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L’incendio del Narodni Dom a Trieste (13 luglio 1920)

L’incendio del Narodni Dom a Trieste (13 luglio 1920)

La prima azione dello squadrismo fascista in Italia

Perché da alcuni giorni si parla molto nei media di questo edificio distrutto dallo squadrismo giuliano?

Prima di tutto perché esattamente cento anni dopo (sempre il 13 luglio) Mattarella e il presidente sloveno Pahor hanno presenziato a una cerimonia all’interno della quale l’edificio è stato restituito alla comunità slovena di Trieste. Seconda cosa perché sul piano storico quel giorno il fascismo triestino manifestava in modo eclatante la sua forza distruggendo il simbolo della presenza slovena nel capoluogo giuliano, un simbolo molto odiato dalla controparte nazionalista e fascista.

Prendendo come pretesto l’assassinio di due marinai italiani a Spalato due giorni prima, Francesco Giunta (il “duce” del fascismo giuliano) convocava in Piazza dell’Unità il 13 luglio una grande manifestazione di protesta.

La morte durante il comizio di un italiano (episodio poco chiaro ma l’intera vicenda è ricca di episodi oscuri) trascina una folta colonna di fascisti verso l’odiatissimo Narodni Dom, sede delle principali attività economiche, politiche e culturali della comunità slovena a Trieste.

Mentre i fascisti stringono d’assedio l’edificio la ricostruzione dei fatti diviene confusa. Alcuni spari dalle finestre superiori, forse una bomba lanciata sulla folla, spingono i fascisti a penetrare nell’edificio e con latte di benzina a incendiare i mobili accatastati a pian terreno.

I pompieri non possono intervenire perché bloccati dai fascisti; da una caserma vicinissima i soldati guardano ciò che sta accadendo ma non arriva l’ordine di riportare la calma; polizia e carabinieri che dovrebbero difendere l’ordine pubblico danno con i fascisti l’assalto al palazzo.

Come detto non sapremo mai la vera dinamica dei fatti. Secondo i fascisti l’edificio è una centrale terroristica dove sono accatastate armi e da dove partono gli atti di intimidazione verso gli italiani della Venezia Giulia. Secondo gli sloveni è invece la sede delle maggiori attività economiche (c’era una banca), editoriali (una casa editrice), professionali e culturali slovene a Trieste.

Il problema maggiore è che nella ex-Trieste multietnica ha preso il sopravvento il nazionalismo italiano, venato da una forte caratterizzazione razzista, per cui la presenza slava in città non è assolutamente accettata perché entra in concorrenza con analoghe attività economiche e professionali della maggioranza italiana.

Il primo dopoguerra accentua le tensioni nazionalistiche in tutta Europa. Per quanto riguarda l’Italia è nell’Alto Adige ora italiano e nella Venezia Giulia dove le contrapposizioni nazionali trovano il terreno adatto per il loro sviluppo.

Dopo la distruzione della Casa del Popolo sloveno il fascismo sarà protagonista di un vero e proprio progetto al confine orientale d’Italia che si chiama “Italianizzazione forzata” degli slavi (sloveni e croati) con una politica che nell’arco del Ventennio creò molto odio verso tutto quello che appariva italiano.

Fu una politica dissennata che si concentrò soprattutto negando l’identità slava attraverso la proibizione di parlare altra lingua che non l’italiano e con tante altre angherie che creeranno un solco profondo tra le due comunità.

La tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo giuliano-dalmata dalle terre dell’Alto Adriatico saranno le conseguenze più disastrose.

Giancarlo Restelli

Istituto Bernocchi di Legnano