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Carlo Borsani: fascista scomodo

“Critone gli chiuse la bocca e gli occhi.

A te chi ti ha chiuso gli occhi, Carlo

Franca Borsani, moglie di Carlo

Non è facile parlare di Carlo Borsani nonostante la morte avvenuta sessantanove anni fa il 29 aprile del 1945, fucilato a Piazzale Susa a Milano da un gruppo di partigiani nelle concitate giornate della Liberazione.

Nell’estrema destra prevale un’interpretazione eroicistica della sua vita, a sinistra un ostracismo che impedisce di comprendere la sua figura. Due opposti estremismi dove il discorso storico annega nelle nebbie dell’ideologia militante.

Sono convinto che chi fa storia deve imporsi una sorta di abito mentale alieno da ogni schieramento partitico e ideologico (“sine ira et studio”). Non è facile ma bisogna provarci.

Le mie parole devono intendersi solo come un modesto (e lacunoso) contributo a far uscire Carlo Borsani da quella sorta di cono d’ombra in cui è precipitato dal momento della sua morte a oggi. Da parte mia nessun revisionismo storico, nessun “pansismo” d’accatto, nessuna formula di parificazione tra saloini e partigiani: solo il desiderio di comprendere meglio un momento particolare della nostra storia attraverso la vicenda di un concittadino per certi versi più vittima che carnefice.

Perché parlare di Borsani?

Tre motivi. Prima di tutto perché è nato a Legnano, seconda cosa (se vogliamo più importante) perché ricoprì un ruolo importante nella Repubblica sociale italiana nata subito dopo la dissoluzione dello Stato italiano con l’8 settembre ’43 (infatti non è infrequente trovare il nome di Carlo Borsani nelle cronache dell’Italia di Salò oppure nei studi dei maggiori storici che si sono occupati di questi anni). Terzo motivo: su di lui si sa davvero poco e quel poco è storpiato da opposte vulgate.

Borsani nacque nel 1917 a Legnano, figlio di un operaio della Tosi, Raffaele, di fede socialista. Il padre ricoprì anche la carica di segretario del PSI legnanese.

Nonostante le difficoltà familiari Borsani studiò al liceo e poi si iscrisse a giurisprudenza ma dovette fare i conti con l’arruolamento militare. Diventò sottotenente e combattè inizialmente in Francia e poi in Grecia.

Nella notte tra l’8 e il 9 marzo 1941 Borsani fu ferito sul fronte greco inizialmente da una scarica di mitragliatrice mentre andava all’attacco con il suo reparto. Mentre era portato dai compagni in luogo sicuro, lontano dai combattimenti, Borsani fu colpito gravemente da una bomba da mortaio e fu creduto morto:“Borsani ha il tronco, la testa, le braccia, le gambe dilaniate da ventisei ferite. La granata gli ha aperto la scatola cranica e numerose schegge sono penetrate nel cervello” (da una relazione militare). Riuscì a riprendersi miracolosamente ma perse la vista. Inizialmente ebbe la medaglia d’argento poi commutata in medaglia d’oro al valore.

A Milano, al ritorno dal fronte, si iscrisse alla Facoltà di Lettere della Statale, si sposò e iniziò dall’ottobre del ’42 una propaganda patriottica nelle scuole all’interno dell’Associazione mutilati, per raccolta fondi, con conferenze e commemorazioni. In breve conobbe i vertici del regime.

Il “tradimento” dell’8 settembre ‘43

La vera svolta politica nella sua vita avvenne quando ascoltò per radio l’annuncio dell’armistizio da parte del maresciallo Badoglio e decise in quel momento di consacrare la sua vita alla patria tradita dal re e dalla nuova classe dirigente fuggita a Brindisi sotto la protezione alleata.

Dal suo punto di vista la svolta dell’8 settembre era un affronto ai tanti morti italiani che avevano combattuto fino all’estremo sacrificio negli anni precedenti.

Da quel momento seguì Mussolini, di cui divenne un fervido ammiratore, e prestò la sua figura di grande mutilato per incitare la patria in armi a superare i difficili anni del 1944-45. Furono innumerevoli infatti i discorsi da lui tenuti in numerose città italiane, spesso alla presenza delle massime autorità germaniche e di Salò.

Il progetto di “pacificazione” tra gli italiani

Ma non c’è solo questa attività nella sua vita, che lui affronta con grande entusiasmo, sempre seguito dalla moglie. Carlo Borsani jr. (Carlo Borsani. Una vita per un sogno. 1917-1945, Mursia 1995) attribuisce a lui un coerente disegno volto a “pacificare gli italiani” con appelli a ritrovarsi sul comune terreno della patria in pericolo superando schieramenti politici e partitici.

In sostanza era un chiaro invito ai tanti giovani renitenti alla leva che si nascondevano per evitare l’arruolamento nelle milizie fasciste ma soprattutto era un tentativo di giungere a un accordo con i settori moderati della Resistenza con l’esclusione dei soli comunisti.

La tribuna da cui lanciare questi appelli all’unità fu il giornale “La Repubblica Fascista” da lui fondato, con l’avallo di Mussolini, nel corso del gennaio 1944.

Sin dal primo articolo, “L’ora dello spirito”, Borsani si presenta come fascista anomalo:“La redazione intende accettare le idee di tutti gli onesti e di tutti coloro che vogliono lavorare per il fine supremo della giustizia sociale, senza chiedere loro alcuna tessera, con il rispetto di tutte le opinioni”.

Questo tentativo di legare gli italiani e stemperare una parte della Resistenza ci fu realmente ed è documentata nella ricerca di Renzo De Felice. Per esempio non c’è dubbio che il filosofo Giovanni Gentile, prima dell’assassinio a opera del GAP di Firenze, si muovesse nell’ottica della “conciliazione degli italiani”.

Il fronte della “pacificazione” non era esiguo: contava su esponenti di primo piano di Salò:“A Bologna, elementi fascisti, e in particolare Giorgio Pini, direttore del risorto “Resto del Carlino”, e Goffredo Coppola, rettore dell’università, si espressero apertamente in favore di un fronte nazionale. Movimenti simili sorsero a Torino e Savona, a Verona intorno al giornale di Castelletti, l’”Arena” e a Milano attorno alla figura del cieco di guerra Carlo Borsani” (Frederick William Deakin, “Storia della repubblica di Salò”, Einaudi, 1963, p. 574).

L’ambiguo ruolo di Mussolini

Secondo Carlo Borsani jr. anche Mussolini giocò fino all’ultimo la carta della pacificazione nel tentativo di allargare l’area del consenso alla traballante repubblica sociale.

Difficile capire quanto Mussolini credette in questa soluzione. Probabilmente, stretto tra gli estremisti (Farinacci e Pavolini) e i “pacificatori”, cercò di stare nel mezzo per manovrare gli uni e gli altri. Pensando a Piazzale Loreto possiamo capire quale fu il risultato che ottenne.

Non dobbiamo dimenticare soprattutto il ruolo dei tedeschi che, oltre a limitare fortemente l’autonomia di Salò, erano decisamente contrari a ogni prospettiva che non fosse la guerra a ogni forma di Resistenza in Italia. Anche gli Alleati non vedevano di buon occhio ogni tentativo di compromesso in Italia.

Insomma, l’idea di Borsani si scontrò con le profonde spaccature che la guerra aveva creato in Italia fino a scomparire inghiottita nel baratro in cui stava precipitando l’Italia.

“La pacificazione nazionale: un’idea improbabile come soluzione, in quello scorcio del biennio tragico, improponibile come obiettivo. Ma qualcuno, non solo tra i fascisti ma anche tra gli antifascisti, invece volle crederci e la perseguì fin dove gli fu possibile. Lo scopo era di non rompere il tessuto morale del paese e di evitare o contenere la guerra civile”. (Renzo De Felice, “Rosso e Nero”, Baldini e Castoldi 1995, pp. 122-123).

Ma prima di vedere la sconfitta delle sue idee Borsani dovette subire gli strali di Farinacci nella primavera del ’44 il quale lo accusò di essere un “falso fascista” e di voler portare nel partito i “rifiuti dell’antifascismo”. Anche Mussolini prese posizione contro Borsani (a favore quindi dei “falchi” Pavolini e Farinacci) affermando durante una riunione che “Borsani era un falso fascista” (giudizio riportato poi da Giovanni Dolfin, segretario del duce).

Alla fine il ministro Mezzasoma lo rimosse dalla direzione de “La Repubblica Fascista” dopo un suo articolo dal titolo inequivocabile: “Per incontrarci” (10 luglio ’44).

Borsani, “fascista buono”?

Bontà o cattiveria non sono categorie storiografiche di una qualche concretezza. Diciamo che Borsani fu una delle tante anime di Salò (non la maggioritaria) in uno dei momenti più convulsi e contraddittori di tutta la storia italiana.

Il suo torto fu quello di credere fino al giorno della sua fucilazione a Mussolini e alle sue capacità di mediazione. Soprattutto credette in modo acritico a quelle confuse tendenze socializzanti tanto propagandate da Salò che a volte gli facevano usare la parola “socialismo” pensando all’Italia vittoriosa dopo la guerra.

La socializzazione delle imprese non fu altro che fumo negli occhi, un maldesto tentativo di allargare l’area del consenso integrando aree politiche del movimento operaio. Ma gli operai riconobbero l’inganno e risposero a ogni “socialismo fascista” con gli scioperi della primavera del ’44 e con lo sciopero insurrezionale alla vigilia del 25 Aprile.

Gli ultimi giorni

Carlo Borsani rimase a Milano anche quando Mussolini fuggì verso la Svizzera il 25 aprile del ’45. Alcuni camerati lo scongiurarono di partire da Milano perché il suo era un nome troppo conosciuto.

Rifiutò ogni volta la possibile fuga rimanendo fedele a se stesso:“No, non è vero che tutto è finito: dobbiamo ancora morire”.

Il 26 aprile trovò rifugio all’Istituto Oftalmico di via Commenda dove da anni era in cura a causa della sua cecità e lì venne individuato da alcuni partigiani. Dopo un processo sommario, di cui non c’è traccia documentale, fu portato a Piazzale Susa e lì fucilato il 29 aprile. Il corpo venne poi messo su un carretto e portato in giro per qualche ora.

Forse il miglior giudizio su Borsani è stato dato Ernesto G. Laura (che il figlio presenta come antifascista):“Borsani si schierò con quanti avevano inteso aderire alla RSI in nome di una patria senza aggettivi, senza per questo voler condividere la resurrezione del fascismo, di quanti, per uno spirito patriottico sincero anche se malinteso, si opponevano al collaborazionismo dell’Italia del Sud invasa senza accorgersi del collaborazionismo dell’Italia invasa in cui si trovavano. Maturato dalla cecità e sorretto da una genuina fede cristiana, Borsani aveva di Salò un’idea astratta, la sentiva come l’emblema di un Paese stretto d’assedio e che andava difeso. Intransigente, di conseguenza, fu contro gli avventurieri, i profittatori, i torturatori, i sanguinari. I suoi numerosi editoriali dove mai compariva la parola fascismo, erano imperniati su questi motivi: patria, dovere, onore militare, dolore per le sofferenze della guerra. Non c’erano parole d’odio per il nemico né per la Resistenza. C’era fiducia nel dialogo con i non fascisti” (citato da Carlo Borsani jr. p. 83).

Come giudicare Carlo Borsani?

Operazione difficile perché ci muoviamo su un terreno minato.

Non fu un assassino sicuramente, non fece del male a nessuno; rispetto ai torturatori e agli stupratori di Salò c’è una grande distanza. Non approfittò mai della sua posizione per fare “affari”. Ma i suoi continui appelli all’alleanza italo-tedesca, l’esaltazione di Mussolini in quanto “Uomo e Duce”, il fervido patriottismo dove i valori della patria si mescolavano con l’esaltazione del fascismo repubblicano dovevano fare di Borsani un obiettivo dei partigiani. E così fu.

La Patria che lui amava di genuino fervore non era la “patria” di Salò dove tedeschi, fascisti fanatici, avventurieri, borsaneristi e industriali sfruttatori stavano conducendo il paese alla sconfitta e all’umiliazione. Non capì l’equivoco in cui era caduto.

Forse la sua cifra più vera fu una profonda ingenuità impolitica che gli impedì di vedere con la mente gli orrori della guerra tedesca, la vera natura di Mussolini e dei suoi sodali, il carattere fumoso della socializzazione, il baratro che si apriva ogni giorno sempre di più davanti ai suoi piedi.

Ma Borsani non era uomo di compromessi o mezze misure. Rimase al suo posto consapevole di quanto gli sarebbe capitato.

Come ricordarlo oggi?

Anche qui il discorso diventa difficile. Oggi che il fascismo è morto e sepolto (almeno quello del Ventennio) possiamo riconoscere in Borsani la tenacia delle sue idee (che però la storia ha squalificato per sempre), ma anche la forza del suo carattere, la sua profonda onestà morale e il disprezzo per ogni forma di rischio personale.

Chissà… se non ci fosse stata la guerra Borsani sarebbe stato un magnifico educatore, un uomo di grande cultura (amava molto i classici) e un poeta capace di scrivere versi simili.

“E’ una lacrima il mondo, che pietoso

l’infinito raccoglie nel suo nulla”

Purtroppo le cose andarono diversamente.

Non è facile oggi per chi volesse farsi un’idea di Carlo Borsani leggere il testo che il figlio ha pubblicato nel 1995. Nell’intero Consorzio interbibliotecario (CSBNO) ci sono solo due copie del libro di Carlo Borsani jr. È un caso? Nel catalogo Mursia il libro di Borsani jr. è sempre disponibile.

– http://webopac.csbno.net/opac/detail/view/csbno:catalog:56838

http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Borsani

– Un ampio ritratto di Carlo Borsani appare in Giorgio Vecchio, Nicoletta Bigatti e Alberto Centinaio, “Giorni di guerra. Legnano 1939-1945”, E Ipso 2009, pp. 168-174

– Adunata Mutilati d’Italia con Carlo Borsani (1944)

http://www.youtube.com/watch?v=UBtajAqDpAA

 

– A Legnano è stato dedicato a Carlo Borsani il piazzale di fronte all’ingresso del Liceo Galilei