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“Nassiriya, cronaca di un attentato. 12 novembre 2003”

Nassiriya, cronaca di un attentato”

Alpini San Vittore Olona – 19 novembre ‘21

Il titolo che ho dato a questa relazione è “12 novembre 2003: Nassiriya, cronaca di un attentato”: infatti vedremo che cosa è successo quel 12 novembre, la dinamica dell’attentato, le responsabilità italiane in quello che è avvenuto (mancata sicurezza della base) e più in generale ciò che è successo durante i tre anni di permanenza di carabinieri ed esercito a Nassiriya tra il 2003 e il 2006.

Mi avvarrò soprattutto di questo bel testo di Andrea Nicastro, “Nassiriya. Bugie tra pace e guerra”. Nicastro in quei tre anni ha fatto 9 viaggi per un totale di 12 mesi di permanenza a Nassiriya. Lo possiamo considerare quindi un testimone affidabile.

Entriamo subito nell’argomento.

Sono le 10.40 del 12 novembre 2003 a Nassirija (ore 8.40 in Italia) quando un grosso camion con circa 300 chili di tritolo si schianta contro il cancello d’ingresso della base “Maestrale” dei carabinieri a Nassirija.

E’ una strage: muoiono 12 militari dei carabinieri, 5 dell’esercito e due civili italiani. Anche per gli iracheni il bilancio è tragico: 9 morti più 140 feriti tra iracheni e italiani.

In totale il bilancio è di 27 morti. 31 se consideriamo anche gli attentatori kamikaze, due sul camion cisterna e due su un pik up che seguiva il camion.

Vediamo subito la dinamica dell’attentato nel film “Nassirija – Per non dimenticare” che è andata in onda sulla Rai nel 2007.

Sequenza film

Nella breve sequenza ci sono due inesattezze. Una è la mancanza del pik up degli attentatori. Mancanza poco grave. L’altra invece mostra la vivace reazione dei carabinieri alla vista degli attentatori. In realtà ad aprire il fuoco fu solo un soldato di guardia con la sua mitragliatrice pesante.

Gli altri militari coinvolti nell’esplosione si trovavano nel cortile o all’interno della palazzina che gli italiani avevano chiamato “Animal House” per lo stato deplorevole in cui l’avevano trovata qualche mese prima.

Nell’attentato fu coinvolto il brigadieri Cosimo Visconti

che così racconta gli attimi dell’esplosione: p. 119-121.

C’è anche un’altra drammatica testimonianza. E’ di Agata Balestri, caporale dei Lagunari, arrivata pochissimo tempo dopo l’esplosione.

Nicastro, lettura: pp. 80-81

Le condizioni di sicurezza

Grande cordoglio in Italia soprattutto il 18 novembre con i funerali di Stato. Ma intanto molti giornalisti si pongono la domanda se le autorità italiane a Nassirija abbiano fatto tutto il possibile per evitare l’attentato.

Avete notato che il camion-bomba arriva davanti all’ingresso di “Animal House” senza alcun problema e a tutta velocità.

– La base è nel centro della città. Posizione strategica ma pericolosa in quel contesto

  • La strada davanti all’ingresso è di grande traffico e davanti alla base sorgono diverse case abitate da irakeni. Sarebbe stato consigliabile chiudere la strada, allontanare gli abitanti e creare un percorso a zig zag per avvicinarsi all’ingresso. Non è stato fatto
  • A poca distanza dalla palazzina c’è il deposito esplosivi. Infatti ci furono due distinte esplosioni. Una il camion che salta per aria, dopo un attimo esplode il deposito munizioni
  • C’erano state almeno due segnalazioni dei servizi segreti militari sulla preparazione di un attentato contro la base italiana ma evidentemente erano stati sottovalutati. La prova è che tra i civili morti quel giorno ci fu un regista appena arrivato a Nassirija per girare un documentario sulla presenza italiana nel sud dell’Irak

Perché queste gravi carenze?

Qui dobbiamo capire gli scopi che vengono affidati dal governo italiano al contingente militare: i militari sono in missione di pace, devono contribuire a far fronte alla miseria, all’anarchia del dopo Saddam, devono combattere le bande armate e portare l’acqua e il cibo alla popolazione, ricostruire l scuole, soprattutto ricostrire la polizia per quando gli italiani se ne andranno…

In una missione di pace il contingente militare non può vivere arroccato in un’imprendibile base militare (come fanno inglesi e americani): i militari devono stare con la gente ed accanto alla gente mostrandosi umani e disponibili.

In sostanza i carabinieri fanno come avrebbero fatto in una qualunque città italiana nel momento della costruzione di una nuova caserma: scelgono un’area abitata e si difendono con modesti dispositivi di sicurezza.

Il problema è che l’Irak del 2003 non è un paese pacifico.

Anche l’armamento è adeguato al ruolo di pace che gli italiani portano a Nassirija. Armamento leggero per normali compiti di pattugliamento.

Dopo il 12 novembre arriveranno i carri armati Ariete, gli elicotteri Mangusta, gli aerei-spia Prèdator. Anche le armi individuali cambieranno divenendo adatte a un contesto di guerra.

Insomma, dalle jeep leggere ai carri armati cingolati, ai blindati e agli elicotteri d’assalto.

Evacuata “Animal House” gli italiani si difenderanno meglio nell’altra base a Nassirija rendendola super protetta.

Nicastro, in una sua pagina, ci fa capire bene il radicale cambiamento della presenza italiana a Nassirya:

Lettura, Nicastro: pp. 79-80

E’ implicito che ritirarsi in basi sempre più munite vuol dire lasciare mano libera in città alle bande dei fondamentalisti, alla delinquenza comune, alla generale insicurezza. All’ordine del giorno sono i rapimenti di occidentali a scopo estorsivo, la vendita di armi e gli attentati contro quel poco che ancora funziona.

Inchieste giudiziarie

In seguito all’attentato furono aperte due inchieste da parte delle autorità militari.

  • Per il generale Antonio Quintana, consulente dell’Esercito, ci furono errori di fondo nella scelta della sede, troppo esposta a un eventuale attacco terroristico. Sotto accusa è quindi il tenente colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, comandante della base distrutta. Poi fu assolto
  • Per l’Arma dei Carabinieri nessun errore strategico nella scelta della base e nessuna negligenza nelle misure di sicurezza
  • La Procura di Roma indaga sugli attentatori. Si scoprirà poi che era stata una cellula legata ad Al Quaida, capeggiata da Mustafà al Sadr, capo dell’esercito del Mahdi

La sentenza definitiva

Alla fine, dopo 16 anni, nel 2019 si arriva a una sentenza definitiva. E’ condannato dalla Cassazione il generale Bruno Stano (in sede civile, non penale), comandante del contingente a Nassiriya.

E’ condannato a pagare circa 70-80 milioni di euro ai familiari delle vittime perché ritenuto responsabile del mancato approntamento di strutture a difesa di Animal House.

Responsabilità sempre negate da Stano. A suo parere lui era stato trasformato in capro espiatorio per evitare di tirare in ballo il presidente Berlusconi, il ministro della Difesa Martino e il capo di Stato Maggiore dell’epoca.

Fu assolto il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli (comandante nella base “Maestrale”) perché all’epoca tentò senza successo di approntare migliori difese, ma non fu ascoltato (appunto dal generale Stano).

Vediamo altre immagini della strage. Immagini questa volta vere girate da Andrea Nicastro, uno degli inviati del “Corriere della Sera” a Nassirija.

Sequenza strage, n. 5

Facciamo un passo indietro. Vediamo quale città trovano gli italiani che arrivano a Nassirija a partire dall’agosto del 2003. Sempre dal documetario girato da Andrea Nicastro.

Sequenza “Nassirija italiana”, n. 3

Non l’abbiamo ancora detto. Perché gli italiani sono a Nassirija?

Siamo nel 2003 quando gli Stati Uniti decidono in risposta alla distruzione delle Torri Gemelle (11 settembre 2001) di portare la guerra in Afghanistan (covo di Osama Bin Laden) e in Irak dove ci sarebbe “pericolosissime” “armi di distruzione di massa” (così dicono gli americani) che Saddam Hussein sarebbe pronto ad utilizzare per alterare i fragili equilibri nel Medio Oriente. Le cosiddette “armi di distruzione di massa” non vennero poi trovate…

Inoltre si accusa il rais di essere tra i mandanti della distruzione delle Torri Gemelle e di essere in combutta con Bin Laden. Si sapra più avanti che non era vero.

Trenta paesi decidono di supportare gli Usa decisi a occupare il paese. Non Germania e Francia.

L’invasione dell’Irak (2003)

L’invasione americana inizia nel marzo del 2003 e si risolve facilmente perché l’esercito di Saddam si rivela di nessuna capacità operativa. Il 1° maggio gli americani arrivano a Bagdad.

Poi Saddam fugge, si nasconde e verrà catturato dagli americani nel dicembre dello stesso anno nella famosa “buca” presso Tikrit. Seguirà un processo pubblico e poi l’inevitabile condanna a morte dell’ex-rais (2006).

Quando l’ex-rais ha appena iniziato la sua latitanza l’ONU propone alla comunità internazionale di contribuire alla “rinascita” dell’Irak con un contingente multinazionale di pace (peace keeping).

Ed è così che nasce in Italia l’operazione “Antica Babilonia” con il coinvolgimento di reparti dei carabinieri e dell’esercito. L’inizio ufficiale è il 15 luglio 2003.

La ricostruzione fantasma

Nel frattempo la ricostruzione di Nassirija procede con gravi difficoltà perché le autorità italiane dispongono di un budget molto limitato che non è assolutamente in grado di far fronte ai problemi impellenti: mancanza di acqua potabile, energia elettrica, condizionatori, l’apertura delle scuole è rimandata, grossi problemi per il rifornimento di benzina delle auto… mentre in città spadroneggiano le bande di miliziani integralisti e di delinquenti comuni approfittando del fatto che gli italiani sono pochi sempre per ragioni di bilancio.

Qualunque cosa nell’Irak di allora costa moltissimo: soprattutto il contingente militare. Il governo Berlusconi (Martino ministro degli Esteri) mette a disposizione pochi fondi.

Anche la ricostruzione una polizia locale da parte del contingente italiano è un mezzo fallimento perché i poliziotti sono quasi tutti quelli di Saddam: sono corrotti, infidi e spesso collaborano con le milizie locali per il contrabbando del petrolio e per la vendita di armi e droga.

Sintetizza in modo efficace Andrea Nicastro: p. 156

Gravi responsabilità nella situazione esplosiva in tutto l’Irak e in particolare a Nassiriya ce l’hanno gli americani perché dopo la vittoria smantellano l’esercito di Saddam, la polizia, il pubblico impiego moltiplicando i disoccupati.

Le promesse di una rapida ricostruzione rimangono sulla carta perché gli americani dispongono di un budget molto ridotto, si mostrano intolleranti, sbrigativi e con il grilletto facile.

Lo slogan “Esportare la democrazia” viene interpretato dagli irakeni come un pretesto per l’annessione del paese e lo sfruttamento del loro petrolio.

Seq. n. 9 / La ricostruzione fantasma / 4.20

L’ultima sequenza che vediamo pone una serie di interrogativi sul dopo 12 novembre. L’attentato ha coinvolto anche numerosi civili irakeni (morti e feriti) che si sono trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Tra di loro anche irakeni che collaboravano con gli italiani ad Animal House (traduttori, interpreti).

Le autorità italiane non li hanno riconosciuti, probabilmente per non pagare gli indennizzi.

Seq. n. 11 / Onore?

I caduti di Nassirija non sono le uniche vittime italiane in Irak. In totale furono 32 fino al dicembre 2006 quando cessò di fatto l’Operazione “Antica Babilonia” (1.215 giorni di permanenza).

Le altre vittime italiane fanno riferimento al 2004 quando tra l’aprile e il maggio il contingente italiano fu sottoposto a duri scontri per il controllo i ponti sull’Eufrate. In quei frangenti anche la base “Libeccio” fu abbandonata per basi ancora più munite.

Difficile il conteggio delle vittime irakene: 29 civili uccisi dai soldati italiani più una ventina di miliziani.

In totale nei tre anni e mezzo furono mobilitati 3200 uomini tra ufficiali, sottufficiali e soldati, più 265 infermiere volontarie.

Perché siamo andati in Irak?

Rimane da rispondere a questa domanda. In sintesi:

– Il governo Berlusconi vuole confermare a Bush junior la fedeltà italiana agli Usa

– La ricostruzione dell’Irak – con i proventi del petrolio irakeno – e’ un affare ghiotto per le aziende italiane

– L’Eni aveva firmato con Saddam alcuni contratti per la prospezione del petrolio nella zona di Nassiriya. La presenza militare italiana vuole confermare questi contratti con l’ex-rais

E’ ovvio che di tutto ciò non viene detto nulla all’opinione pubblica italiana.

Incolpevoli i nostri militari mandati in zona di guerra con armamento inadeguato per coprire loschi affare stretti da diplomazie e affarismo.