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Piera Pattani, 86 anni, partigiana di Legnano-Brigata 182 Garibaldi

Piera Pattani, 86 anni, partigiana di Legnano –

Brigata 182 Garibaldi, Mauro Venegoni

Nel marzo del 1943 ho incontrato Arno, un capo partigiano che abitava vicino alla mia nonna, io avevo 16 anni e lavoravo alla Giulini e Ratti.
L’ho incontrato a casa del Dino Garavaglia, perché ero nell’organizzazione dei fratelli Venegoni.
L’Arno mi si avvicina e mi dice: «Piera ho un mestiere da fare, stiamo organizzando uno sciopero, ho qui dei volantini. Li devi portare alle persone di cui ti do l’indirizzo. Tu vai lì e glieli porti perché loro ti aspettano».
E poi mi ha detto: «Domani alle 10.00 c’è sciopero».
Allora sono andata dal Cesare Oldrini del Brusadelli, dalla Rossetti Carolina della Cantoni, dalla Norma del Vianello. Li ho portati alla Bernocchi, alla De Angeli – Frua..
Alla Tosi li ha portati l’Arno, al Caironi Ettore, c’era dentro il Borromei, che era del partito e altri compagni che non ci sono più.
La mia mamma si è spaventata, mi diceva: «ma Piera, cosa stai facendo, chi è quello lì».
«Mamma l’ho conosciuto domenica..»
E poi l’Arno mi disse «guarda che domani mattina ci sarà una squadra che gira» e infatti la mattina sono arrivati, sono saliti su e hanno fermato le trasmissioni, hanno fermato la fabbrica…perché quando tu fermi la tessitura, fermi tutto.
E i fascisti hanno portato via due donne delle nostre, due operaie – sono già morte tutte e due – una era la Carla Brega di Pavia e l’altra la Carolina Rossetti che abitava in via Quintino Sella. E io sono scappata sotto un telaio perché uno mi ha indicata come quella che aveva portato i volantini.
E poi molte donne sono uscite altre si sono spaventate e insomma, c’è stato un disastro quella mattina lì… e sono venuti quelli della Tosi però lo sciopero è riuscito in tutta la città.
Tutti che uscivano dalle fabbriche dicendo: «che succede, che succede?».
E allora da lì è iniziata tutta la mia storia, perché il Mauro Venegoni veniva lì fuori da Giulini e Ratti, con una bicicletta da donna, bassa così, con un porta pacchi dietro e uno davanti, veniva lì che sembrava uno straccione e mi diceva: «Piera, quando che vai a Milano a prendere la stampa clandestina vai a questo indirizzo».
La prima volta che sono andata a Milano, sono stata su sul tram dalle 9 e mezza di mattina fino alle 5 del pomeriggio, senza andar giù perché mi dicevano che non dovevo parlare, non dovevo dire a nessuno dove dovevo andare. E io giravo, a un certo momento ho trovato un vecchietto e gli ho detto: «senta, io cerco la via XXII marzo» e lui mi dice :«Eh ma siamo già passati»
«So anche io che siamo passati però io non so dov’è!»
«Le insegno io», mi ha detto. E allora mi ha insegnato «di li c’è la via XXII marzo, di là si va alla Camera del Lavoro». E io andavo al numero 20 o 22.
Li c’era la tipografia clandestina, c’era il Brambilla, quello del partito che mi preparava tutti pacchetti, li metteva in una borsa a rete, fatti su che sembrassero degli scampoli di tessuto.
Io quando tornavo in treno caricavo le buste con dentro la stampa clandestina, l’Unità…
Andavo su un vagone e poi mi sedevo in un altro vagone, così non mi scoprivano.
Poi, arrivati quasi a Legnano, andavo al vagone dove avevo lasciato le cose e mi aspettavano il Guglielmo Landini, il Caironi. l’ Angelo Santambrogio, che poi è stato portato a Mauthausen con tutti quelli della Tosi e della Comerio e non sono più tornati. Li ho visti quelli della Tosi quando li hanno caricati sui camion ho fatto un nascosto cenno di saluto al Santambrogio poi……
E, insomma, portavamo giù la stampa dal vagone e poi la distribuivamo.
Quando invece dovevamo attaccare sui muri i volantini e la stampa avevamo un gruppo di 13 donne che con 13 uomini, fingendosi morosi non davamo nell’occhio.
Poi quando l’organizzazione dei Venegoni è entrata nel Pci, sono cambiate le persone che venivano giù da Milano, sono cambiati i nostri contatti.
Allora io da Legnano sono andata col Cinelli e facevamo Rho e quella parte di là..
Io la passavo sempre liscia, perché avevo 16 anni.
Una volta hanno portato via uno dei nostri, il Samuele che era un capo partigiano, lo hanno ferito e lo hanno portato via, all’ospedale di Busto.. c’era il professor Santero che erano uno dei nostri e allora ci ha chiamato e ci ha detto che lo teneva un po’ li per operarlo e curarlo e così noi avevamo il tempo di liberarlo.
Allora io ho detto al Guido Venegoni: «facciamo così, domani vado io a Busto in Bicicletta a vedere»
E sono andata a Busto a vedere dove era il Samuele.
C’erano i piantoni fascisti e c’era li la suora, che già sapeva che sarei arrivata, e allora ho detto che ero venuta per vedere il mio fidanzato.
Ho visto il Samuele… com’era conciato!
Lui mi ha detto: «Ciao Piera», io mi sono avvicinata e in un orecchio gli ho detto: «Guarda che domani alle cinque vengono a portarti via».
I fascisti appena mi hanno vista che parlavo, mi hanno preso per i capelli e mi hanno sbattuto contro il muro. Che anche la suora gli ha detto: «ma che modo è di trattare una ragazza di 17 anni».
Il giorno dopo, la suora, ai piantoni che erano li a fare la guardia, gli ha messo dentro nel vino qualcosa mentre gli dava da mangiare, perché quel giorno sono svenuti tutti..
E io ero lì e gli ho detto adesso arrivano e ho visto dalla finestra la testa del Guido Venegoni e del Bigatel hanno preso il Samuele, lo hanno caricato sulla bici e sono partiti per Legnano.
I compagni di Busto sono andati sui cinque ponti, dove c’erano le guardie per rubargli le armi. Ma non per rubargliele veramente solo per tenerli impegnati intanto che portavano via il Samuele.
La Resistenza l’ha fatta il popolo, l’abbiamo fatta in tanti: noi partigiani, ma anche i preti e le suore, i farmacisti e i medici e a volte anche i padroni.
Testimonianza rivista dalla testimone, tratta dall’intervista del 19 marzo 2013 (conservata presso Archivio del Lavoro – Cgil Milano www.archiviolavoro.it)