracche era stato dichiarato inagibile da diverse commissioni mediche tedesche.
Erano ufficiali e li volevano piegare.
“7 luglio 1944. Dopo tante commissioni repubblichine, venute a parlarci del tradimento del re e di Badoglio e a convincerci di ritornare in Italia al loro fianco, oggi è arrivata una delegazione tedesca, in borghese, per offrirci pane e cibo in cambio del nostro lavoro nelle officine e nei campi. Altrettanto tempo sprecato. La nostra decisione è sempre la stessa: meglio la fame nei lager, piuttosto che la collaborazione con il governo nazista.”
Nonostante il loro “no” a fine 1944 inizio ’45 anche gli ufficiali vennero inviati al lavoro coatto. Giuseppe finì in una fattoria a Cloppenburg, vicino al confine olandese.

Mio padre, sottotenente, da Wietzendorf è stato destinato ad una fabbrica di V2, ad Amburgo, ed ha boicottato la produzione. L’80% dei pezzi è stato reso appositamente difettoso.
 Nelle mani dei Russi
Diverso fu il destino di altri legnanesi che furono catturati prima dell’8 settembre dai Russi, principalmente in concomitanza con la disastrosa ritirata dal Don.
Alla fine di dicembre del 1942 sul settimanale cattolico Luce comparve un articolo: “La nostra eroica Legnano, che si gloria di parecchie medaglie al valore, fra le quali la medaglia d’oro, ha un numero esiguo di combattenti prigionieri o dispersi.”

Meno male che erano pochi, però c’erano.

Tra essi ERMENEGILDO CAIRONI, la cui storia è stata ricostruita dal nipote Giovanni su www.legnanonews.con/news/15/31562 L’ultima lettera di Ermenegildo è del 10 gennaio 1943 poi non si seppe più nulla di lui. Racconta il nipote
“Il 30 gennaio il soldato morì e solamente nel 1951 la famiglia ricevette la notizia. Nel 1992, ricevettero una lettera simile e un anno dopo l’apertura degli archivi la famiglia seppe che Ermenegildo morì in un campo di prigionia nella regione di Sverdlovsk.”

LUIGI BONOMI e MARIO PINCIROLI seguirono la stessa sorte, ma non ne conosciamo il luogo di sepoltura.

L’11 dicembre 1942 il Caporalmaggiore GIUSEPPE ANGELO BONGINI (PEPPINO) scriveva a casa l’ultima lettera:
“… io come salute sto bene, come vi ho già detto soffro un po’ di mal di piedi … però posso sopportare e credo di resistere come tutti gli altri.”
Di lui non si ebbero più notizie. Solo anni dopo si riuscì a ricostruire la sua sorte.

Nel testo di Giacomo Agrati “Quelli della neve” abbiamo trovato altri nomi di coloro che non tornarono a casa, che morirono di freddo, fame e malattie nei gulag sovietici:

nato nel…                                  morto il…
BONGINI GIUSEPPE 1911 21 aprile 1943
BONONI ARMANDO 1915 28 febbraio 1943
BORSANI MARIO 1921 nn
BURATTI EZIO 1915 31 marzo 1943
CALERIO ALESSANDRO 1920 (disperso in lager sconosciuto)
CALINI LUIGI 1911 1943 (lager 188 Tambov)
CESANA PIERINO 1921 1942 (lager 188 Tambov)
GALIMBERTI PIERINO 1921 nn
GORLETTA BRUNO 1915 nn (lager 52 Talitsa)
PROVASI ARTURO 1915 5 luglio 1943 (lager n 58 Tiomnikov)
RICCO AURELIO 1915 5 luglio 1943 (lager n 58 Tiomnikov)
RIGO AURELIO 1921 nn (lager 52 Talitsa)
STOPPA ATTILIO 1911 29 ottobre 1942
TOTE’ RENZO 1920 15 febbraio 1943

Nelle mani degli Alleati
Prima dell’8 settembre alcuni legnanesi vennero invece catturati dagli anglo-americani e quindi furono deportati in Inghilterra o Scozia, in Africa, in India, in Australia o negli Stati Uniti. Divennero POW, Prisoner of War.

Questo è il caso di AUGUSTO MARINONI, catturato in Tunisia nel maggio del ’43 e trasferito a Hereford in Texas. Dopo la guerra Marinoni divenne uno degli studiosi di Leonardo da Vinci più apprezzati a livello internazionale.
Dobbiamo a Marinoni una delle testimonianze più significative, anche per la forza del linguaggio, della deportazione degli italiani nei vari campi di concentramento. Negli Stati Uniti scrisse su un taccuino le sue impressioni “Snapshots”, Istantanee:
“Appena partito divenni una cosa minima nel soffio di una forza immensa. Un continuo rotolare in treno, aeroplano, autocarro: gettato nella sabbia per mesi: la fame, la sete, il caldo, il freddo, la sporcizia e gli insetti, il vento e la polvere, il sole e la febbre; gli sputi, i fischi, gli spari del vincitore su noi inermi. Poi l’Atlantico, attraversato nel fondo di una stiva come carico inerte… Anche qui a Hereford, in apparente tranquillità, col cibo sufficiente, l’acqua per le pulizie, il letto per dormire, siamo sempre cose: non si vive, o si vive solo passivamente, soffrendo. Le ferite non si imprimono più sul corpo: si lacera lo spirito” (R. Marinoni Mingazzini, “Augusto Marinoni: l’uomo e lo studioso”, in “Hostinato rigore”. “Leonardiana in memoria di Augusto Marinoni”, a cura di P. C. Marani, Città di Legnano, 2000, p. 15).

PINO ARINI è un sottufficiale arrivato a Tunisi il 7 marzo 1943, mentre era già in corso la ritirata dopo la sconfitta di El Alamein. Alla resa definitiva in maggio anche per lui seguì la detenzione ad Herford in Texas.

In prigionia Pino ha scritto un diario sulle ultime fasi della ritirata, disponibile sul sito del prof. Restelli e prossimamente in forma di libro a cura del nipote. http://www.legnanonews.com/news/20/54791/_ho_rivisto_mio_padre_tra_i_prigionieri_di_guerra_un_emozione_

DANIELE TREZZI, fatto prigioniero in Africa come gli altri, finì invece in un campo in Scozia.
“Gli inglesi ci hanno trattato umanamente. Non eravamo in un campo di prigionia e non era obbligatorio lavorare, ma chi decideva di farlo poteva essere assegnato ad una fattoria e tornare al campo di concentramento solo la notte, per dormire. Io per quasi tre anni ho fatto il contadino. … Mangiavo addirittura con la famiglia del fattore, mi trattavano come un parente e non ho mai sofferto la fame. … Poi la guerra è finita e sono stato rimpatriato, se non ricordo male, nel luglio del ’45. La fidanzata che avevo prima di partire non mi aveva aspettato, ma ad una festa ho incontrato un’altra ragazza che dopo meno di un anno è diventata mia moglie. … Ho ricominciato a lavorare e mi sono costruito una famiglia”.
È inutile dire che tra i POW nei campi di prigionia anglo-americani e gli IMI nei lager tedeschi c’era una bella differenza!

Desidero terminare con una canzone di un minuto e mezzo, un omaggio a tutti gli imi di Legnano. Una canzone che Guareschi ha scritto in prigionia ed è diventata il simbolo degli IMI di Sandbostel e Wietzendorf. Dedicata alla figlia Carlotta, nata quando Guareschi era già prigioniero, una figlia che attende uno scassatissimo papà, che però i tedeschi non hanno potuto piegare e il babbo alla fine sembra quasi un vincitor.
VIDEO Filmato Canzone Carlotta x Associarma IMI

Renata Pasquetto