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Dante e la politica a Firenze

Dante e il potere

Nel mio intervento d’apertura cercherò di definire il rapporto tra Dante e la politica. Può essere utile come intervento introduttivo a questo incontro.

E’ un discorso molto complesso che cercherò di rendere in una dozzina di minuti. Mi perdonerete quindi se sarò in alcuni casi molto sintetico.

Cominciamo col dire che Dante fece politica attiva a Firenze per almeno sei anni. Dal 1295 al 1301 quando poi verrà condannato per corruzione e poco dopo subì anche la condanna a morte se avesse tentato di ritornare a Firenze. Da qui divenne inevitabile l’esilio dalla sua città che durò fino alla sua morte nel 1321.

Nel 1295, quando comincia a fare politica attiva a Firenze, Dante ha esattamente trent’anni. Fino a quel momento ha vissuto a Firenze discretamente agiato, la famiglia non è nobile (gli Alighieri) e neppure molto ricca. Però il padre ha accumulato un discreto patrimonio con la mercatura e l’usura.

Ora il padre e la madre sono morti da tempo e Dante non ha bisogno di lavorare. I contadini di alcuni appezzamenti di sua proprietà gli portano ogni anno rendite tali da vivere comodamente.

Può quindi dedicarsi a ciò che ama di più: i bei cavalli, i bei vestiti, frequenta amici aristocratici come Forese Donati e Guido Cavalcanti (grande poeta).

In questi anni giovanili c’è tempo per partecipare a una battaglia vera e propria, che è la battaglia di Campaldino in cui Dante in cotta di maglia e spada combatte per Firenze contro Arezzo; sempre in quegli anni si innamora perdutamente di Beatrice, scrive poesie d’amore (nell’ambito del “dolce stil novo”)… insomma in questi anni nessuno avrebbe potuto prevedere che quel giovane di bell’aspetto, amante delle belle donne, delle armi e della poesia d’amore avrebbe scritto la “Divina Commedia” e prima ancora avrebbe partecipato attivamente alla vita politica fino a farsi coinvolgere completamente e pagando con l’esilio forzato.

Dal 1295 – come detto – Dante si dedica anima e corpo alla politica partecipando a una serie di organismi via via più importanti fino a diventare Priore per due mesi alla metà dell’anno 1300.

E‘ necessario aprire una breve parentesi. Soprattutto è necessario sapere che Firenze in questo momento è una città di circa 80.000-100.000 abitanti e potremmo tranquillamente definirla la Scianghai dell’epoca (A. Barbero).

Il commercio internazionale e le banche hanno proiettato Firenze in una dimensione internazionale rispetto alla sonnolenta città negli anni in cui Dante nasce.

Gli interessi economici in città sono fortissimi così come le contrapposizioni politiche. La lotta politica non è tra guelfi e ghibellini perché i ghibellini erano stati sconfitti e scacciati da Firenze almeno trent’anni prima. La lotta politica è tutto nel partito guelfo al potere che con il tempo si era diviso tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri.

I Neri erano capitanati dalla famiglia dei Donati, rispettatissima famiglia di “magnati”, ossia di aristocratici cavalieri. I Bianchi invece sono guidati dalla potente famiglia dei Cerchi, arrivata poche generazioni prima dalla campagna, ma ora ricchissima grazie all’attività bancaria.

Non sappiamo perché Dante decida di entrare in politica a fianco dei Bianchi, forse perché sono già al potere mentre i Neri aspettano il momento giusto per rovesciare i rapporti di forza. Non sappiamo neppure i motivi che spingono un uomo che fino a quel momento si era dedicato solo alla poesia d’amore e alla bella vita a dedicarsi a tempo pieno alla politica.

Difficile immaginare interessi personali. Dante era convinto probabilmente che ai fiorentini mancasse una visione d’insieme, ossia una visione lungimirante della politica. Troppi interessi di bottega, troppo odio tra famiglie aristocratiche, troppi desideri di ricchezza tra i cittadini avevano avvelenato la politica nella sua città. Era il tempo – ci sembra di capire – di introdurre nella politica l’etica e soprattutto una visione lungimirante che si sarebbe basata sulle competenze intellettuali. Dante aveva studiato molto negli anni precedenti e si sentiva pronto per assumere responsabilità via via più grandi. Insomma un Dante ricco di ideali!

Oppure semplicemente Dante si sentiva fiorentino fino al midollo e voleva dare il meglio di se stesso alla sua città.

Alla fine sarà sconfitto pesantemente ma per circa sei-sette anni cercò di portare avanti la sua “utopia”.

Il culmine dell’attività politica lo raggiunse tra il giugno e l’agosto dell’anno 1300 quando diventò Priore, ossia fece parte di un ristrettissimo organismo che avrebbe preso le decisioni più importanti.

I Priori erano sei e rimanevano in carica due mesi. Ma in quei due mesi successe di tutto a Firenze perchè le tensioni tra Bianchi e Neri giunsero al culmine: scontri di piazza con uomini armati da una parte e dall’altra, aspre polemiche perché il governo è accusato di operare solo a favore di una parte – ossia i Bianchi – e intanto trama nell’ombra il potente Bonifacio VIII che vorrebbe al potere i suoi amici banchieri che erano tutti o quasi raccolti sotto l’insegna dei Neri.

La decisione più dolorosa che Dante dovette prendere in quei due mesi di priorato fu la cacciata dalla città dei capi dei Bianchi e dei Neri in seguito a uno scontro armato. Tra gli esiliati ci fu anche “lo mio primo amico”, Guido Cavalcanti, che poche settimane dopo morì a Sarzana probabilmente di malaria. Grave turbamento in Dante l’idea di essere stato proprio lui il responsabile della morte di Guido.

La sitazione precipita un anno dopo quando entra in città l’esercito del fratello del re di Francia mandato a Firenze dallo stesso Bonifacio VIII. Siamo nel novembre del 1301.

In quei giorni i Neri attuano un colpo di Stato, prendono con la forza il potere, ammazzano un bel po’ di Bianchi e distruggono le loro case. Buon per Dante che non era a Firenze ma a Roma nell’estremo tentativo, rivelatosi inutile, di indurre il Papa a non favorire i Neri.

Con la presa del potere dei Neri Dante dovette tenersi alla larga dalla sua città, soprattutto quando – all’inizio del 1302 – fu condannato a morte per “baratteria”, che nel nostro linguaggio vuol dire corruzione, peculato, storno di denaro pubblico… insomma una parte della politica di oggi.

Quindi Dante corrotto come alcuni politici nostri contemporanei? E’ molto difficile immaginare un Dante che si era riempito le tasche di denaro pubblico. Ma chissà quante decisioni contrarie alla sua morale fu costretto a prendere durante i due mesi del priorato e quando faceva parte di vari organismi! Appalti a favore degli amici dei Bianchi, nomine negli organismi più importanti dei soliti amici degli amici, favoritismi, denaro pubblico stornato a favore del suo partito… Del resto Andreotti diceva che la “politica è una cosa sporca e ci si sporca le mani”. E ciò è valido soprattutto per la Firenze dell’epoca.

Alla fine Dante pagò in prima persona perché con l’esilio perse tutto: la casa, i cavalli, i vestiti, i libri, tutto ciò che gli apparteneva. La casa fu saccheggiata, fu costretto ad allontanarsi dalla moglie e dai cinque figli ancora piccoli.

Che gli anni della sua immersione nella politica fossero anni difficilissimi per Dante lo sappiamo semplicemente aprendo la “Commedia”.

In quale anno è collocato il suo viaggio nei tre regni oltremondani? Il 1300. In questo anno Dante è tra i Priori e quindi al vertice della politica attiva.

Quando scrive: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai in una selva oscura / chè la diritta via era smarrita” sta parlando proprio di se stesso. Ha 35 anni. E’ nel mezzo del “cammin di nostra vita” (da un passo della Bibbia l’uomo vive 70 anni) e nella “selva oscura” c’è proprio lui che sta perdendo l’anima a causa di quanto sta vivendo in quei mesi.

Durante gli anni dell’esilio avrà modo e tempo di riflettere sulla sua esperienza a Firenze e a cambiare radicalmente la sua visione della politica.

Nel “Convivio”, nella “Commedia” e soprattutto nel “De Monarchia” Dante individua quale male che corrode sempre più la vita politica in Italia la libertà delle città, ossia l’autonomia delle città italiane.

L’Italia del centro-nord è formata da un pulviscolo di grandi, medie e piccole città-stato che difendono la loro libertà con i denti provocando guerre, tensioni, lacerazioni, divisioni tra città e città. Firenze contro Arezzo, Firenze contro Pisa, Pistoia, Siena per rimanere solo in Toscana e quando non c’erano guerre esterne c’era spazio per le divisioni interne nelle singole città tra guelfi e ghibellini. E se i guelfi o i ghibellini erano stati sconfitti, le divisioni politiche percorrevano lo stesso partito al potere, come a Firenze tra Bianchi e Neri.

Il Dante dell’esilio e quindi della “Commedia” si pone una domanda fondamentale. Come si poteva superare questo stato di guerra perpetuo?

Risposta: ridando al potere imperiale germanico il suo ruolo di supremo arbitro nelle contese europee e italiane, in particolare riducendo le pretese della Chiesa di Roma che ambiva al contrario a porsi come la prima potenza politica nell’Europa del suo tempo.

L’imperatore germanico – secondo Dante – avrebbe dovuto scendere nel “giardin dell’impero”, ossia in Italia, e riportare con le buone o con le cattive la pace tra le mura delle città e tra le città vicine mentre il Papa avrebbe dovuto pensare solo alla salvezza delle anime invece di fare politica e le guerre come un sovrano qualunque.

Non è il momento per chiedersi quanto fosse attuabile o meno questa prospettiva. E’ più importante sottolineare che Dante durante l’esilio cambia completamente il suo orientamento politico.

Se a Firenze quando faceva politica era un forte sostenitore delle libertà cittadine e in particolare di Firenze contro ogni ingerenza esterna, Papa o Impero, ora invece auspica un forte potere imperiale che sappia tenere a bada le singole città e spegnere quel desiderio smodato di ricchezza che provocava solo contrapposizioni violente tra ricchi e meno ricchi un po’ in tutte le città italiane avvelenando anche la politica della Chiesa romana.

E’ un ribaltamento di giudizio che è necessario tenere in considerazione: la libertà, l’autonomia politica di Firenze e delle altre città italiane è un male. Solo un forte potere esteso a gran parte dell’Europa farà cessare i particolarismi.

Anche in questo caso le sue speranze saranno deluse perché il potere imperiale germanico (la spedizione di Enrico VII in Italia) non sarà in grado di attuare negli stessi anni dell’esilio quel grandioso progetto di pacificazione che Dante sognava.

Potremmo dire in sintesi che Dante fu pesantemente sconfitto dalla politica e dalla politica ebbe solamente amarissime delusioni. A noi però ha lasciato la “Commedia” e molti spunti di riflessione.