8 settembre 1943. Legnanesi nella bufera
Dopo l’annuncio dell’armistizio i cittadini legnanesi più consapevoli ed organizzati si prefigurarono con precisione quanto sarebbe accaduto. Pertanto il giorno successivo, il 9 settembre, alla mattina presto Carlo e Mauro Venegoni, i principali protagonisti della Resistenza armata a Legnano e valle Olona, entrarono alla Franco Tosi per un comizio-lampo di due minuti per incitare gli operai alla lotta. Intanto delegazioni di operai sotto la guida di Arno Covini, futuro comandante partigiano, si recarono alla caserma di viale Cadorna, mentre altri guidati da Angelo Sant’Ambrogio, uno dei dirigenti della Commissione Interna (cioè i sindacati) della Franco Tosi, si recarono alla caserma della Guardia di Frontiera sita allora in Largo Tosi, chiedendo al comandante le armi, che avrebbero utilizzato per contrastare l’imminente arrivo dei tedeschi.
Ma i comandanti, come accadde un po’ ovunque, si rifiutarono di consegnare le armi ai civili.
La notte stessa, tra il 9 e il 10 settembre, le sentinelle italiane furono sostituite da sentinelle tedesche. I soldati si arresero e cedettero le armi alla Wehrmacht senza sparare un colpo.
Monsignor Cappelletti, prevosto di San Magno, annotò quel giorno con asprezza sul liber chronicus della parrocchia “Cedimento vergognoso. Si fugge, si abbandona tutto. Dove si andrà a finire?”
La mattina dell’11 settembre i legnanesi trovarono affisso un manifesto:
“CITTADINI! Da oggi il Comando della città e Circondario di Legnano, è assunto dal Tenente Colonnello LINDAU con tutti i poteri … Il ritmo normale della vita e del lavoro deve continuare … Qualunque azione di sabotaggio, di sobillazione e di abbandono ingiustificato del lavoro SARA’ PUNITO CON LA FUCILAZIONE … Chiunque sia in possesso di armi da fuoco e munizioni di qualsiasi specie… dovrà consegnarle … E’ vietato l’assembramento di oltre tre persone. Il coprifuoco è alle ore 21 … Chiunque si opponga ai suesposti ordini sarà passato per le armi”.
L’Ortskommandatur, cioè il comando locale del colonnello Lindau, venne alloggiato nella palazzina della GIL di via Milano 15.
Nei giorni seguenti altri divieti e minacce di multe al Comune e fucilazioni di civili in risposta ad azioni di sabotaggio dei partigiani si abbatterono su Legnano: il 17 i tedeschi vietarono persino il suono delle campane prima delle ore 8 e Mons. Cappelletti annota pure che
“Le autorità civili e militari tentano il ritiro delle campane necessarie come materiale di guerra. Mons. Prevosto temporeggia e intanto riesce a salvare le campane di S. Magno perorando la causa delle campane anche delle altre parrocchie”.
La dissoluzione dell’esercito l’8 settembre coinvolse anche alcuni soldati legnanesi in quel momento operanti in diversi contesti militari. Per alcuni fu possibile il ritorno a casa, spesso fortunoso, per altri ci fu la lotta o la prigionia in Germania o altrove.
LORENZO MARCHINI era a Legnano in licenza. Ricorda la sig.ra Ida Ardo:
“La sera dell’8 settembre un nostro vicino che si chiamava Lorenzo Marchini bussò alla porta e ci chiese di nasconderlo. Non poteva andare a casa perché i tedeschi cercavano i militari italiani, e se lo avessero trovato chissà dove sarebbe finito. Potevamo ospitarlo in cucina, lui si mise a dormire sul pavimento.”
VIDEO Filmato 8 settembre legnanesi 8.20
(EZIO ROSSETTI, ACHILLE CARNEVALI, SAMUELE TURCONI, GIUSEPPE STELLICA)
Achille Carnevali e Samuele Turconi, raggiunta Legnano, entrarono fin da subito nella Resistenza, Achille, che era già Presidente dell’Azione Cattolica, nelle formazioni cattoliche della Brigata Carroccio, Samuele divenne invece il comandante della 101^ Brigata Garibaldi GAP di Legnano Mazzafame e Gorla Maggiore. Giuseppe Stellica, legnanese d’adozione, all’epoca viveva a Pontremoli e raggiunta la sua città si è inserito nelle formazioni partigiane che operavano sulle montagne circostanti.
In alcuni reparti l’8 settembre si tentò di opporsi con le armi ai tedeschi. Questo accadde anche al comm. LUIGI CAIRONI, storico Presidente della Famiglia Legnanese, che alla vigilia dell’8 settembre del ’43 si trovava a Guastalla nel 2° Reggimento Pontieri con l’obiettivo di difendere i ponti sul Po da un’eventuale avanzata anglo-americana. Dovette però alla fine arrendersi e, fatto prigioniero, fu trasferito prima a Mantova e poi in carro bestiame in Pomerania, nello Stammlager II B di Hammerstein.
Al 2° Reggimento Pontieri appartenevano anche VITTORIO JELO e COSTANTINO COLOMBO entrambi di stanza a Piacenza. Dopo l’armistizio i tedeschi si presentarono in motocicletta, accerchiando la caserma e tenendo sotto tiro i soldati italiani con delle mitragliette, intimando loro di non muoversi. Colombo si accorse però che una porticina che dava sul fiume Po non era controllata e vide che qualche compagno riusciva a scappare. Cercò di imitarli ma venne fermato dal suo colonnello Biandrate che gli ordinò di restare con lui. Vittorio Jelo ricorda:
“Dopo qualche giorno ci caricarono sui vagoni merci stipati come animali, spesso addirittura in vagoni scoperti”.
Destinazione per Jelo il campo di internamento di Hammerstein e poi Barth Holz, in una fabbrica di bombe, per Colombo direttamente Barth Holz, a raccogliere morti dalle macerie.
Una situazione diversa invece per altri legnanesi.
ROBERTO MARTARELLI, classe 1921, era in servizio militare dagli inizi del 1941.
“L’8 settembre mi trovavo come sergente maggiore in servizio presso il Gruppo Motorizzato Scalabrino, appartenente alla divisione Cremona, nel nord della Sardegna. Ero autista, nonché specialista come teletrasmittente e tiratore scelto. Mi capitò, mentre ero in auto, di essere bloccato dai tedeschi, che pretendevano di requisirmi il mezzo. Mi trovai le armi puntate contro proprio da chi credevo fosse un alleato. Nacque in me una cattiveria, perfino un odio, contro i tedeschi e decisi che li avrei combattuti appena possibile. Mentre cercavo di discutere con un ufficiale germanico, questi fu distratto dall’arrivo di altri mezzi italiani: così ne approfittai per allontanarmi poco alla volta e per buttarmi dietro ad una cunetta, insieme ad un ufficiale italiano. Fu la nostra salvezza. Nella successiva fuga, incontrammo il colonnello Scandella, che ci prese con lui. Ci dirigemmo verso il sud della Sardegna, dove fummo aggregati ad altri soldati italiani. Ci fu chiesto se eravamo disponibili a combattere insieme agli alleati ed io mi offrii come volontario. Fummo così portati a Napoli, da qui ad Afragola e poi ad Altavilla Irpina. Qui fummo rifocillati e rivestiti colle divise inglesi, sulle quali vennero però messi i gradi e le decorazioni italiane. Entrai così a far parte del CIL , il Corpo di Liberazione Italiano e in seguito del Gruppo di Combattimento Cremona, che fu inquadrato nell’VIII Armata britannica.”
ANTONIO BRANCA si trovava a Brindisi. Con i suoi commilitoni decise di passare dalla parte degli Alleati ed entrò a far parte del 67° Reggimento di fanteria della CIL. L’8 dicembre 1943 venne mortalmente ferito in combattimento a Montelungo, nella zona di Cassino. Gli fu conferita una medaglia d’argento alla memoria.
Altri legnanesi dopo l’8 settembre scelsero invece di combattere a fianco dei tedeschi. Tra questi RENATO FEDELI, classe 1923, che entrò subito a far parte della 2° Compagnia del X Battaglione Alpino.
Chi si trovava all’estero non ebbe la possibilità di tornare a casa o combattere con gli alleati. Per chi non intendeva passare dalla parte dei tedeschi l’8 settembre si prospettarono solo due alternative: scappare e combattere a fianco dei partigiani locali o essere caricati dai tedeschi su carri bestiame ed essere internati come IMI in Germania, Austria o Polonia.
GIUSEPPE MEZZENZANA si trovava in Jugoslavia. Il 9 settembre 1943 Giuseppe passa con le formazioni partigiane di Tito, nella Brigata Dalmatinska (Ormiskengrup) e viene trasferito successivamente con la Divisione d’Assalto Garibaldi Italia il 2 novembre 1943.
“Perché questa scelta? … Per molti di noi la nostra fu una scelta di lotta contro i tedeschi, per il riscatto dell’onore del popolo italiano, infangato soprattutto all’estero dalle vergognose guerre di aggressione fasciste, e per la libertà dei popoli. … [Lotta per] la difesa della propria dignità di militari e di uomini fedeli agli ordini ricevuti (magari poco chiari o intempestivi) e la volontà di non sottostare alle minacce e all’imposizione a mano armata operate dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. … La storia del Battaglione Garibaldi che si formò a Spalato in Dalmazia, con 350 uomini, la maggior parte Carabinieri, e un buon nucleo del 4° reggimento Bersaglieri di cui facevo parte è una storia, un cammino, dall’8 settembre 1943 all’11 luglio 1945, che si snoda attraverso i monti, le pianure e i boschi della Dalmazia, della Bosnia Erzegovina, della Scumadia, Serbia, Srem, Slavonia e Croazia, del Samgiacato, fino ai confini del Montenegro. E’ una storia fatta di tante cruenti battaglie, di durissime marce, di stenti e di sacrifici, e di fraternità, di lotta coi partigiani e col popolo Jugoslavo, contro il comune nemico: il nazifascismo.”
Mio padre, ADRIANO PASQUETTO, si trovava a Puka in Albania. Era sottotenente e con tre soldati presidiava una baracca che fungeva da magazzino merci della Sussistenza, sperduta in mezzo ai boschi delle montagne albanesi. Si recava spesso alla mensa ufficiali percorrendo svariati chilometri a piedi nel bosco per poter avere un contatto con i commilitoni e i superiori. L’8 settembre si trovarono senza ordini, poi un ordine arrivò, cioè quello di recarsi con i propri uomini alla stazione ferroviaria più vicina e fare quello che i tedeschi avrebbero ordinato. Avevano capito tutti a cosa sarebbero andati incontro e hanno valutato l’eventualità di combattere ma avevano un solo caricatore a testa. Tornare in Italia dall’Albania era impensabile. Aggregarsi ai partigiani? C’erano stati diversi episodi in cui i tedeschi avevano ordinato agli italiani di incendiare le case dei capi partigiani. I tedeschi intendevano che venisse fatto con dentro i partigiani, gli italiani trovavano il modo di avvisare e le case risultavano vuote. Però le case venivano incendiate. Quindi i partigiani difficilmente avrebbero accolto a braccia aperte i militari italiani. Decisero pertanto di fare quanto ordinato e recarsi alle stazioni ferroviarie, dove furono disarmati e, in seguito al loro rifiuto di collaborare, caricati tutti su carri bestiame piombati. Destinazione Leopoli in Polonia e da lì smistati in vari campi di internamento. Mio padre finì a Wietzendorf.
Più a sud, in Grecia, si trovavano altri legnanesi.
ITALO CAMPANONI, membro della famiglia che aveva la rinomata latteria, l’8 settembre 1943 si trovava ad Atene:
“Alla fine di settembre ci misero tutti e duemila su una tradotta e ci portarono in Germania. Per la precisione in un campo di lavoro … destinati a una fabbrica di mattoni.”
LORENZO RANELLI era un medico, ufficiale di complemento che ad Atene aveva raggiunto il grado di Capitano ed aveva avuto occasione di incontrare Angelo Giuseppe Roncalli, allora Delegato Apostolico per Turchia e Grecia e futuro Papa Giovanni XXIII. Anche lui scelse di non collaborare e venne deportato. Prima destinazione il Lager di Kaisersteinbruch, in Austria, a sud-est di Vienna.
Invece GIACOMO LANDONI si trovava a Cefalonia ed è stato partecipe della tragedia della Divisione Acqui. Deportato a Königsberg è stato impiegato nella rimozione delle macerie dei bombardamenti.
Anche RENZO DA RONCH, croce al Merito di Guerra, faceva parte della Divisione Acqui. Era nato a Merano ma in seguito risiedette per più di 50 anni a Legnano.
“Dopo averci catturato, ci hanno fatto viaggiare per circa 20 giorni su un treno sino ad arrivare in Prussia. Giunti a destinazione ci hanno smistato ed io venni inviato al lavoro in una fattoria.”
Chi ci ha lasciato però un diario dettagliato di quei giorni è il sottotenente degli alpini GIUSEPPE BISCARDINI, che si trovava ad Antibes, in Francia. Il suo diario è stato pubblicato dal figlio e lo trovate anche in biblioteca. Ve ne leggo solo alcuni tratti.
“8 settembre. … Nel tardo pomeriggio – come un fulmine a ciel sereno – si diffonde la notizia che l’Italia ha chiesto l’armistizio agli anglo-americani. I nostri alpini che si trovano in paese in libera uscita … sembrano impazziti dalla gioia. … Il nostro Maggiore è sconvolto. Sguinzaglia Ufficiali e Sottufficiali per far rientrare le truppe nel Forte e nella Caserma. … Siamo tutti un po’ frastornati. … Alle 19.45 la radio italiana conferma la notizia. … Gli ufficiali lasciano i loro alloggi e si precipitano al comando. … Il nostro Comandante è smanioso di fare cose che non sa. Decide allora di chiamare tutti i Comandi superiori per saperne di più. … Tra noi matura l’idea di rientrare a piedi, attraverso le montagne, in Italia. Finalmente il Comandante riesce a mettersi in contatto con il Generale di Divisione De Cia. Le sue istruzioni sono … “Calma assoluta. Non accelerare né anticipare la partenza. La truppa sia mandata a dormire. Partirete domani 9 settembre in treno alle ore 18 per l’Italia. Ricordatevi, prima di partire, di ossequiare il Comando tedesco”.
Verso le 22 … sento dei passi decisi venire verso l’ingresso principale. Un attimo dopo si sentono due forti colpi alla porta. La sentinella si avvicina alla porta a chiedere chi è. “Cammarade allemand” risponde. Il Tenente tedesco ci fa leggere un ordine ricevuto dal suo Comando di Divisione, che dice: “A seguito della vostra capitolazione, tutte le truppe italiane dovranno consegnare le armi, poi saranno inviate in Italia, libere di combattere –se vorranno – con i tedeschi.” Per me questo ordine ha tutta l’aria di una truffa. … Il camerata tedesco, amareggiato di non aver ottenuto il consenso, se ne va.
Verso le 24 … improvvisamente carri armati tedeschi si avvicinano al Forte, seguiti da soldati mimetizzati con fronde sugli elmetti. Il nostro ufficiale di picchetto, che per l’emozione aveva quella sera un po’ bevuto, senza ricevere alcun ordine decise di mettere in azione le mitragliatrici. A suon di scariche fa arretrare le truppe della Wehrmacht. Sono momenti di forte tensione. I tedeschi predispongono l’accerchiamento del Forte, noi predisponiamo la difesa. … Non so quanto potremo resistere; siamo solo un battaglione di alpini contro un’intera Divisione tedesca.
Verso le 6 del mattino succede un fatto imprevisto a cui nessuno più credeva: vengono ripristinate le comunicazioni radio. Il Generale Comandante della 223° Divisione Costiera De Cia dà ordine al nostro Maggiore di evitare sparatorie con i tedeschi, spargimenti di sangue e di cedere quindi le armi.
E’ finita così questa tragica notte, sentiamo da quel momento d’aver perso una parte di noi stessi, inizia la nostra odissea. “
Queste sono le storie che abbiamo potuto conoscere ma a Legnano su 34.000 abitanti circa 3.000 erano sotto le armi. Queste storie sono solo un esempio di quello che presumibilmente è accaduto anche agli altri militari legnanesi. Sarebbe bello conoscerlo perché sono tante ancora le storie da raccontare e da ognuna di esse sono sicura che c’è anche qualcosa da imparare.
Renata Pasquetto