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Italiani brava gente? La guerra d'Etiopia (1935-36)

Italiani brava gente? La guerra d’Etiopia

appunti

Il tema dell’incontro di questa sera è “Italiani brava gente?” nella storia del colonialismo italiano e in particolare con il suo ultimo capitolo: l’aggressione all’Etiopia al tempo del fascismo.

Spesso è stato detto che gli italiani non hanno mai fatto la guerra volentieri, che se obbligati hanno rifiutato le violenze gratuite; oppure è stato detto che gli italiani in guerra sono stati pietosi molte volte nei confronti dei nemici.

Altra componente del mito: l’italiano va in guerra ma pensa solo a fare all’amore: basta pensare al film “Mediterraneo” di Salvatores oppure a come gli italiani vennero giudicati nei vari territori occupati: l’”armata sagapò” in Grecia (armata amore) oppure l’ “armèee des parfumes” in Francia.

Probabilmente questa leggenda degli italiani paciosi e pieni di buona volontà, privi di collera e portati a fraternizzare anche con il “nemico”, nasce al tempo della “Grande proletaria si è mossa” di Corradini-Pascoli: un colonialismo dal volto umano che chiedeva solo “terre al sole” da lavorare da parte di un “popolo di contadini affamati di terra”.

Questa leggenda, nonostante tutto quello che accadde nelle colonie, si mantenne dopo il ’45 forse perché l’Italia non conobbe nessuna decolonizzazione con tutto il suo corteo di violenze e crudeltà: i francesi in Vietnam e Algeria (la “Battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo), i Belgi in Congo, i portoghesi in Mozambico….

In Italia la vicenda del colonialismo si chiuse bruscamente durante la seconda guerra mondiale (Etiopia, 1941; Libia, 1943) e da quel momento più nessuno ne parlò oppure se ne parlò in termini di civiltà portata nelle colonie (es. Benedetto Croce e poi per molto tempo Montanelli).

Nello stesso tempo si può dire che ogni popolo che ha fondato le colonie ha descritto se stesso in termini indulgenti: i francesi hanno sempre parlato di “douceur coloniale”, gli inglesi di “benèvolent empire” il cui motto era il“fardello dell’uomo bianco” di Kipling. Anche i belgi hanno guardato in termini positivi al loro colonialismo in Congo (!).

Quali sono i capi di imputazione a carico del colonialismo italiano?

– nel periodo liberale il ricorso a fucilazioni sommarie per il mantenimento dell’ordine in Eritrea (1890);

– il mantenimento della schiavitù in Somalia (dal 1905)

– la reazione spropositata dopo Sciara Sciat (Libia, ottobre-novembre 1911);

– le violenze ai danni della popolazione libica negli anni successivi la vittoria del ‘12

– durante il periodo fascista il ricorso ai gas per la riconquista della Libia (1928-30)

– l’istituzione di campi di concentramento per la popolazione cirenaica (1930-31)

– la conquista dell’Etiopia avvenuta anche con il ricorso massiccio di aggressivi chimici: 500 tonnellate in sette mesi di guerra!

– la reazione spropositata all’attentato a Graziani del febbraio ’37 ad Addis Abeba con alcune migliaia di vittime

– la repressione della resistenza etiope dal ’37 fino al 41 con massacri di massa ai danni delle popolazioni locali

– l’istituzione in Etiopia dal ’37 di un regime di separazione razziale che anticipa di diversi anni l’aparteid in Rhodesia e in Sudafrica

Per la presenza di tali crimini diventa difficile parlare di “brava gente” così come al contrario sarebbe sbagliato parlare di “mala gente”.

Il colonialismo italiano conobbe orrori e palesi ingiustizie simili a quelle compiute dalle altre nazioni e i comportamenti degli italiani in colonia non differirono più di tanto rispetto a quelli degli altri europei.

In ogni caso dobbiamo considerare circa 500mila vittime africane del colonialismo dell’Italia liberale e fascista.

Angelo Del Boca aveva proposto anni fa un Giorno della Memoria per ricordare le centinaia di migliaia di etiopi, eritrei, somali e libici vittime del colonialismo italiano: la proposta di legge giace ancora e giacerà per sempre in qualche cassetto ministeriale. Aveva indicato come data migliore il 19 febbraio, data dell’attentato a Graziani ad Addis Abeba.

Da notare che le vittime furono davvero molte in rapporto alla breve durata del colonialismo italiano (60 anni complessivi, l’Impero invece dura cinque anni) e della ristretta area geografica delle colonie.

Questa sera oltre a tentare un bilancio del colonialismo italiano vedremo l’ultimo capitolo della sua storia: la conquista dell’Etiopia nel ’35-36.

Durò sette mesi: morirono 250.000 mila etiopi a fronte di 4500 connazionali e poche migliaia di ascari. L’Italia spese cifre colossali (14 miliardi dell’epoca) che non poterono essere ripianate.

Perché la conquista dell’Etiopia:

–        vendicare Adua. Per essere sicuro della vittoria Mussolini volle mezzo milione di soldati!

–        dare agli “Italiani un posto al sole” vero

–        iniziare a competere con Francia e Gran Bretagna che avevano grandi imperi. Fino a quel momento le colonie italiane erano risibili

–        verificare se in 13 anni di regime era nato l’italiano nuovo

–        approfittare dell’ascesa della Germania nazista e occupare l’Etiopia ora che Francia e Gran Bretagna erano preoccupate e avrebbero chiuso un occhio di fronte alla conquista italiana. Era il momento giusto per fondare l’impero!

Cominciamo con la guerra di Etiopia con la visione di un filmato

** Etiopia / “La storia siamo noi”

Nel documentario si fa riferimento a due crimini di guerra specifici anche se è necessario ribadire con forza che la guerra è sempre un crimine.

–        l’uso massiccio di gas asfissianti

–        la reazione all’attentato a Graziani

Il primo a parlare di gas in Etiopia è stato Angelo Del Boca nel suo fondamentale libro “La guerra di Abissinia” del 1965. Prima di allora solo un libro di Roberto Battaglia (storico della Resistenza) aveva parlato di questo crimine (1953).

Con la pubblicazione del suo libro Del Boca subì un autentico linciaggio da parte dei circoli colonialisti sopravvissuti alla guerra e da parte dei militari che combatterono in Etiopia.

La documentazione di Del Boca era inoppugnabile però nessuno dei suoi oppositori voleva prenderne atto. Ad un certo momento entrò di prepotenza nel dibattito Indro Montenelli il quale disse: “Io c’ero e non ho mai visto terreni irrorati d’iprite”. Montanelli comandava un gruppo di ascari eritrei e i suoi uomini erano sempre i primi ad avventarsi sui villaggi etiopi per massacrare e rubare.

La polemica andò avanti a corrente alternata fino a quando il governo Dini nel ’96 (governo di tecnici) ammise con le parole del Ministro della Difesa, generale Corcione, che era stato fatto uso dei gas in Etiopia (86 tonnellate).

Fu in questa occasione che Montanelli si scusò con i lettori del “Corriere” e si scusò anche con Del Boca per averlo considerato una persona non degna di essere ascoltata.

La risposta di Montanelli fu un poco ambigua: disse in sostanza che in Italia spesso quello che si fa non corrisponde a quello che si doveva fare. Quindi dei tanti telegrammi di Mussolini, Graziani, Badoglio, Lessona, De Bono in cui si parla esplicitamente di uso massiccio di gas, non è detto che il gas fu utilizzato.

Ora vedremo una sequenza da Fascist Legacy (“L’eredità del fascismo”) di Ken Kirby. È un documentario del 1990 della BBC che ha una storia particolare. Riguarda i crimini di guerra commessi dagli italiani in Etiopia e durante la Seconda Guerra Mondiale in Slovenia.

La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Poi più nulla. Probabilmente è finito in qualche armadio in Via Mazzini, verrebbe da dire armadio della vergogna.

 

Oltre all’uso dei gas il documentario denuncia la brutale reazione italiana all’attentato a Graziani commesso da due studenti eritrei il 19 febbraio del 1937 ad Addis Abeba.

Quel giorno nel palazzo del govenatore Graziani era prevista una cerimonia per la nascita del primogenito del principe Umberto. Mentre Graziani stava distribuendo monete a una folla di poveri e mendicanti scoppiarono due bombe: la seconda investì in pieno Graziani con più di 300 schegge.

Mentre veniva portato all’ospedale nel cortile del palazzo si scatenò il finimondo: i carabinieri impauriti spararono a raffica contro i mendicanti e la folla uccidendo centinaia di persone innocenti. Subito dopo il federale Cortese ordinò alla comunità italiana di Addis Abeba di vendicare Graziani alla maniera squadrista: alcune migliaia di abitanti furono uccisi per strada senza distinguere vecchi e ragazzi. Migliaia di tucùl vennero bruciati e gli abitanti sterminati quando uscivano. Fu così che ad Addis Abeba, città africana, per tre giorni gli africani non si fecero vedere.

 

Lo scempio durò tre giorni con l’avallo di Graziani (che nel frattempo si era risvegliato in ospadale) e Mussolini da Roma. In Italia naturalmente non si seppe nulla.

I massacri non finirono qui:

– 4000 etiopi furono portati in improvvisati campi di concentramento in Etiopia

– furono ammazzati un migliaio di cantastorie che nei mesi precedenti avevano predetto la fine del dominio italiano

– furono deportati in Italia poco meno di 200 notabili (persone in vista) della comunità etiope della capitale / distruzione della intellighenzia etiope

– furono uccisi in massa i religiosi cristiano-copti del monastero di Debra Libànos ritenuto a torto il cuore dell’attentato a Graziani. Nel maggio dello stesso anno furono fucilati i monaci ma anche i giovani diaconi del monastero (in tutto 450). Ma altre ricerche fanno ascendere il numero di fucilati tra 1423 a 2033 con l’uccisione di religiosi di altri monasteri. E’ evidente l’intenzione di cancellare l’esistenza della classe dirigente etiope.

 

Ma i crimini in Etiopia non finirono qui:

– fino al ’39 la resistenza abissina fu molto aspra e questo richiese il solito corteo di massacri ai danni di civili e combattenti. Ultima strage, nel ’39 un migliaio di abissini vennero ipritati in una grotta dove avevano trovato rifugio

– nel ’37 fu avviata una odiosa campagna di separazione razziale tra italiani ed indigeni basata sul presupposto della netta superiorità italiana e  della netta inferiorità razziale degli abissini (segregazione razziale)

– furono definite rigidamente le aree urbane in cui italiani ed etiopi da quel momento sarebbero vissuti: diversi i quartieri abitativi, diversi i cinema, i negozi e autobus; scuole su base razziale

– vennero aboliti i matrimoni misti (italiani con etiopi)

– venne condannato il Madamato (convivenza tra italiani e donne etiopi) con pene per gli italiani inadempienti

– si condannarono i legami di sangue tra italiani ed etiopi descrivendo con tinte fosche il meticcio, frutto di un’unione contro natura tra una razza forte e una inferiore con caratteri animaleschi. Le unioni sessuali erano definire accoppiamenti con “creature inferiori” derivate da un’ ”assoluta anormalità fisiologica”. Oppure i rapporti sessuali erano definiti promiscuità. Il prodotto di queste unioni (il meticcio o mulatto) sarebbe stato gravato da tare ereditarie derivate dall’accoppiamento di due razze diverse di cui la peggiore aveva il sopravvento

– fu tollerata solo la prostituzione delle donne indigene

– fu cancellata dalla radio ed espicitamente proibita  “Faccetta nera”

Bisogna dire che il razzismo segregazionista nacque in Etiopia nonostante non si legasse con le caratteristiche popolari dell’emigrazione in colonia: i “petit blanc”, ossia metà dei coloni erano contadini, artigiani, piccoli commercianti, operai che avevano bisogno di costruire una famiglia e della collaborazione degli indigeni.

Tutto questo durò solo quattro anni: dal ’37 al ’41 quando tutto andò perduto

– Questi comportamenti avrebbero ispirato solo un anno dopo le Leggi Razziali antiebraiche in Italia (1938).

Non fu genocidio nelle colonie italiane ma si può parlare di “atti genocidari” o meglio di “crimini di guerra”.

Tutti questi fatti inoppugnabili fanno cadere la leggenda di un colonialismo migliore rispetto ad altri e mostrano che gli italiani, in alcuni momenti della loro (nostra storia), si sono macchiati di orrendi crimini.

G. Restelli