Torna a Resistenza

La battaglia di Mignano Montelungo, 8 dicembre 1943

 

Legnano e Mignano Monte Lungo sono città gemellate da ormai alcuni decenni. Che cosa unì settant’anni fa una città dell’Alto Milanese con una della provincia di Caserta?

Nel cortile di Palazzo Malinverni a Legnano c’è una lapide ben visibile.

Legnano e Monte Lungo

Affratellate dall’episodio storico dell’8 dicembre 1943

Quando a Monte Lungo il 1° Raggruppamento motorizzato

Di cui faceva parte il 67° fanteria “Legnano”

Partecipò gloriosamente alla sconfitta del nemico invasore

Con il loro civico gemellaggio tramandano ai posteri

Il ricordo della gloriosa impresa

Monte Lungo 8 dicembre 1943                                            Legnano 21 settembre 1980

Da un certo punto di vista schiettamente militare potremmo dire che quanto avvenne a Monte Lungo fu una delle tante battaglie combattute durante la lenta risalita anglo-americana dalla Sicilia alle città settentrionali. Ma quel giorno in prima linea vi era il Primo Raggruppamento motorizzato del Regio Esercito comandato dal generale Vincenzo Dapino e il nucleo della nuova unità era formato soprattutto dal 67º Reggimento di fanteriaLegnano.

Per capire che cosa accadde quel giorno a Monte Lungo è necessario partire dalla drammatiche giornate segnate dall’8 settembre dello stesso anno, il 1943.

E’ difficile in poche parole dare un’idea dell’8 settembre ’43 in Italia. Durante la guerra in nessun paese c’è stato un “otto settembre” simile a quello italiano con lo sfascio dell’esercito e la latitanza del governo per alcuni giorni.

Il 3 settembre il governo Badoglio firma l’armistizio con gli angloamericani a Cassibile vicino a Siracusa. L’8 settembre Badoglio parla alla radio e annuncia l’armistizio. Il giorno dopo abbandonano Roma il re, Badoglio, alcuni ministri e la famiglia reale senza dare nessuna disposizione alle forze militari le quali si trovano a che fare con la reazione tedesca. Il risultato fu il caos nell’esercito e 650mila soldati italiani deportati negli stalag tedeschi, ossia nei campi di internamento per militari. È l’inizio dell’odissea degli IMI (Internati militari italiani).

25 luglio 1943

Il punto di partenza per capire l’8 settembre è naturalmente il 25 luglio del ’43 con la sfiducia espressa a Mussolini dal Gran Consiglio del Fascismo e il contemporaneo arresto di Mussolini da parte del re. Finisce il fascismo dopo il Ventennio, senza alcuna reazione del partito fascista e delle varie milizie.

Subito dopo l’arresto di Mussolini il governo Badoglio cerca con esasperante lentezza un contatto con gli anglo-americani per traghettare l’Italia fuori dalla guerra. Tutto avviene in maniera sotterranea per evitare che i tedeschi subodorassero qualcosa. La posizione ufficiale del governo Badoglio è “La guerra continua” mentre in realtà non si vede l’ora di uscire da questa guerra destinata a essere perduta.

Cassibile, 3 settembre

Il 3 settembre a Cassibile, alla presenza di emissari di Einsenhower, il generale Castellano firma l’armistizio. Nel frattempo Badoglio mantiene un assoluto segreto sulla firma del documento.

La speranza di Badoglio è passare da un’alleanza all’altra in modo indolore e che gli americani liberino Roma e vincano la reazione tedesca senza mettere a repentaglio l’esercito italiano e la continuità dello Stato. Obiettivi chimerici smentiti in modo clamoroso dalla realtà.

Badoglio annuncia l’armistizio

Nel pomeriggio del 8 settembre Einsenhower legge alla radio il testo dell’armistizio, poche ore dopo anche Badoglio deve annunciare la resa: Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Einsenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

L’ambiguità del messaggio spiega il disorientamento, la confusione e alla fine il caos di quei giorni. In sintesi il proclama di Badoglio dice: abbiamo firmato l’armistizio con gli anglo-americani, quindi la guerra è finita. I soldati combatteranno solo se ci saranno atti di ostilità contro di loro.

Non sono nominati i tedeschi i quali erano gli unici a poter reagire con le armi. Ecco perché nel giro di poche ore si passò dall’euforia (la guerra è finita) al terrore derivato dall’aggressione tedesca in una situazione di crescente caos a tutti i livelli.

La fuga del governo e lo sfascio dell’esercito

A questo punto il re aveva due possibilità: o la resistenza armata o la fuga. Scelse la seconda, la più facile. La decisione di fuggire senza lasciare ordini precisi fu voluta dal re per evitare quanto più possibile scontri con i tedeschi. Il re voleva salvare con la propria persona la monarchia. Non vi fu neppure il tentativo di difendere Roma nonostante nella capitale ci fossero sei divisioni italiane contro due tedesche.

Il re fugge il 9 settembre (ore 5 del mattino) da Roma. Fuggono con lui anche Ambrosio e Roatta, ossia l’intero Stato Maggiore dell’esercito. Destinazione una città sotto il controllo alleato. Sarà Brindisi.

“Tutti a casa!”

Il risultato fu il caos e lo sbandamento dell’esercito. Non c’è dubbio che l’8 settembre fu pagato duramente soprattutto dall’esercito. Molti generali e ufficiali rimasti senza ordini fuggirono subito seguiti dai soldati. Il timore di una violenta reazione tedesca spiega i gravi fenomeni di sbandamento che avvennero un po’ dappertutto (Potenza, Napoli, Alto Adige, Milano…).

Altrove invece i presidi più forti si opposero con le armi ai tedeschi: a Gorizia, Trieste, Cuneo, Savona, La Spezia, Viterbo si combattè fino a quando la sproporzione delle forze impose la resa.

Lo sbandamento riguardò l’esercito in Italia (24 divisioni). Lontano dall’Italia le truppe rimasero relativamente compatte (35 divisioni) mentre la marina e l’aviazione rimasero tutto sommato unite.

“Tutti a casa?”.

Interpretare l’8 settembre come nel film “Tutti a casa” di Comencini (1961) è sbagliato. Ci furono episodi significativi di resistenza ai tedeschi: a Porta San Paolo (Roma) un giorno di lotta contro i tedeschi (8-9 settembre) provoca tra le 200 e le 450 vittime (soldati e cittadini). In Sardegna il rapporto di forze era favorevole agli italiani: 120mila uomini contro 25-30mila, eppure il comando locale non fece nulla per contrastare il passaggio in Corsica dei tedeschi. In Corsica invece si combattè e i tedeschi dovettero abbandonare l’isola. Il generale Bellomo a Bari riuscì a impedire la distruzione del porto da parte dei tedeschi.

“Distruggete la Divisione Acqui!”

A Cefalonia dal 15 al 24 settembre si combattè duramente (7.500 morti tra cui 5.000 fucilati). Nell’isola greca avvenne l’episodio maggiore di resistenza ai tedeschi. Il generale Gandin della Divisione Acqui decise di combattere i tedeschi che pretendevano la resa dei 12.000 soldati italiani presenti. I combattimenti iniziarono il 15 settembre ma videro subito il prevalere dei tedeschi, meglio armati potendo contare sull’aviazione che bombardava sistematicamente le postazioni italiane.

Gandin si arrese il 22 settembre. La battaglia aveva provocato la morte di 1300 soldati della Acqui. 5000 circa furono fucilati subito dopo la resa perché era arrivato un ordine di Hitler da Berlino che intimava di fucilare tutti gli italiani “traditori” che avevano preso le armi contro i tedeschi. Altri 1300 morirono annegati perché le navi che li portavano verso la terra ferma affondarono a causa delle mine. 3000 soldati diventarono Internati Militari in Germania o in Polonia. Un bilancio tragico.

A Corfù negli stessi giorni ci furono aspri combattimenti, nelle isole dell’Egeo altri scontri. La Resistenza a Lero (isola del Dodecaneso) fu ugualmente significativa: sui 12.000 soldati italiani che presidiavano l’isola ne sopravvissero solo 1500 (16 novembre ‘43).

Ci fu invece chi decise di rimanere con i tedeschi. La divisione paracadutisti “Nembo” in Sardegna si spaccò in due: una parte maggioritaria con i tedeschi, un’altra parte invece prese le armi o fuggì.

L’assoluta mancana di ordini di alcun genere e il terrore di un intervento tedesco spiegano lo sfascio dell’esercito che avviene in modo incredibile nel giro di un giorno. Il risultato fu poco più di un milione di soldati italiani catturati dai tedeschi: circa 200.000 fuggirono approfittando della confusione, altri 180.000 decisero di passare dalla parte dei tedeschi e quindi tornare poi in Italia per combattere nelle nuove formazioni fasciste repubblicane, ma 650.000 soldati furono internati nei campi militari in Germania e Polonia.

Bilancio dell’8 settembre ’43

Il bilancio dell’8 settembre ’43 è tragico: 650.000 soldati italiani deportati, 20.000 morti in quei giorni (fucilati, uccisi in combattimento), più enormi quantità di materiali bellici perduti. Negli stalag tedeschi moriranno circa 30.000 soldati fino alla liberazione nell’aprile-maggio del ’45. In più l’8 settembre volle dire una grave perdita di credibilità del governo italiano presieduto da Badoglio.

La battaglia di Monte Lungo

Monte Lungo di trova a 15 chilometri a sud-est di Cassino (prov. di Caserta). La prima fase della battaglia fu combattuta l’8 dicembre del ’43, quindi tre mesi dopo lo sfascio dell’8 settembre ma a Monte Lungo è un’Italia diversa. Prima di tutto a combattere sono soldati italiani che con l’8 settembre si trovano nell’Italia meridionale e quindi evitano di finire nelle mani dei tedeschi e poi sono soldati che combattono contro i tedeschi e sotto il comando degli americani.

In particolare i protagonisti sono i bersaglieri del Primo Raggruppamento motorizzato del Regio Esercito comandato dal generale Vincenzo Dapino il cui obiettivo era la conquista di Monte Lungo, quota 343 metri, dove i tedeschi si erano asserragliati impedendo di proseguire verso Monte Cassino che era l’obiettivo prioritario (Linea Gustav). Come detto il nucleo della nuova unità era formato soprattutto dal 67º Reggimento di fanteriaLegnano.

Il Reggimento “Legnano” aveva combattutto con scarsa fortuna in Albania contro i greci. Dopo un periodo di riordino in Francia il 67° era partito per la Puglia. L’8 settembre coglie di sorpresa il reggimento di stanza a Brindisi.

Un aspetto importante: il 67° fu una delle poche unità che non si sbandò con l’annuncio dell’armistizio anche perché operava in una zona già abbandonata dai tedeschi e scelta non a caso da Casa Savoia dopo la fuga da Roma.

C’erano però difficoltà di ogni genere: i soldati erano demoralizzati, armi e munizioni erano insufficienti, il vettovagliamento era scarso, mancavano anche le scarpe e le divise, in più erano evidenti le diffidenze degli americani dopo la pessima prova dell’8 settembre. Anche i mezzi logistici erano carenti: il Primo Motorizzato era stato definito dagli stessi soldati il “primo motoappiedato” (!).

I bersaglieri di Dapino erano ricchi solo di una cosa: del coraggio e con questo coraggio andarono all’attacco delle munite posizioni tedesche sul Monte Lungo presidiate dai Panzergrenadier tedeschi rafforzati da elementi della “Goerig”.

L’8 dicembre i bersaglieri di Dapino scattarono lungo le balze di Monte Lungo nonostante il fuoco delle mitragliatrici. La battaglia fu cruenta tra attacco italiano e controattacco tedesco. Alla fine morirono in quella giornata 47 italiani, i feriti furono un centinaio, più numerosi i dispersi. Un bilancio tragico.

Il 16 dicembre, dopo un decisivo assalto italiano con appoggio americano, i tedeschi si ritirarono verso Cassino. La battaglia di Monte Lungo era stata vinta.

Un particolare significativo, che spiega in parte i motivi che legano ancora oggi Legnano a Monte Lungo.

Antonio Branca, un legnanese che combattè e morì a Monte Lungo

Uno dei primi soldati a morire quel giorno a Montelungo fu il legnanese Antonio Branca. Nell’andare all’attacco il caporal maggiore Branca fu ferito una prima volta. Rifiutò ogni soccorso e nel successivo assalto raggiunse la cima della collina e distrusse la postazione tedesca con bombe a mano. Ma fu a sua volta raggiunto da una bomba a mano lanciata da un tedesco che lo uccise.

Antonio Branca, sepolto nel cimitero di Legnano, fu decorato con medaglia d’argento al valore militare. Era nato nel 1916. Aveva 27 anni.

“Lascio da uomo questa vita, non inquieto, ma sereno”

Mario Cheleschi, ufficiale di complemento della “Legnano”

morto a Monte Lungo l’8 dicembre ‘43

Per conoscere meglio Antonio Branca (di Mariavittoria Riccio)

http://www.legnanonews.com/news/1/13305/

I ragazzi di Montelungo

http://www.youtube.com/watch?v=zAECid2rzik

Bibliografia

– Antonio e Giulio Ricchezza, “L’esercito del Sud. Il Corpo italiano di Liberazione dopo l’ 8 settembre”, 1973 Mursia

– Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti, Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, 2009, p. 150 (per Antonio Branca)