La battaglia di Magenta e la Seconda guerra d’Indipendenza
(26 aprile – 12 luglio 1859)
Domenica 10 giugno si terrà a Magenta la spettacolare rievocazione della battaglia del 4 giugno 1859.
La battaglia di Magenta fu sicuramente il primo atto che porterà dopo due anni alla proclamazione dell’Unità italiana il 17 marzo 1861.
La seconda guerra d’Indipendenza
Dopo il fallimento dei moti del 1848 è protagonista il Regno sabaudo guidato dal Conte di Cavour. Giornalista nel ’48, ministro nel ‘50 e infine Presidente del Consiglio a partire dal ’52, Cavour è colui che traghetta la “Questione Italiana” al di fuori degli sterili moti carbonari del passato e delle velleitarie guerre del Piemonte di Carlo Alberto contro l’impero austriaco.
La strategia di Cavour prevede di trovare in Europa un partner che avesse l’interesse a scalzare l’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe dalla posizione di predominio che aveva in Italia.
Napoleone III, imperatore dei francesi e nipote del più famoso Bonaparte, aveva obiettivi di modificazione dell’ordine europeo a vantaggio del proprio Paese. L’alterazione dell’ordine italiano, ancorato sugli interessi geopolitici del governo di Vienna, rientrava sicuramente negli scenari che Napoleone III auspicava.
Si arrivò così agli accordi di Plombières tra Cavour e l’imperatore francese (luglio 1858) che prevedevano la divisione dell’Italia in quattro nuove entità statali dopo la sconfitta dell’esercito austriaco: il Regno sabaudo fino all’Adriatico; un regno nell’Italia centrale affidato a un principe francese; la città di Roma ancora sotto il controllo politico del Papa e un regno del Sud anch’esso sotto controllo francese.
L’Italia così definita a Plombières doveva diventare una Confederazione di quattro Stati sotto la presidenza del Papa.
Come spesso accade nella storia i progetti elaborati vennero completamente ribaltati da una “logica” degli avvenimenti che apparve però imprevedibile ai protagonisti.
Plombières prevede l’intervento in guerra della Francia l’anno successivo: sarà la Seconda guerra d’indipendenza dopo la prima sfortunata guerra del piccolo Piemonte contro la grande Austria e culminata con le due sconfitte di Custoza e Novara del ’48 e ‘49.
La guerra inizia con il 26 aprile del ’59 quando l’esercito austriaco supera il Ticino vicino a Pavia con l’obiettivo di occupare Torino. In realtà l’azione di Gyulaj in Piemonte è debole ed esitante.
La guerra vera e propria inizia quando accanto all’esercito sardo si schiera Napoleone III con 120.000 uomini che sbarcano a Genova il 12 maggio.
Il passaggio del Ticino, allora confine tra il Piemonte e l’Austria, avviene il 2 giugno nei pressi di Boffalora.
La battaglia di Magenta
Magenta è la prima battaglia significativa (4 giugno 1859) combattuta dai franco-piemontesi contro gli austriaci. Magenta era la via per Milano e la conquista della Lombardia. La posta in gioco era quindi molto alta. Infatti il 4 giugno gli austriaci, consapevoli del peso che avrebbe avuto la battaglia, opposero una tenace resistenza che costò la vita a 657 francesi e piemontesi. Le perdite austriache furono 1.358 soldati.
Particolarmente furiosi furono i combattimenti nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria e di “Casa Giacobbe” (oggi sede di importanti attività culturali), a pochi passi dal centro storico della città. La facciata sul giardino di Casa Giacobbe conserva ancora oggi i fori dei proiettili e delle cannonate francesi perché la villa era il quartier generale del comando austriaco.
L’Ossario di Magenta, muta testimonianza della tragedia di quel giorno, contiene alcune migliaia di teschi e ossa di soldati caduti sul campo di battaglia.
Dopo Magenta la via era aperta e i due monarchi alleati poterono entrare da trionfatori a Milano passando come gli antichi imperatori romani sotto l’Arco della Pace l’8 giugno. Quel giorno l’accoglienza della popolazione fu entusiastica, segno che qualcosa si era incrinato per sempre tra i milanesi e il governo asburgico.
La conquista di Milano però non poteva segnare la fine della guerra, anzi le difficoltà sarebbero arrivate di lì a poco perché gli austriaci si erano ritirati all’interno delle piazzaforti del Quadrilatero (Peschiera, Mantova, Legnago e Verona) e si preparavano a dare battaglia.
La linea del Mincio segna in questi giorni il confine tra il territorio soggetto a Vienna e i nuovi territori acquisiti da Vittorio Emanuele II. L’Adriatico con Venezia era ancora lontano ed è per questo che i due alleati, dopo i fastosi festeggiamenti per la liberazione di Milano, si mossero verso il Mincio (10 giugno).
La battaglia di San Martino e Solferino
La mattina del 24 giugno del ’59 i franco-piemontesi non si aspettavano di combattere una battaglia durissima. Nessuno si era accorto dei folti reparti austriaci che durante la notte precedente si erano mossi dal Mincio per occupare alcune alture strategiche e sorprendere i due eserciti alleati impegnati nell’avanzata.
San Martino e Solferino sono i due punti nevralgici di una battaglia cruenta che ricorderà ai contemporanei i terribili bagni di sangue delle battaglie napoleoniche. A partire dalle quattro del mattino fino all’ultimo sole del pomeriggio 230.000 combattenti dei tre eserciti impegnarono una battaglia durissima.
A San Martino lo sforzo maggiore per conquistare l’altura venne fatto dai piemontesi che nonostante ripetuti attacchi alla baionetta, dopo molte ore di aspri combattimenti, non riuscirono a cacciare gli austriaci dalla sommità del colle. Gli austriaci decisero di ritirarsi solo quando arrivò la notizia alla fine della giornata della sconfitta di Solferino.
Alla fine della giornata rimasero sul campo di battaglia 5.500 piemontesi e 2.500 austriaci (calcolando morti, feriti e dispersi). L’Ossario di San Martino, poco discosto dall’alta torre inaugurata nel 1893, contiene 1.274 teschi e 2.616 ossa di soldati austriaci e sardi.
Ben più sanguinosa fu invece la battaglia nella vicina località di Solferino (oggi in provincia di Mantova). Si scontrarono quel giorno 120.000 francesi e 80.000 soldati di Francesco Giuseppe. La battaglia terminò solo quando sulla zona si abbattè un furioso temporale che si scatenò alla fine della giornata.
Al termine il numero di morti fu spaventoso. Ripetuti attacchi francesi al colle di Solferino e in altre località poco distanti, la resistenza tenace degli austriaci con insistiti controattacchi alla baionetta causarono circa 18.000 morti.
Fu ancora più impressionante il numero di coloro che morirono durante la notte o il giorno dopo per la quasi totale mancanza di assistenza medica ed infermieristica ai tanti feriti da armi da fuoco o da taglio.
Nasce la Croce Rossa
Spettatore impotente a Solferino fu quel giorno l’uomo d’affari Henry Dunant il quale stava cercando da settimane l’occasione per un colloquio con Napoleone III in merito a propri progetti. Dunant assistette incredulo alla battaglia e vide lo scempio che le armi da fuoco causavano sul campo di battaglia, udì durante la notte le lamentose grida di aiuto dei feriti che morivano senza assistenza o peggio scannati dai contadini del posto alla ricerca di denaro o oggetti nelle tasche dei feriti e dei morti.
Dunant non si tirò indietro e si prodigò per aiutare i morenti e curare i feriti. Ma fu uno sforzo mal ripagato dalla mancanza di medici e medicine.
Tornato nella nativa Ginevra Dunant fondò nel 1864 la Croce Rossa Internazionale e da quel momento la presenza della sua organizzazione sui campi di battaglia divenne costante.
Il Museo della Croce Rossa a Castiglione Delle Stiviere permette un salto indietro nel passato scoprendo con quali poveri mezzi si cercasse di lenire il tormento dei feriti.
L’armistizio di Villafranca e la fine della guerra
La vista del campo di battaglia e l’alto numero di soldati morti impressionarono molto Napoleone III il quale, nonostante l’indubbia vittoria di Solferino, intavolò subito con Francesco Giuseppe trattative per chiudere la guerra al più presto. Malumori provenienti da Parigi per l’alto numero di morti in un conflitto che non riguardava la Francia, pericolose manovre della Prussia al confine con il Reno furono altri validi motivi per chiudere subito la guerra.
L’armistizio firmato a Villafranca l’11 luglio consegnava la Lombardia al Piemonte sabaudo ma impediva l’annessione del Veneto così come auspicava Cavour.
La delusione dello statista piemontese e tra i patrioti italiani fu enorme. Sembrò per qualche settimana che tutto fosse finito e che le speranze di Italia unita fossero naufragate. Invece l’anno successivo con i plebisciti che annettevano al Regno sabaudo l’Emilia e la Toscana e con la spedizione dei Mille di Garibaldi la storia riprendeva a correre in modo vorticoso.
Il risultato finale di questi due anni convulsi, 1859 e 1860, fu la proclamazione a Torino del Regno d’Italia il 17 marzo 1861.
Giancarlo Restelli
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Gerolamo Induno alla battaglia di Magenta
http://www.youtube.com/watch?v=AHyT3VQMclo
Alessandro Barbero racconta San Martino e Solferino
http://www.youtube.com/watch?v=BLHbIOwK-h0