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La Resistenza tedesca, 1933-1945

La Resistenza tedesca

Dall’affermazione del nazismo alla fine della guerra

È un tema sicuramente complesso e in Italia quasi del tutto sconosciuto. Il fatto che in Germania non si arrivò mai a una resistenza con carattere insurrezionale simile a molti paesi dominati dal nazifascismo ha fatto mettere in dubbio che sia mai esistita una Resistenza tedesca al nazismo.

Invece è una vicenda che merita di essere raccontata. È necessario far emergere dalle “nebbie” della storia questi “tedeschi sconosciuti”, anche perché i tedeschi -sono stati i primi a resistere alla peste bruna-” (Gerald Sandoz, 1980).

Anticipando la conclusione potrei dire che la Germania non conobbe nulla di paragonabile all’8 settembre del ’43 quando in Italia, all’annuncio dell’armistizio, ci fu lo sgretolamento dell’esercito, la fuga del re e Badoglio e poi l’occupazione tedesca del Centro-Nord e l’avanzata americana nel Sud. Avvenimenti traumatici che portarono molti ex militari dell’esercito italiano a dare il via alla Resistenza prendendo la strada delle montagne. Poi la Resistenza italiana si rafforzò nel corso del ’44 attirando giovani, operai, renitenti alla leva, fino a diventare militarmente rilevante nella primavera del ’45.

In Germania non ci fu nulla di simile. Il paese tenne fino alla fine quando le armate americane e sovietiche si incontrarono lungo l’Elba e si strinsero la mano.

La presunta mancanza di una Resistenza tedesca al nazismo è servita dopo la guerra per avvalorare l’idea di una nazione fanatizzata dal nazismo, colpevole delle violenze compiute dall’esercito e dalle SS, una popolazione quindi da guardare con sospetto e da soggiogare politicamente con la divisione della Germania in quattro zone d’influenza.

In realtà ci fu una Resistenza al nazismo che vide in prima linea la classe operaia, la quale combattè una battaglia durissima e venne sconfitta.

Nel momento della presa del potere da parte di Hitler (30 gennaio ’33) la sinistra tedesca è molto forte elettoralmente e nei sindacati. Il KPD era nato nel 1919 mentre la SPD poteva vantare una lunga storia iniziata nel 1875.

La repressione nazista ha fin dai primi giorni dalla presa del potere un carattere particolarmente violento nei confronti soprattutto di comunisti e socialdemocratici.

Le violenze del partito nazista ai danni degli oppositori erano già iniziate anni prima, soprattutto quando con la crisi del ’29 in Germania cresce esponenzialmente la destra tedesca e in particolare il partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi.

La differenza ora è che i nazisti controllano lo Stato e possono agire dall’interno anche cambiando le leggi oppure sospendendo ogni garanzia costituzionale.

Scrive Gobbels nel suo diario: “Ormai è facile condurre la lotta, poiché possiamo avere dalla nostra parte tutti i mezzi dello Stato. Abbiamo a disposizione radio e stampa. Daremo un capolavoro di agitazione. Questa volta naturalmente non ci manca neppure il denaro”.

Se questa non è Resistenza! Qualche dato

I dati fanno intuire una terribile repressione: nel ’33 i tribunali pronunciarono 40mila condanne per “crimini o delitti politici”, nel ’34 sono 70mila; nel ’35, 85mila; nel ’36, 90mila. Dal ’33 al ’38, 345mila tedeschi subirono condanne come oppositori politici. All’inizio della guerra sono 300mila i tedeschi ancora in carcere.

Dal ’38 al 45 gli oppositori politici tedeschi assassinati per motivi politici furono 32.500, principalmente nei Kz. Solo nel ’44 furono uccise per attività contro lo Stato 5768 persone. Dopo il 20 luglio vi furono 7000 arrestati con 5000 esecuzioni capitali. Se pensiamo che la Resistenza italiana ebbe circa 44mila morti, in Germania non siamo distanti da questo numero.

Secondo altri studi furono 700mila i tedeschi che passarono nelle prigioni e nei Kz durante tutto il periodo del nazismo. La Germania nel ’39 aveva 65 milioni di abitanti. Quindi un tedesco su 100 ebbe a che fare con la giustizia tedesca per motivi politici di cui molti finirono nelle prigioni o nei Kz. Se questa non è Resistenza!

L’incendio del Reichstag

Il primo atto della repressione nazista dopo la presa del potere fu l’incendio del Reichstag (28 febbraio ‘33). Fu sfruttato abilmente dalla dirigenza nazista per creare un clima di paura e intervenire duramente. L’incendio doveva servire per legalizzare le violenze. Sono arrestate subito in tutta la Germania 12mila persone, 1500 nella sola Berlino.

Alla fine di febbraio il Partito comunista era praticamente fuori legge: non si contavano le irruzioni della polizia o delle SA nelle sedi, le violenze, l’interdizione alla stampa, l’arresto dei militanti… La “Rote Fahne”, quotidiano comunista, cessa le pubblicazioni il 26 febbraio.

Lo smantellamento delle organizzazioni rosse apparteneva all’ideologia nazista ma era anche una promessa che Hitler aveva fatto ai magnati dell’industria per ottenere l’appoggio negli anni precedenti.

Con straordinaria rapidità il 28 febbraio un’ordinanza gettava le basi della dittatura. Approfittando del fatto che la “liberale” Costituzione di Weimar permetteva forti limitazioni alle libertà personali in casi particolari di ordine pubblico (art. 48), l’ordinanza abrogava una serie di articoli della Costituzione legalizzando così la dittatura.

Con questi strumenti la magistratura ordinaria è messa in disparte ed è possibile governare con strumenti eccezionali quali la Schutzhalf, ossia la “detenzione protettiva o di prevenzione”, strumento con il quale era possibile arrestare e detenere persone anche se non c’era nulla a loro carico (arresti arbitrari).

“Bisognava prevenire con un arresto preventivo”, disse poi Goering. Venne reintrodotta anche la pena di morte.

La repubblica di Weimar cessa di vivere.

Con le elezioni del 5 marzo ’33 Hitler si aspettava la maggioranza assoluta invece arrivò solo al 43,9%. Con l’apporto di un partito di destra il partito nazionalsocialista dei lavoratori arriva al 52% mentre le sinistre totalizzavano 1/3 dell’elettorato: il 18% i socialdemocratici e il 12% i comunisti. Non era poco!.

Tra l’incendio del parlamento e le elezioni migliaia di funzionari dei partiti operai andavano incontro alla più feroce repressione. Venne arrestato tra gli altri il segretario del KPD, Ernst Thalmann (morì poi in un campo di concentramento) con 4mila esponenti del partito comunista tedesco.

Le elezioni del 12 novembre ’33 furono in una lista unica e il NSDAP ottenne il 92% dei suffragi. Però c’erano ancora 3.400.000 voti contrari e 2 milioni di astenuti.

I “campi selvaggi”

Non potendo chiudere tutti gli arrestati in prigione perché non avevano avuto alcuna condanna, nascono i campi di concentramento. Sono aperti così quasi dal nulla una settantina di campi, tra cui Dachau (5mila posti) il 22 marzo dopo una conferenza stampa di Himmler a Monaco di Baviera.

Lo scopo è terroristico: gli oppositori devono sapere che esistono lager nei quali è abolita ogni garanzia giuridica.

Alla data del 31 luglio ’33 nei campi ci sono 27mila persone di cui 15mila nella sola Prussia, sottoposti all’autorità delle SA; 311 sono ex parlamentari, 45 ex membri del parlamento erano stati assassinati.

Una buona parte degli arrestati verrà poi rapidamente rilasciata ma dopo aver subito e visto violenze indicibili. Ritorneranno alla vita normale segnati per sempre.

Nel ’34 i campi sono quattro, tra cui Dachau. Ormai non servono più. La battaglia con i rossi è stata vinta.

Nasce la dittatura

Il 23 marzo Hitler poteva annunciare ufficialmente la nascita della dittatura. Infatti una legge del 24 marzo conferiva “pieni poteri” al governo, ossia la podestà legislativa ordinaria e straordinaria. Ormai il parlamento ha un ruolo puramente formale. “Ora – annota Gobbels – siamo i padroni del Reich anche a norma della Costituzione”.

La repressione colpì immediatamente i centri del movimento operaio scardinando il frutto di decenni di lavoro ma non potè impedire il sussistere di gruppi isolati, di singoli attivisti con i quali fu possibile conservare l’embrione di una organizzazione clandestina.

Non si arrivò però mai a un’unica centrale clandestina capace di coordinare le varie organizzazioni. Rimase molto attiva l’opposizione nei luoghi di lavoro. Solo il partito comunista riuscì a mantenere una propria organizzazione all’interno, non l’Spd messa fuori legge nel maggio del ’33 al pari del sindacato di riferimento.

La politica anti operaia del nazismo

Nei primi due anni la resistenza dei lavoratori si espresse a livello sindacale con brevi scioperi a causa della politica di riduzione del salario. Le autorità naziste dovettero prendere atto di un dissenso vero e proprio che si espresse anche nelle elezioni dei fiduciari aziendali nel ’34 e ’35 caratterizzate da una forte astensione e nell’elezione di membri contrari al nazismo. Lo scacco fu così evidente che non ci furono più altre elezioni nelle fabbriche.

– Fino al ’37 ci fu un fortissimo aumento della produttività in Germania pagato con la compressione dei salari e ristrutturazioni nelle fabbriche con nuovi strumenti di produzione (macchine e nuova organizzazione, cottimo, catena di montaggio, cronometro…). La disoccupazione è interamente assorbita.

– Dal ’37 in avanti ci furono carenze di manodopera, forti scioperi, diffusa conflittualità e forme di resistenza al lavoro. Gli operai ottennero aumenti salariali. Tutto questo nonostante la presenza della Gestapo e la minaccia dell’internamento nei Kz.

L’opposizione dei comunisti

Non c’è dubbio che l’opposizione più consistente al nazismo negli anni Trenta venne dal movimento operaio tedesco all’interno delle fabbriche.

– Il più importante gruppo anteguerra fu la “Rote Kapelle” (l’”Orchestra rossa”) nato dalla fusione di due gruppi: il primo attivo fino al ’36 fu quello di Harro Schulze-Boysen, comunista e ufficiale dell’aeronautica. Nel ’39 il gruppo si fuse con quello di Arvid Harnack, un funzionario del ministero dell’Economia. Ad esso si legarono intellettuali, funzionari statali, gruppi di operai. Il gruppo diffuse in diverse lingue “Die innere Front” (di ìnnere front). L’obiettivo della Rote Kapelle era il “fronte nazionale” (largo schieramento antifascista).

Per Enzo Collotti la “Rote Kapelle” fu il più inciso e articolato movimento di resistenza al nazismo però è necessario dire che fu al servizio dello stalinismo il quale agiva a vantaggio dell’Unione Sovietica e non del movimento operaio tedesco. La Rote Kapelle agiva con il disfattismo tra i soldati al fronte e trafugando piani militari importanti. Il 30 agosto ’42 la Gestapo arrestò Schulze-Boysen e poi tutto il gruppo. A dicembre furono eseguite più di 60 condanne a morte e il gruppo fu dissolto.

– Altro gruppo importante fu quello capeggiato dall’operaio berlinese Robert Uhrig. Nel ’38 forma un gruppo di lavoratori in parte già attivi in precedenza. Fino allo smantellamento avvenuto nel ’42, l’organizzazione di Uhrig è la più importante a Berlino.

Nel ’42 l’organizzazione fu distrutta dalla Gestapo. Uhrig vene giustiziato due anni dopo. Tutti questi movimenti vennero smantellati a causa della presenza di spie.

Uhrig aveva cercato alla fine degli anni Trenta di riorganizzare il Kpd lacerato dalla repressione della Gestapo ma anche dalla espulsione degli elementi anti stalinisti al tempo dei “processi di Mosca” e delle “purghe staliniane”.

Non è azzardato dire che il Kpd subì due controrivoluzioni: da una parte il nazismo e dall’altra lo stalinismo operano per fini opposti ma in una sostanziale continuità di obiettivi.

– Un altro gruppo in rapporti con Uhrig fu quello di Beppo Roemer, ex ufficiale dei corpi franchi passato poi al comunismo. La repressione costò un centinaio di condanne a morte.

– Altro gruppo fu quello di Georg Lechleiter (Gheorg Laischlaitar), operante a Mannheim. Sempre nel ’42 furono condannati a morte i principali esponenti.

Costante in tutti questi gruppi era l’appello a riconoscere nei lavoratori coatti o prigionieri di guerra in germania un comparto della classe proletaria europea: “Gli operai stranieri sono oggi in Germania un fattore della massima importanza politica. E’ dovere indubitabile degli operai tedeschi collaborare in ogni modo con loro e se necessario seguirne la guida. Le cose stanno marciando, gli operai tedeschi devono spingerle avanti” (volantino redatto in tedesco e in polacco).

– Altro gruppo fu quello di alcuni giovani ebrei comunisti capeggiati dal costruttore meccanico Herbert Baum e composto da molti lavoratori delle fabbriche Siemens. Baum non si limitò alla propaganda ma agì anche a livello terroristico con alcuni attentati. Nel ’42 Baum venne fucilato con altri 22 membri del gruppo.

I tentativi da parte dell’emigrazione politica di penetrare in Germania furono frustrati dalla Gestapo. L’opposizione fu attuata quindi solo da organizzazioni preesistenti già operanti nel corso degli anni Trenta nelle maggiori città quali Berlino, Amburgo, Lispia.

Le ripercussioni dell’attentato del 20 luglio nel movimento operaio

Gli ultimi gruppi operanti furono colpiti in seguito all’attentato del 20 luglio. La più vecchia di questi organizzazioni operava ad Amburgo ed era guidato dagli operai Bastlein, Jacob e Abshagen (Absanghen), tutti e tre usciti dal lager di Sachsenhausen. Il loro scopo era formare cellule aziendali nelle maestranze dei cantieri navali e dell’industria siderurgica. Il gruppo cercò anche di dotarsi di un apparato militare.

Il gruppo ebbe contatti anche con altre città tra cui quello di Schulze-Boysen. Il loro motto era “La sconfitta di Hitler, non la nostra sconfitta, ma la nostra vittoria”. Questo gruppo non era sicuramente diretto da Mosca. Furono stroncati dalla reazione nel 1942 e il gruppo fu smantellato.

A Berlino operava il gruppo dell’operaio Anton Saefkov, deportato prima a Dachau. Dopo le repressioni del ’42 il gruppo Saefkov nel ’43-44 costituiva la più efficiente organizzazione clandestina comunista esistente (apparteneva al Kpd). Era in contatto anche con i cospiratori del 20 luglio.

In seguito il gruppo fu annientato con centinaia di condanne che attestavano l’estensione della rete clandestina da essi creata con centinaia di aderenti e collegamenti in decine di fabbriche. Altri gruppi in Turingia e Sassonia sgominati nel ’44 dopo l’attentato a Hitler.

– A Genova nella Casa dello Studente c’è una lapide che ricorda Rudolf Seiffert (Zaiffert), operaio e resistente tedesco. Operava con il gruppo Saefkow. Fu arrestato nel ’44 e ucciso nel gennaio ’45.

Le conseguenze della repressione del 20 luglio nel movimento operaio

Fu un colpo terribile quello che diverse associazioni operaie subirono dopo il 20 luglio. Così fu privata la Germania di nuclei organizzati che avrebbero potuto operare nell’imminenza della sconfitta nazista.

Il comportamento passivo degli operai tedeschi dopo il ’45 fu anche la conseguenza di questa radicale repressione.

Certo, nella sconfitta del nazismo questi gruppi non ebbero alcuna parte ma la loro presenza dimostrava che la lotta di classe non era cessata in Germania nonostante la violenza della repressione poliziesca. Nello stesso tempo la caccia fanatica ai comunisti dimostrava la natura di classe del nazismo.

Perché la classe operaia tedesca rimase passiva? La divisione di classe del nazismo

Al di là di questi gruppi coraggiosi è vero che la classe operaia tedesca rimase passiva. Una risposta potrebbe essere nel fatto che con l’imponente afflusso di manodopera deportata in Germania agli operai tedeschi furono date mansioni di sorveglianza e direzione della produzione investendo quindi l’intera classe di compiti dirigenziali che la allontanarono dal resto dei lavoratori coatti e spensero la capacità di lotta.

Quindi se la classe operaia fu poco combattiva nel suo insieme non fu solo a causa della capacità repressiva della Gestapo, anche se essa non va sottovalutata.

L’opposizione delle Chiese

Un’opposizione vera e propria al nazismo non fu mai tentata dalle due Chiese, cattolica ed evangelica. Intervennero solo talvolta per salvaguardare la loro autonomia nei confronti dello Stato nazista. In questo c’è un parallelo con il comportamento di Pio XI in Italia nei confronti del fascismo.

La pubblica protesta del vescovo cattolico di Munster, von Galen (estate del ’41), contro l’uccisione di massa dei disabili in Germania fu tra le pochissime prese di posizione contro il nazismo della Chiesa cattolica. L’opposizione non diventò mai politica ma si espresse solo sul piano spirituale (es. contro il neopaganesimo nazista).

Il Concordato del luglio 1933 rivelava più convergenze che opposizioni di principio: comuni erano l’antibolscevismo e l’interclassismo. Anche la celebre enciclica di Pio XI (“Con viva ansia”, marzo ‘37) è più anticomunista che antinazista.

L’opposizione della Chiesa quindi fu opera di singoli coraggiosi ma non della Chiesa come tale.

La chiesa protestante fu invece lacerata dal confronto con il nazismo perché al suo interno nacquero i Deutsche Christen” (doice), definiti come le “SA di Gesù Cristo” (alleanza tra croce uncinata e croce cristiana). I D. C. diventano maggioranza nel luglio del ’33 all’interno della Chiesa evangelica. Solo singoli come Karl Barth e Martin Niemoller tennero alti i valori cristiani (“Chiesa confessante”).

L’opposizione dei militari / 20 luglio ‘44

Secondo alcuni storici, soprattutto italiani, fu l’unica forma di resistenza tedesca.

Molti cospiratori del 20 luglio ’44 avevano collaborato con il regime ad alti livelli, a cominciare da borgomastro di Lipsia Carl Goerderer. Si erano staccati dal regime di fronte alla evidente sconfitta con la necessità di salvare il salvabile. Durante l’inizio del genocidio ebraico e le violenze nella campagna di Russia nessuno di loro aveva avanzato dubbi.

La loro strategia si basava sulla soppressione di Hitler quale condizione per arrivare a una coalizione con gli Alleati e combattere insieme il comune nemico bolscevico.

Del resto anche la dirigenza nazista fino all’ultimo coltivò il proposito di addivenire a un accordo con gli Alleati in funzione antisovietica. Tra i congiurati c’erano l’ex capo di stato maggiore generale Beck e l’ex ministro Schacht, “Il banchiere di Hitler”.

Bastò la notizia che il Fuherer era scampato all’attentato di von Stauffenberg per dissolvere il gruppo dei congiurati che d’altronde non aveva il sostegno della Wehrmacht.

Gli attentatori del 20 luglio agivano soprattutto per le ripercussioni della sconfitta imminente e non per particolari convinzioni morali. Di fronte al fallimento dell’attentato tornarono all’ortodossia. I loro ideali politici non arrivavano neppure a preconnizzare per la nuova Germania un governo liberal-democratico sul modello weimariano.

Limiti del movimento furono la mancanza di un capo riconosciuto e poi l’impostazione politica patriottico-nazionalista. Non rappresentavano per mentalità e passato personale un vero cambiamento politico in Germania. Sono figli dell’imperialismo tedesco e non disposti a cedere sulle conquiste ad Est.

Durante la guerra l’opposizione fu scarsamente in grado di rappresentare un’alternativa alla “guerra totale”. Esempio il circolo di Kreisau (kraisau), riunito introno a Helmuth von Moltke, si limitava a vacue discussioni sul futuro della Germania dopo la guerra.

In questi cospiratori non c’era alcun legame con le masse popolari. Le loro speranze erano per una pace separata con l’Occidente e la continuazione della guerra con l’U. Sovietica. Goerdeler per esempio era un pangermanista e quindi non voleva cedere l’Austria e i Sudeti.

Nonostante tutti questi limiti il complotto del 20 luglio fu la rete cospirativa più vasta che operò in Germania in un ambiente sociale non operaio. C’erano uomini della Wehrmacht, del circolo di Kreisau (kraisau), esponenti confessionali, i conservatori come Goerdeler, alcuni socialdemocratici. Il capo designato dopo l’attentato doveva essere Goerdeler.

La maggiore contraddizione fu agire all’interno dell’apparato di potere del nazismo con uomini che avevano fatto proprie le idee del nazismo.

C’è anche da dire che i gruppi cospiratori erano tra loro divisi politicamente, infatti quando arrivò la notizia che l’attentato era fallito l’opposizione si sciolse in un fuggi fuggi generale.

La repressione costò qualche migliaio di condanne a morte: furono assassinati il generale Beck, Goerdeler, numerosi generali, il pastore Dietrich Bonhoeffer, il conte Helmuth von Moltke, esponenti socialdemocratici. Rommel fu indotto al suicidio.

L’eco delle repressioni non minò più di tanto il morale dei soldati al fronte sostenuti da un’efficace propaganda e neppure tra la popolazione che sopportava rassegnata le conseguenze della guerra aerea. Il 20 luglio fu il primo e ultimo gesto di forza dell’opposizione. Mise in luce lo sgretolamento del regime.

La Germania fu sconfitta dall’avanzata di americani e sovietici, dalla perdita di territori importanti quali l’Ucraina (grano) e la Francia (industria) e dalla improvvisa mancanza di prigionieri di guerra da utilizzare come schiavi.

Dopo Stalingrado. La Rosa Bianca

La svolta di Stalingrado aprì gli occhi di molti tedeschi sulle conseguenze della guerra per la Germania e per l’inutile strage di giovani.

Tra i gruppi meritevoli di essere ricordati nati in questa fase c’è la Rosa Bianca. Nacque su ispirazione del prof. Kurt Huber, docente di filosofia all’università di Monaco. Gli studenti, ispirati da convinzioni etico-religiose piuttosto che da un consapevole orientamento politico, incitarono alla ribellione e poi nell’ultimo manifestino il sabotaggio e l’aperta ribellione contro il nazismo.

Il 22 febbraio 1943 furono giustiziati i fratelli Hans e Sophie Scholl insieme al loro compagno Christoph Probst. Due mesi dopo furono mandati a morte il prof Huber e altri due studenti.

Conclusioni

Non c’è dubbio che il Widerstand tedesco fu molto importante. Non averla studiata in Italia adeguatamente è segno di pigrizia intellettuale ma anche di adeguamento degli storici “ufficiali” a una vulgata resistenziale (“guerra patriottica”) in cui non c’era spazio per i tedeschi.

La Resistenza tedesca ebbe caratteristiche diverse rispetto a quella italiana ma non per questo fu inferiore a livello politico e ideologico. Si tratta di pagine ancora da scoprire.

Per esempio molti disertori tedeschi della Wehrmacht combatterono nella Resistenza italiana dopo l’8 settembre.

Lo testimonia un testo poco conosciuto di Roberto Battaglia mai tradotto in italiano: “Partigiani tedeschi nella Resistenza italiana”. Per Battaglia fu un fenomeno “ragguardevole”. Continua: “In tutte le regioni del Nord Italia, senza eccezioni, è dimostrata la presenza di tedeschi nelle principali formazioni partigiane”.

Molti di questi ex soldati tedeschi erano comunisti e socialisti oppure appartenenti a una formazione di sinistra. In totale furono 100mila i soldati tedeschi disertori (1% del totale delle forze militari). 15mila furono fucilati.

È un’altra pagina nascosta del Widerstand tedesco.