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Due anni fa la tragedia del ponte Morandi

Due anni fa, esattamente il 14 agosto 2018, il crollo del ponte Morandi causava 43 vittime e Genova improvvisamente si scopriva fragile e impotente.

Come spesso accade nelle tragedie il lungo elenco dei morti diviene una fotografia della vita reale: tra di loro ragazzi in vacanza ma anche molti lavoratori nel vai e vieni del lavoro su un ponte che era consuetudine per tutta la città: camionisti, infermieri, addetti alla nettezza urbana, portuali.

Un quarto di loro erano migranti di prima o seconda generazione. Anche qui autisti, addetti alle pulizie, un cuoco.

Quindi una decina di migranti tra le vittime eppure nello stesso giorno della tragedia il ministro degli Interni dell’epoca si vantava di aver bloccato in mare 177 disperati sulla “Diciotti” della Guardia Costiera!

Una “tragedia annunciata”

E’ sicuramente un’espressione oggi stucchevole perché ripetuta tante volte in questi due anni, ma davvero il crollo del ponte era una “tragedia annunciata”.

Era dalla metà degli anni Ottanta che il degrado del ponte era sotto gli occhi di tutti. Infatti era nato proprio trent’anni fa il progetto della “Gronda”, ossia una bretella autostradale costruita intorno alle colline di Genova che avrebbe permesso l’abbattimento del ponte e la sua ricostruzione. Interessi e paure ecologiste dei principale partiti ne hanno impedito la realizzazione aggravando anno dopo anno le condizioni del Morandi.

I “no Gronda” a Genova non sono riusciti a proporre altre soluzioni mentre il ponte si copriva di ruggine e la cura dei piloni e degli stralli era colpevolmente trascurata. Convenienze elettoralistiche e le micro corporazioni dei comitati ecologisti hanno minato il progetto.

Ecco perché “tragedia annunciata”. Quel ponte era stato costruito con criteri avveniristici ma fragili nell’Italia del boom, per sostenere il traffico degli anni Cinquanta e Sessanta, non quello di una Genova ormai globalizzata.

Un articolo del “Corriere della Sera” di quei giorni sosteneva giustamente che l’ “Italia è un paese costruito negli anni ’60, abbandonato negli anni ’90, e che ha cominciato a venir giù da dieci anni”; la ragione è che “abbiamo smesso di credere al progresso”.

Anche la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” negli stessi giorni ricordava che le autostrade italiane erano un visibile prodotto del “Miracolo economico”, ma da allora si sono persi “volontà di modernizzazione e spirito pionieristico”.

Insomma la catastrofe di Genova rivelava il “collasso sociale” dell’Italia in negli ultimi trent’anni e il fallimento della stessa classe dirigente genovese incapace di dare un respiro europeo alla città.
Dopo la tragedia il rimpallo delle responsabilità con una lunga querelle che arriva ai nostri giorni con la società Società Autostrade e la famiglia Benetton nel mirino, dimenticando che ad approfittare dei lauti profitti garantiti dalla gestione delle autostrade italiane c’erano Fondi di mezzo mondo tra cui il gruppo Allianz e il Silk Road Fund di Pechino.

Aspetto paradossale: nonostante il flusso miliardario i gestori delle autostrade italiane non sono stati in grado di garantire la sicurezza di un nodo logistico vitale. Imperizia, superficialità, dilettantismo? Oppure la manutenzione era stata ridotta all’osso per accrescere le quote di profitto? Molto probabilmente tutte e due le cose.

Genova sospesa tra Mediterraneo e globalizzazione

La ricostruzione del ponte sembra aver risolto temporaneamente i problemi della città ma Genova deve ricordare che è il porto per antonomasia dell’intero Triangolo industriale, e dunque una parte del cuore produttivo d’Europa. Ora il vento cinese della “Via della Seta” soffia sulla città portando nuove prospettive di sviluppo e di lavoro.

Ma la Genova del Nord-Ovest italiano, del cuore industriale d’Europa e aperta al mondo si scontra ancora con interessi localistici e una classe dirigente locale e nazionale del tutto impreparata e dilettantesca, altrimenti non si sarebbe lasciato che per decenni il futuro di Genova fosse appeso a un ponte malandato.

Un nodo problematico che non sarà facile sciogliere.