I cinquant’anni che precedono la fondazione dello Stato di Israele

Nella mia relazione vedremo una serie di aspetti molto utili a capire le attuali dinamiche nel conflitto tra Israele e i palestinesi.

Iniziamo con una figura centrale in questa storia che è Theodor Herzl, a cui dobbiamo la nascita del sionismo moderno.

Di famiglia ebraica facoltosa nacque a Budapest nel 1860. A Vienna studiò legge e si laureò. Ma i codici non gli piacevano, preferiva l’attività giornalistica, il teatro e la mondanità. Nulla di speciale finora.

Potremmo definirlo un ebreo totalmente assimilato, che non andava in sinagoga il sabato, che non parlava lo yiddish, e non era per nulla interessato alla cultura ebraica.

La svolta nella sua vita avvennequando a Parigi fu testimone del processo Dreyfus (1894) e vide la degradazione che subì il capitano alsaziano di origine ebraica, accusato ingiustamente di aver venduto ai tedeschi piani militari francesi. Ma soprattutto vide nelle piazze parigine cortei di antisemiti al grido di “Morte agli ebrei!”.

Contemporaneamente assisteva alla grande diffusione di un giornalaccio antisemita quale la “France juive” diretto da Eduard Drumont, nel quale si accusavano gli ebrei di ogni malefatta.

A questo punto Herzl si rese conto che l’assimilazione (emancipazione, integrazione) non avrebbe mai difeso gli ebrei dall’ostilità dei “gentili”. Era necessario percorrere altre strade.

L’antisemitismo

Due decenni prima era nata una parola destinata a una lunga e tragica storia: antisemitismo. L’aveva coniata un giornalista tedesco, Wilhelm Marr, autore di un libro “fortunato”: “La vittoria del giudaismo sul germanesimo” (1874) e fondatore pochi anni dopo di una “Lega degli antisemiti”.

Non è più l’antigiudaismo di matrice cattolica. L’antisemitismo si basa sulle nuove teorie della razza e si mostra subito più pericoloso.

Mentre l’angiudaismo cristiano prevede che l’ebreo cessa di essere ebreo con il battesimo (estorto o volontario). Il razzismo antisemita non prevede nessuna via d’uscita. L’ebreo è destinato a rimanere ebreo qualunque cosa avesse fatto o detto. (caso di Edgardo Mortara, 1858)

Ma il razzismo anti ebraico (antisemitismo) dice soprattutto che gli ebrei sono una razza perniciosa, criminale, dannosa a tutte le altre razze con le quali convive. Un “germe patogeno” che inquina le razze e un elemento di disgregazione nelle compagini statali.

Per Herzl l’antisemitismo è la prova che l’assimilazione non può funzionare nelle società occidentali.

Si sono dati agli ebrei di diritti di cittadinanza (dalla Rivoluzione francese) ma di fatto sono ancora esclusi, oggetto di violenze, sospettati di “doppia appartenenza” (alla nazione in cui vivono e alla comunità ebraica internazionale alla quale appartengono), come i “marrani” al tempo della cacciata degli ebrei dalla Spagna (1492).

Lo Stato degli ebrei”

E’ a questo punto che Herzl scrive un libro destinato a suscitare tanti consensi ma anche tante ostilità: “Lo Stato degli ebrei” (“Judenstaat”) che pubblicò a Vienna nel 1896.

Nel libro si discute dove sarà collocata la nuova patria degli ebrei. Non necessariamente la Palestina. Herzl considera l’ipotesi Argentina e addirittura l’Uganda inglese.

Si rese però conto presto che Gerusalemme e la “Terra promessa” avrebbero esercitato un fascino nel mondo ebraico che altre aree geografiche non avevano.

La Palestina apparteneva al Sultano di Costantinopoli e secondo Herzl si sarebbe facilmente convinto di cedere quote del suo territorio a un “popolo senza terra per far fiorire una terra senza popolo”. Idea assolutamente inesatta come sappiamo.

Herzl sapeva della presenza araba ma considerava gli autoctoni privi di identità nazionale. Non poteva sapere che i “palestinesi” li avrebbe creati proprio lui e il suo movimento nei decenni a seguire.

Herzl si mise al lavoro e già un anno dopo convocò il primo congresso sionista a Basilea (1897).

Nel frattempo iniziò a viaggiare instancabilmente per perorare la sua idea tra i grandi della politica europea. Incontrò anche il Sultano al quale propose di acquistare ampie porzioni della Palestina.

Come immaginava il nuovo Stato?

Le sue idee erano democratiche e mazziniane nello spirito del Risorgimento italiano.

“Avremo alla fine una teocrazia? No, la fede ci tiene uniti, la scienza ci rende liberi. Non faremo dunque emergere le velleità teocratiche dei nostri religiosi, sapremo tenerli entro i confini dei loro templi, così come terremo il nostro esercito professionale nelle caserme. L’esercito e il clero dovranno essere onorati. Non dovranno invece mettere bocca negli affari dello Stato affinché non provochino difficoltà interne ed esterne”. Le cose – come sappiamo – andarono diversamente.

Sottovalutazione dell’elemento arabo

Da notare che La Palestina non era disabitata. Nel 1882 c’erano 24.000 ebrei rispetto a una popolazione complessiva di 600.000 unità.

L’errore fondamentale di Herzl fu la sottovalutazione della presenza araba in Palestina.

Illuministicamente pensava che anche gli arabi avrebbero tratto vantaggio dall’ingegnosità dei coloni ebrei, dai loro studi e dal loro entusiasmo. Pensava che gli arabi sarebbero stati assimilati perché la religione non avrebbe avuto alcun ruolo prevaricante nel nuovo Stato oppure se ne sarebbero andati spontaneamente.

Sottovalutava completamente il ruolo che avrebbe esercitato il nazionalismo religioso arabo (il Gran Muftì di Gerusalemme e poi le potenze regionali arabe dopo il ‘45) contro l’ ”intruso” occidentale.

Altro errore di Herzl è l’dea che con la nascita di uno Stato degli ebrei l’antisemitismo in Europa sarebbe scomparso.

Diceva che chi tra gli ebrei desiderava la libertà e la sicurezza doveva emigrare. Chi rimaneva non doveva essere più sospettato di tramare contro lo Stato in cui viveva. Se desiderava restare era perché credeva nell’assimilazione. Anche qui sappiamo come andarono le cose.

Morì giovane nel 1904, all’età di 44 anni, senza vedere realizzato il suo progetto. Ma aveva sparso i semi e qualcosa cominciava a crescere.

Gli ebrei emigrano, ma verso gli Usa

Gli ebrei si muovono, ma non verso la Palestrina – come sperava Herzl – ma verso New York.

Dopo l’assassinio dello zar Alessandro II (1881) in Russia si scatenarono orribili pogrom che spinsero molti ebrei a emigrare verso i più promettenti Stati Uniti.

Nel 1906 erano già più di 150.000 verso l’America mentre per la Palestina erano poche migliaia.

Alla fine saranno due milioni e mezzo gli ebrei russi a emigrare negli Stati Uniti prima del 1914. Solo 70.000 per la Palestina.

I “Protocolli”

Abbiamo sentito tutti parlare di “Internazionale ebraica”? Degli ebrei che sarebbero la regia occulta di quanto di peggio accade nel mondo?

Tutto inizia a partire dalla pubblicazione nel 1903 dei “Protocolli dei Savi anziani di Sion”.

Sion è l’antico nome di Gerusalemme. “Protocolli” nel senso di verbale di una riunione.

Chi sono i “Savi di Sion”?

In sostanza si tratterebbe di una fantomatica riunione tenuta a Basilea (1897, I congresso sionista) in cui i capi dell’ebraismo mondiale si ritrovano per fare il punto su come sta andando la conquista del mondo.

A partire dalla peste di Atene (427 a.C.) fino alla Rivoluzione francese e oltre, gli ebrei portano avanti il loro progetto per far cadere Stati e Imperi e conquistare il dominio del mondo (!)

La presa del potere dei bolscevichi in Russia nel ’17, la leggenda della “pugnalata alle spalle” all’esercito tedesco nel 1918, il crack di Wall Street nel ’29 rafforzano l’antisemitismo e l’idea che gli ebrei stiano complottando per la conquista del mondo.

A più di un secolo di distanza sappiamo tutto del documento. E’ stato redatto dalla polizia segreta zarista (Ochrana) per distogliere l’attenzione mondiale sui pogrom antigiudaici che avvenivano in Russia. Poi il libro ebbe un grande successo, tante ristampe e lettori entusiasti.

La dichiarazione di Balfour

Siamo nel novembre 1917 e il ministro degli Esteri inglese, Lord Arthur Balfour, scrive al maggiore rappresentante del mondo ebraico europeo, Lord Rothschild, promettendo una “sede nazionale” (“national home” in inglese, “focolare” in italiano) agli ebrei in Palestina.

Sede nazionale” non vuol dire uno Stato in piena regola. E’ un termine giuridico ambiguo che può essere interpretato come diritto riservato agli ebrei di poter sviluppare una propria comunità nella nuova Palestina amministrata dagli inglesi.

Il problema è che gli inglesi promettono la stessa cosa agli arabi e in particolare a Hussein (capo della famiglia degli Hascemiti, per secoli “sceriffi” della Mecca), il quale ambiva a un grande Stato arabo sulle spoglie del defunto impero ottomano.

L’avallo inglese a tale progetto si concretizza con l’arrivo in Medio Oriente del colonnello Lawrence (poi “Lawrence d’Arabia”).
Quindi in sostanza gli inglesi promettono ad arabi ed ebrei la stessa cosa

Perché la Dichiarazione Balfour?

Per vincere la guerra contro l’impero ottomano (e avere poi il mandato su quei territori) gli inglesi sono disposti a tutto senza rendersi conto di infilarsi in un ginepraio.

Promettendo una “home” in Palestina i britannici intendono ringraziare l’appoggio dato dall’ebraismo americano allo sforzo bellico inglese contro Germania, Austria-Ungheria e ottomani. Ma anche riconoscere l’importanza della Brigata ebraica che stava combattendo contro i turchi.

Nello stesso tempo gli inglesi hanno bisogno della rivolta araba per conquistare Gerusalemme (1917) e, alla fine della guerra, Damasco (’18).

La situazione è ancora più ingarbugliata perché nel ’16 inglesi e francesi avevano già definite le rispettive aree d’influenza con il l’accordo Sykes-Picot grazie al quale la Francia si prende (alla fine della guerra) Siria e Libano mentre gli inglesi la Palestina (Giordania) e l’Irak.

La Palestina alla fine rimane nelle mani degli inglesi perché ritenuta un’area molto importante in quanto “corridoio” verso l’Egitto e il canale di Suez, allora nelle mani degli inglesi.

Il mandato britannico

Intanto arrivano coloni ebrei soprattutto dall’Europa dell’est che entrano in conflitto con gli arabi aizzati dal nazionalismo arabo.

Già nel 1920 ci sono i primi scontri. Poi nel ‘29 le tensioni si acuiscono tra ebrei e arabi con la morte di circa 200 persone.

L’avvento al potere del nazismo (1933) provoca l’arrivo di altre decine di migliaia di ebrei tedeschi che rendono la situazione sempre più carica di tensione.

Se nel 1914 gli ebrei in Palestina sono 85.000 su 815.000 abitanti, nel ’35 sono 443.000 su 1.850.000 abitanti. Un quarto circa.

Tanto per dare l’idea, se nel corso dell’Ottocento per ogni ebreo c’erano 40 arabi, nel 1915 diventa 1 a 7, e infine, nel ’47, 1 a 2.

Soffiava sul fuoco il Muftì di Gerusalemme, al-Husseini, che divenne poi durante la guerra la quinta colonna degli interessi tedeschi nel Medio Oriente per contrastare il colonialismo franco-britannico.

Infatti gli inglesi durante la II guerra mondiale si schierano con il mondo arabo per impedire una possibile deriva verso la Germania. Per fare ciò negli anni trenta limitano molto l’arrivo di altri ebrei in Palestina.

Dopo la guerra

Finita la guerra molti sopravvissuti alla Shoah decisero di andare verso la Palestina per sfuggire l’antisemitismo che ancora aleggiava in gran parte dell’Europa (Massacro di Kielce, 1946).

I contrasti con gli arabi si acuirono con gli inglesi in evidente difficoltà. Anche se fra ebrei ed arabi gli inglesi favoriscono gli arabi.

Intanto Ben Gurion – il fondatore nel ’48 dello Stato ebraico – dal ’42 ha buoni rapporti con gli Usa.

La politica americana si sta orientando verso il Medio Oriente perché lì ci sono grandi risorse petrolifere.

Aiutare gli ebrei di Palestina vuol dire cominciare a mettere radici in quella area geografica dove però ci sono gli inglesi con i loro interessi.

Scalzare inglesi e francesi dal Medio Oriente vuol dire appoggiare senza riserve gli ebrei di Palestina.

Anche l’Urss appoggia la nascita dello Stato d’Israele per cacciare gli inglesi dal Medio Oriente.

Quindi rileviamo per ora la concordanza degli interessi tra Usa e Urss di fronte al conflitto ebraico-palestinese.

Da notare che il Vaticano alla vigilia del 14 maggio ’48 non vede di buon occhio che i Luoghi Santi a Gerusalemme siano amministrati dagli israeliani.

Terrorismo ebraico antibritannico

Ma prima della nascita dello Stato di Israele (14 maggio del ’48) il terrorismo ebraico aveva mostrato cosa sapeva fare con la distruzione di un’ala dell’hotel King David a Gerusalemme dove erano collocati gli uffici dell’amministrazione britannica. E’ il luglio del ’46, ci furono 91 morti.

Qualche mese dopo saltò per aria anche l’ambasciata britannica a Roma più una serie di attentati contro alti esponenti della politica britannica in Medio Oriente.

Il capo del terrorismo ebraico è Manahem Begin, erede di Jabotinski, primo ministro di Israele tra il 1977 e l’83 e premio Nobel per la Pace nel 1978 (!).

29 settembre 1947

La Gran Bretagna getta la spugna e rinuncia al mandato. La palla passa ora alle Nazioni Unite.

La Risoluzione 181 dell’Onu prevede che nascano due Stati (ebrei e palestinesi) e Gerusalemme (città delle tre religioni monoteistiche) venga sottoposta a controllo nazionale.

14 maggio 1948

Poche ore prima della dichiarazione della nascita dello Stato d’Israele Egitto, Siria e Giordania attaccano il territorio del neo Stato. Gli israeliani si difendono bene grazie alle armi avute da Usa e Urss.

Il 29 febbraio ’49 la guerra termina con una netta vittoria di Israele.

Però Tel Aviv permette che la Giordania occupi la Cisgiordania (impedendo di fatto la nascita di uno Stato palestinese) e l’Egitto la striscia di Gaza.

Si può concludere che lo Stato palestinese non nacque per l’azione congiunta di Israele e dei “fratelli arabi” dei palestinesi (!)

La Nakba

Nakba” in arabo vuol dire “catastrofe”. Ed è la tragedia dei palestinesi cacciati via dalle terre occupate da Israele.

Sono circa 800.000 e si sistemano nel Libano meridionale, in Giordania, in Egitto in campi profughi che esistono ancora.

Così se nel ’48 – al tempo dei “due Stati” – c’erano in Palestina 608.000 ebrei (56.5% della terra) contro 1.300.000 arabi (43.5% della terra), nel ’50 ci sono un milione di ebrei e 160.000 arabi (!).

Gli ebrei di nuovo in marcia

Se nel ’48 dal Marocco all’Irak vivevano circa 856.000 ebrei, nel giro di pochi anni se ne andò (o fu costretto ad andarsene) il 95%. Verso Israele (600.000), le Americhe e l’Europa.

Il marxismo tra sionismo e antisemitismo

Engels sull’antisemitismo (1890): “L’antisemitismo non è nient’altro che una reazione di ceti sociali medievali votati alla rovina dall’avanzare della società moderna, che si compone essenzialmente di capitalisti e di operai; di conseguenza esso serve solo obiettivi reazionari, sotto una copertura in apparenza socialista” (presunti “ebrei capitalisti”)

Lenin (dopo il ’17): “La scuola, la stampa, la tribuna parlamentare, tutto è utilizzato per seminare odio cieco, selvaggio, imbecille contro gli ebrei. A questo compito infame non si dedicano solo i rifiuti della nazione, ma anche gli intellettuali, i professori, gli scienziati, i giornalisti, i deputati reazionari…

I nemici dei lavoratori non sono gli ebrei , sono i capitalisti di tutti i Paesi. Vergogna allo zarismo maledetto, che torturava e perseguitava gli ebrei. Infamia e disonore su coloro che seminano l’odio contro gli ebrei!”

Lenin contro il sionismo: “L’assimilazione rappresenta un immenso progresso storico. Non è mai stata vituperata dagli ebrei migliori, che hanno dato al mondo alcuni dirigenti avanzati della democrazia e del socialismo. Conseguentemente l’idea di una nazionalità ebraica ha carattere reazionario perché spezza l’unità della classe operaia”.

Il Bund invece “si era impegnato sulla via dell’isolamento degli operai ebrei, senza comprendere che il proletariato ebraico non è che una parte della grande famiglia mondiale dei proletari”.

Tutto ciò per dire che si potrà discutere all’infinito dell’ipotesi di due Stati o di altre formule.

L’unica via d’uscita è di tipo internazionalista con l’unione del proletariato arabo con quello israeliano con la difesa dei propri interessi contro la borghesia araba e israeliana e le borghesie arabe del Medio Oriente che da sempre hanno sfruttato i palestinesi per i loro scopi specifici.

Certo, siamo molto lontani da questo obiettivo ma questa constatazione non ci deve indurre a cambiare opinione.

Note

Marx e la questione ebraica

– La chiesa e il sionismo, Romano, p. 120

Il primo Kibbutz è del 1909

– 1948. In quella data l’area di cui dovrebbe nascere lo Stato d’Israele ha 500.000 ebrei e 400.000 arabi. Nell’area palestinese il rapporto è questo: 800.000 arabi a fronte di 10.000 ebrei.

Che cosa è rimasto oggi degli ideali di Herzl?

Quando Ben Gurion proclama la nascita dello Stato di Israele non c’è dubbio che il Sionismo vince la sua battaglia durata 50 anni. Il presidente è Chiam Weizmann, il migliore erede di Theodor Herzl.

Da questo momento per molti il Sionismo diventa una brutta parola sinonimo di nazionalismo esasperato, colonialismo occidentale in terra araba, razzismo. Non a caso l’ONU nel 1975 condannò il sionismo come “una forma di razzismo e dominazione razziale”.

Che cosa è rimasto oggi in Israele degli ideali di Herzl?

Poco e in forma contraddittoria. Romano, pp. 51-52

Herzl contava molto sull’emigrazione in Palestina dell’ebraismo occidentale, e quindi tecnici, studiosi delle università, giovani aperti alle idee migliori.

Gli ebrei occidentali hanno risposto parzialmente all’appello mentre hanno fatto la parte del leone gli ebrei provenienti dall’Europa orientale, dal Medio Oriente e dall’Africa (tre milioni e mezzo in ondate successive). Con la dissoluzione dell’URSS arriverà un altro consistente flusso dalla Russia. Erano gli ebrei meno evoluti a livello culturale e politico.

– Mussolini invece sembrava più interessato – in chiave antiinglese – a stabilire buoni rapporti con gli ebrei della Palestina.

Infatti ebbe tre incontri a Roma con Chaim Weizmann, il vero erede di Herzl. Ebbe anche diversi contatti con un sionista radicale, Vladimir Jabotinsky, fautore delle maniere dure contro inglesi e arabi in Palestina (terrorismo e gruppi armati).

Jabotinsky scrisse una lettera a Mussolini nel 1922: “Chiarissimo signor Mussolini, mi pare che ella non conosca l’ebreo. Mi pare che ella s’immagini – quando pensa agli ebrei – un essere docile, untuoso, furbo, sempre sulla difensiva … Sono queste, favole del secolo scorso. Se vuol conoscere il grado di vitalità nostro, studi i suoi fascisti, soltanto vi aggiunga un po’ più di tragedia, un po’ più di tenacia e forse un po’ più di esperienza”.

Poi ci sarà la svolta antisemita del 1938 e questi contatti con il sionismo in chiave antiinglese verranno annullati. Mussolini riprenderà con più forza il rapporto con il mondo arabo (Fascismo, “spada dell’Islam”).

Nel ’31 Stalin disse: “L’antisemitismo, forma estrema dello sciovinismo razziale, è la sopravvivenza più pericolosa del cannibalismo. E’ un pericolo per i lavoratori, è la strada sbagliata che li allontana dalla giusta via. Perciò i comunisti, in quanto internazionalisti conseguenti, sono nemici implacabili dell’antisemitismo”

Iniziata la Rivoluzione bolscevica – finché Lenin fu attivo – la cultura yiddish fiorì in Unione Sovietica con il teatro, i libri, riviste, scuole … in una cornice comunista. Finirono i pogrom di epoca zarista …. Con Stalin le cose cambiarono, in relazione ai mutamenti della collocazione internazionale dell’URSS.

– Tema del lavoro agricolo rigeneratore rispetto all’asfittico e malaticcio ebreo della diaspora