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Resistenza una e trina: le tre guerre della Resistenza italiana

Le tre guerre della Resistenza / Anpi Bareggio / 19 aprile ‘17

Resistenza una e trina: le tre guerre della Resistenza italiana

E’ difficile in poco tempo introdurre la Resistenza e nel contempo evitare la retorica oppure le frasi fatte. Per questo ho voluto riscoprire un libro pubblicato nel 1991 e che ancora oggi merita il massimo dell’attenzione.
L’autore è Claudio Pavone e il titolo è “La guerra civile”; sottotitolo: “Saggio sulla moralità della Resistenza”.
E’ un libro che ai tempi provocò un ampio dibattito, alcune accuse all’autore sospettato di essere un revisionista, il tentativo della destra di approfittare dell’occasione per fare i conti con la Resistenza.
In realtà Pavone non voleva giocare a fare il revisionista “alla pansa”, voleva porre l’accento su alcune dimensioni della Lotta di Liberazione che a suo parere erano state facilmente dimenticate dopo il ’45 all’interno della sinistra in nome di una vulgata resistenziale a volte retorica e poco attenta a quanto era effettivamente accaduto durante i venti mesi di vita della Resistenza.

Secondo Pavone dall’8 settembre del ’43 al 25 aprile del ’45 furono combattute in Italia tre guerre diverse, con momenti in comune ma anche con indubbie differenze:
– guerra patriottica di liberazione dal nazi-fascismo
– guerra civile tra partigiani e fascisti
– guerra di classe dei partigiani contro i padroni

Vediamole in sintesi. La guerra patriottica
L’interpretazione che ebbe subito molto credito e ancora oggi continua a dettare i tempi del dibattito è quella della lotta di liberazione dell’Italia dalla “cancrena” dell’occupazione tedesca e contro il fascismo servo dei nazisti.
Nasce sul modello della lotta patriottica del popolo russo contro l’occupazione nazista dell’Urss. Tutto il popolo contro lo straniero e chi collaborava con lo straniero diventava “straniero” esso stesso come i fascisti.
La cacciata del tedesco offriva al variegato movimento partigiano un collante ideologico e politico che altrimenti avrebbe mostrato fratture e divisioni.
Nella guerra patriottica non c’è spazio per le contrapposizioni ideologiche: comunisti, socialisti, cattolici, monarchici, democratici … tutti contro il “tedesco invasor” con forme di stretta collaborazione politico-militare dove le componenti ideologiche si annullavano. La “guerra patriottica” traeva linfa dal Risorgimento e dalla IV guerra d’indipendenza, ossia la Prima guerra mondiale.
Il più strenuo difensore di questa tesi è stato il Pci di Togliatti e Longo ma non c’è dubbio che anche in molti settori cattolici e azionisti questo modo di pensare e operare fosse molto diffuso.
Tutti uniti in nome dell’Italia ferita contro lo straniero, così potremmo sintetizzare la guerra patriottica.
Scrisse Natalia Ginzburg: “La parole “patria” e “Italia” ci apparvero d’un tratto così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava”.

Qual è il limite di questa interpretazione?
Prima di tutto non c’è spazio per la lotta di classe nella Resistenza, come se la speranza del comunismo o del socialismo oppure di ampie e concrete riforme sociali non avesse agitato i cuori dei partigiani. E poi si nega totalmente il carattere di guerra civile alla Resistenza.

La guerra civile
Secondo Pavone la lotta resistenziale è stata anche (che non vuol dire marginalmente) guerra civile perché i partigiani erano italiani e anche i fascisti lo erano. Il termine guerra civile (guerra tra cives, cittadini dello stesso stato) nacque ai tempi della fine della Repubblica romana quando in un secolo circa Roma fu sconvolta da guerre fratricide tra Mario e Pompeo, Pompeo e Crasso fino al momento in cui Giulio Cesare fu il vincitore tranne poi essere ucciso da una congiura senatoria.
La sinistra fino a Pavone e anche dopo ha sempre negato il carattere di scontro tra italiani con l’affermazione che i fascisti non erano italiani in quanto assimilati totalmente ai piani di occupazione e di sterminio dei tedeschi in Italia. “Non può essere italiano chi si mette con lo straniero e strazia il proprio popolo”.

Da notare che se evitiamo il carattere di guerra civile, a rigore scompare la lotta contro il fascismo che tanta parte ha avuto nella Resistenza e così rischiamo di mettere in sordina il carattere antifascista della nuova Italia nata dalla Resistenza o il carattere antifascista della Costituzione.

Dall’altra parte, ossia i fascisti, c’è lo stesso processo di delegittimazione, ossia i partigiani, essendo alleati con gli invasori anglo-americani, non meritano la qualifica di italiani. Non è italiano chi combatte contro il proprio fratello, di chi ha tradito il camerata tedesco e chi apre le porte agli invasori.
Lo stesso processo di negazione di essere italiani faceva parte dell’armamentario ideologico della guerra civile.
Quindi secondo Pavone la lotta di Liberazione fu anche guerra civile con episodi di ferocia che tutti conosciamo, una guerra tra italiani combattuta con violenze reiterate, odio, sadismo soprattutto da parte fascista e con numerosi episodi di vendetta consumati ai danni dei fascisti dopo il 25 aprile (violenza post-insurrezionale).

Guerra di classe
La terza dimensione della Resistenza, definita da Pavone, è forse quella meno analizzata, volutamente dimenticata soprattutto dal Pci di Togliatti finita la guerra il quale voleva mostrare a tutti i costi che il “partito nuovo” aveva espunto la guerra di classe e durante la Resistenza aveva operato con una ferrea linea unitaria nella logica della guerra di liberazione dallo straniero.
Le espressioni “a da venì Baffone” oppure “quando arriva il Barbison” sintetizzano mirabilmente il grande desiderio di frange non esigue del partigianato di liberare l’Italia dai tedeschi e fascisti e nello stesso tempo liberare l’Italia dai padroni. I due aspetti appartenevano ad un’unica guerra.
Momenti salienti della “guerra di classe” erano stati gli scioperi del marzo del ’43 e quelli ancora più significativi del marzo ’44.
La retorica resistenziale li presentò come scioperi contro la guerra e quindi contro il tedesco occupatore, in realtà invece avevano forti componenti di classe e quindi vanno inquadrati come scioperi contro tedeschi e fascisti, contro i padroni e per migliori condizioni di vita. Alcune frange di lavoratori invece agirono per il socialismo oppure per gli ideali egualitari dell’anarchia.
Non era possibile cacciare i tedeschi e nello stesso tempo mantenere ai posti di comando nelle fabbriche proprio coloro (gli industriali e i banchieri) che erano stati i foraggiatori del fascismo dalla Marcia su Roma in avanti.
E’ vero che le parole anarchia, socialismo, comunismo in molti giovani partigiani avevano più un colore magico che ideologico e politico.
E’ inutile dire che durante il Ventennio fascista si era fatto di tutto per estirpare dal proletariato italiano tutto ciò che suonasse di sinistra. Tutta la generazione del socialismo del primo dopoguerra finì in carcere, al confino, fu ammazzata durante il Biennio Rosso o fini a Parigi o a Mosca con l’emigrazione antifascista. E così nel momento della riscossa delle masse con la Resistenza mancò una generazione comunista che avrebbe dovuto educare alla rivoluzione i giovani operai e contadini che salivano in montagna.
Nonostante questo qualcosa era sopravvissuto oppure non poteva essere eliminabile, ossia l’impulso a pensare a un’Italia rinnovata profondamente, con ampie riforme sociali e radicali cambiamenti nelle fabbriche con la cacciata dei padroni e l’avvio di forme di socializzazione della produzione.

E così i nostri partigiani combatterono tre guerre in una:
– contro il tedesco usurpatore del territorio nazionale
– contro il fascismo servo dei padroni e al servizio delle politiche di spolizione attuate dai tedeschi
– contro i padroni fascisti durante la Resistenza in attesa di regolare i conti anche contro i padroni “democratici”

Privilegiare una dimensione sulle altre non serve, attribuire a una di esse la priorità è sbagliato: la Resistenza fu una e trina.
Questa è la strada da battere per arrivare alla conoscenza di quello che fu effettivamente la lotta resistenziale in Italia.