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Gli italiani nei GULag di Stalin

Gli italiani nei GULag di Stalin

Appunti per conferenza


“Kolima,

Auschwitz bianca

Crematorio bianco

Fossa comune di ghiaccio

Laggiù nel GUlag

Il cielo squarcia il viso

Brucia gli occhi

Lacrime mai più piante

Sangue sparso sulla neve

nessuna speranza

morte bianca

e la neve cade cade… cade”

Il GULag, in particolare gli italiani (molti dei quali comunisti), morti nei lager di Stalin, è sicuramente un argomento poco conosciuto sia nelle scuole che tra l’opinione pubblica.

Che cosa vuol dire la parola Gulag?

Vuol dire semplicemente Amministrazione centrale dei campi, in realtà Gulag vuol dire la più imponente e brutale opera di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.

In sostanza i gulag sono enormi campi di concentramento, ancora più vasti rispetto a quelli nazisti dove furono deportati tra i 15 e i 18 milioni di persone e dove probabilmente morirono di lavoro, di freddo, di malattie e di violenze varie 2 milioni di persone.

Con l’apertura degli archivi siamo in grado di formulare cifre attendibili.

I campi furono poco meno di 500 contando solo i maggiori. Ma ognuno di essi aveva decine e decine di sottocampi più piccoli. In totale si può parlare di alcune migliaia di gulag, ossia di lager sovietici.

Il periodo storico preso in considerazione va dal 1929 fino alla morte di Stalin nel 1953. Con il ’56-60 tutti i campi di detenzione furono chiusi. Quindi il periodo storico comprende circa 25-30 anni.

Esiste un termine di paragone per capire i Gulag? Il confronto con i lager nazisti può essere utile.

Ad Auschwitz c’erano le camere a gas destinate allo sterminio degli ebrei. Nei Gulag non ci sono camere a gas e neppure categorie di persone destinate a essere subito uccise.

Però lavorare ogni giorno con temperature che normalmente arrivavano a -30 o addirittura a -50 voleva dire morire rapidamente.

Un altro punto di contatto tra lager nazisti e sovietici è l’ossessione del lavoro. Nei lager sovietici si lavorava duramente con ritmi di lavoro che potevano arrivare a 15-16 ore al giorno.

Tra i tanti arcipelaghi della morte forse il più famoso è quello della Kolima / Varlam Salamov.

Kolima

L’enorme zona della Kolima, 3 milioni di chilometri quadrati, era grande cinque volte la Francia (10 volte l’Italia) fu chiamata “Auschwitz bianca” perché si lavorava fino a 50 gradi sottozero vestiti con giacconi logori e nutriti malamente.

Diceva un vecchio adagio diffuso tra i detenuti: “Kolima, Kolima, lontano pianeta. Dodici mesi d’inverno, il resto è estate”, ma c’è anche una variante che fa: “Kolima, Kolima, dodici mesi di inverno, il resto è inferno. Sii maledetta, Kolima, tu che sei chiamata pianeta incantato”.

Kolima, “Crematorio bianco”, “Auschwitz di ghiaccio”, come la definisce Varlam Salamov, autore dei “Racconti della Kolima” (1200 pagine di orrori) / fece 19 anni a Kolima.

La Kolima si trova nell’estremo nord-est dell’Unione Sovietica, oggi Russia, si affaccia sull’oceano Pacifico. Per dare un’idea delle distanza, tra Mosca e Vladivostok ci sono 8 fusi orari e 8000 chilometri di distanza / oggi 8 giorni di treno.

– Perché deportare milioni di uomini con viaggi che duravano in treno anche 50 giorni a morire così lontano?

E’ vero che la Kolima è un territorio abbandonato da Dio (pochissimo abitato) ma è ricchissimo il sottosuolo da cui si ricava tutto quello che serve a Stalin e al nuovo potere comunista per avviare l’industrializzazione del paese, che a sua volta è fondamentale per fare dell’U.S. un paese altamente militarizzato.

Dalla Kolima si ricavano  decine di tonnellate di oro ogni anno che viene scavato a cielo aperto, ma anche cobalto, uranio, stagno, carbone e tante altre materie prime fondamentali per l’industria sovietica.

Qui vennero deportati 1 milione e 200mila individui con la mortalità di centinaia di migliaia di persone.

In 12 ore di lavoro il detenuto doveva trasportare 25 tonnellate di roccia (per estrarre il carbone o l’oro). Solo così avrebbe avuto una alimentazione adeguata.

Italiani nei GULag

Vorrei raccontare alcune storie di italiani finiti nel carnaio dei GULag. Qui soffrirono e morirono decine e decine di comunisti italiani che erano fuggiti dal fascismo negli anni Venti e Trenta ed erano felici di dare il loro contributo all’edificazione di una società che aveva abolito, così speravano, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Furono poco più di mille questi italiani che conobbero i GULag oppure che furono perseguitati dal regime di Stalin fino agli anni Cinquanta.

E’ una storia, la loro, che è stata scientemente rimossa, perché politicamente scorretta, dalla storiografia, dalla politica e soprattutto dalla memoria.

Chi ha mai sentito nominare Mario Giletti? Emilio Guarnaschelli? Sergio De Martino? Eppure la loro storia non sfigurerebbe di fronte a quella di nessun altra, anche perché furono uccisi o soffrirono terribilmente per mano di un regime che aveva tradito i loro ideali di giustizia.

Vediamo nel dettaglio.

Alcune cifre

Furono esattamente 1.020 gli italiani che tra il 1919 e il 1951 subirono qualche forma di repressione: fucilazione, internamento in un campo di concentramento, confino, deportazione, privazione dei diritti, emarginazione. In totale la comunità italiana comprendeva 4.000 individui di cui 3.000 nella sola Crimea.

– 110 fucilati

– 140 condannati al lavoro forzato

– 50 confinati

– 550 membri della comunità di Kerc e Mariupol (Crimea) deportati in Kasakistan (Siberia centro-meridionale) nel 1942 in quanto appartenenti a nazionalità in quel momento nemica.

La comunità dei politici italiani comprendeva 250-300 persone emigrate in Urss negli anni venti soprattutto per sfuggire al fascismo. Ne furono repressi 160 (di cui un centinaio avevano la tessera del Pci). Si trattava di comunisti, socialisti, anarchici e antifascisti.

Vicende significative

La famiglia Pirz

La vicenda della famiglia Pirz è emblematica delle speranze e delle amare disillusioni di un’intera comunità.

Dopo vicende burrascose tra Stati Uniti e Italia fascista Antonio Pirz decide nel 1931 di fare il grande passo ed emigra in Urss con la moglie, 5 figli e la suocera. Vennero accolti a Odessa con grandi manifestazioni di entusiasmo.

Nel novembre del ’37 i genitori con i due figli più grandi vennero arrestati e subito dopo fucilati.

Le accuse erano le stesse che provocarono milioni di morti in Urss: attività controrivoluzionaria, sabotaggio antisovietico e spionaggio.

Rimasero tre figli: Franco (20), Willy (18), e Clara (15). Nel ’38 Franco fu arrestato e gli diedero 18 anni di lavori forzati (fu liberato nel ’55). Willy fu arrestato e poi liberato nel ’56. Clara fu arrestata nel ’45 e condannata a 5 anni di lager per le stesse infondate accuse che avevano incarcerato i fratelli e i genitori.

Emilio Guarnaschelli

Emilio ha vent’anni quando emigra in Belgio per sfuggire alle galere fasciste. È nato in una famiglia operaia torinese, ha lasciato la scuola alla quarta elementare ma arriverà a conoscere 5 lingue.

In Belgio continua la sua militanza comunista fino al momento in cui è espulso (1933). Compera un biglietto e il 29 aprile del ’33 arriva a Mosca. Primo maggio sulla Piazza Rossa.

Fino alla metà del ’34 scrive al fratello ed esprime nelle sue lettere molta ammirazione per la realtà sovietica ma poi passa al dubbio e alla critica.

Sfiduciato della realtà sovietica compie un errore: chiede di rientrare in Italia ma non può avere il passaporto e poi si rivolge all’ambasciata italiana e il suo gesto è annotato dall’Nkvd.

La sua scheda, redatta da Robotti, lo segnala come elemento di cui diffidare per le sue critiche al regime. Le sue lettere al fratello vengono aperte e lette prima dall’Nkvd e poi dall’Ovra.

Emilio sa quali rischi corre scrivendo in Italia al fratello ma la sua coscienza si ribella al silenzio: “Dunque dovrei tacere, ma.. non ne sono capace” (25 giugno ’35) / altrove “Non mi piego davanti a nessun dio rosso”

Dopo l’assassinio di Kirov (1 dicembre ’34) iniziano gli arresti arbitrari dei presunti oppositori. Anche Guarnaschelli è arrestato accusato di propaganda trotskista, con lui altri 8 italiani.

È condannato a  tre anni al confino a Pìnega, una località vicino ad Arcangelo (Circolo polare artico).

A rendere precaria la situazione di Emilio vi è il fatto che lui non è emigrato in Urss su invito del Pci e poi in Italia si sospetta (a torto) che il fratello Mario sia una spia della polizia italiana. Quindi Emilio, spia, è arrivato in Urss per danneggiare il potere sovietico!

Nel ’35 scrive al fratello Mario che “la rivoluzione d’ottobre ha troppo sfacciatamente solcato la via opposta a quella tracciata da Lenin”. “Rivoluzione tradita” di Trotskij.

A Pinega è raggiunta da Nella Masutti, allora 17enne.

Nel ’36 Emilio è condannato a 5 anni di lager. Nel ’38 venne nuovamente processato nel lager della Kolima in cui si trovava e condannato alla fucilazione nel ‘39. Aveva 27 anni.

– Emilio Guarnaschelli: “Una piccola pietra. L’esilio, la deportazione e la morte di un operaio comunista italiano in Urss” (1933 -‘39).

Mario Giletti

Mario Giletti è un comunista italiano arrestato nel 1938 in Unione Sovietica all’età di 32 anni: l’accusa è la solita: articolo 58: attività controrivoluzionaria!

Era arrivati in Urss direttamente dagli Usa dopo un’aggressione a due fascisti. Aveva lasciato l’Italia quando aveva 17 anni per la sua fede comunista (1923).

Non è membro del partito, è italiano e straniero. I dirigenti del Pci che lavorano alla Sezione quadri del Komintern lo descrivono come elemento passivo.

Il processo dura pochi minuti. E’ condannato a 8 anni in un terribile lager della Kolima. Ci giunge dopo due mesi (!) di trasporto in un carro bestiame da Mosca a Vladivostock (1 luglio-1 settembre 1938). Ogni giorno nei vagoni-bestiame ricevono 300gr. di pane, poco pesce salato e un boccale di acqua.

Poi 11 giorni di nave in una stiva fredda e sporca per giungere a Magadan (30mila abitanti), il centro abitato più importante dove nel ’37 sono estratte 25 tonnellate di oro con temperature che arrivano fino a 65 gradi sottozero.

Con l’oro Stalin pagava l’importazione di macchinari dai paesi europei.

All’ingresso del lager campeggia una scritta: “In U.S. il lavoro è una questione di onore, di gloria, di valore e di eroismo”.

Ad Auschwitz la scritta “vivamente illuminata il cui ricordo mi percuote ancora”, come scrive Primo Levi, era molto simile: “Arbeit mach frei: Il lavoro rende liberi!”. La scritta sovietica è solo più ridondante, ma il significato è simile: una colossale presa in giro per i nuovi arrivati.

La Kolima è il più grande complesso di campi di tutta l’Urss, copriva il 10% del territorio sovietico (3milioni di kmq.).

Oltre all’oro vennero scoperti giacimenti di stagno, tungsteno, cobalto, uranio, carbone. Vennero costruite abitazioni, edifici comunali, strade (3mila km), aeroporti, ferrovie, centrali termiche e idrauliche; si resero navigabili fiumi, furono costruiti cantieri navali, cementifici, vetrerie, mattonifici; si tagliarono gli alberi della taiga per produrre legname da esportazione.

Tutto questo con temperature che frequentemente toccano anche i 65 gradi sottozero

Qui Giletti lavora allo scavo di un canale, poi al taglio degli alberi nella taiga. I lavori più temuti.

Chi rispetta la norma ha 600 gr di pane, chi lavora meno solo 400.

Questo era il menù dei prigionieri della Kolima: la razione di pane era mediamente di 500 grammi.

–          “Prima colazione”: mezza aringa o 50 grammi di pesce salato, tè zuccherato, 1/3 della razione di pane

–          “Pranzo”: mezzo litro di zuppa di cavolo, fiocchi di avena, 1/3 della razione di pane

–          “Cena”: zuppa di foglie di cavolo, con alcuni chicchi di cereali e teste di pesce stracotte, 1/3 della razione di pane

A raccontare tutto questo è Elinor Lipper, titolo: “Undici anni nelle prigioni e nei campi di concentramento sovietici”. E’ un testo tradotto in italiano nel 1952.

Giletti conoscerà anche il lavoro nelle miniere con ritmi anche di 16 ore al giorno. Conoscerà la fame, le umiliazioni, le malattie fino alla morte inevitabile nel 1941, tre anni dopo la deportazione, all’età di 35 anni.

Ma prima Giletti attua una protesta davvero singolare in un gulag: nel novembre del ’39 si rifiuta di andare a lavorare.

Mario viene picchiato selvaggiamente.. viene messo in una cella d’isolamento dove trova un altro italiano: Eugenio Del Magro, comunista dalla fondazione del Pci, incarcerato più volte in Italia e molto attivo in Francia. Era arrivato in Urss nel ’32.

Nel ’38 è arrestato con la solita accusa : articolo 58. Anche lui riceve 8 anni di lager alla Kolima. Eugenio muore un anno e mezzo dopo, nel maggio del ’41.

Nella primavera del ’40 Giletti è di ritorno a Magadan finito il lavoro nelle miniere. Il nuovo compito è tagliare il legname.

Giletti a Magadan si rifiuta di mangiare e bere. Viene immediatamente posto in isolamento. Nell’agosto del ’40 Giletti, ridotto a uno straccio di uomo, è nuovamente processato dall’Nkvd del lager: 10 anni di lavori forzati. In tutto sono 18 e finora ne ha passati 2.

Con il 22 giugno ’41 l’Italia è un paese nemico. Nel settembre ’41 Mario è condannato alla fucilazione che è eseguita il 21 novembre a Magadan. Giletti ha 35 anni.

Dante Corneli

Dante Corneli nell’agosto del ’36 è condannato a 5 anni di lager per attività controrivoluzionaria trotskista. Il lager che deve raggiungere è uno dei più terribili: Vòrkuta a 300 km a nord del Circolo Polare Artico. Il regno del carbone.

Era nato a Tivoli 36 anni prima in una famiglia modesta. Nel ’21 si iscrive subito al Pci (ha 21 anni). Coinvolto in un conflitto a fuoco lascia l’Italia dove è condannato a 20 anni di reclusione.

Giunge a Mosca nel ’23. Dopo un corso di marxismo-leninismo viene mandato a lavorare in una fabbrica sul Don.

Al tempo dello scontro tra Stalin e Trotskij (1926) Corneli aveva parteggiato apertamente per Trotskij.

La vita di Corneli procede senza problemi però i dirigenti del Pci in Urss avevano annotato le prese di posizione di Corneli. Nel momento dell’arresto il capo di imputazione è fornito dai dirigenti del Pci.

Prima del ’29 alla Vòrkuta non c’era niente, poi fu scoperto il carbone e nel giro di pochi anni con il lavoro forzato nacquero 4 enormi miniere di carbone, 5 giacimenti di petrolio e di gas naturale, 5 campi di transito, 2 villaggi, 5 sovchoz (fattorie agricole), ferrovie e strade.

Raggiunta da Mosca Arcangelo (5 giorni di viaggio), Corneli deve raggiungere Vorkuta ma ci sono 2.300 km che si possono percorrere solo nei 50 giorni d’estate quando scompare il ghiaccio che gela i fiumi.

I rifornimenti per i campi e il carbone estratto possono viaggiare solo in questi 50 giorni. Corneli passa l’inverno in uno dei tanti lager di transito della zona. Lavora per costruire la ferrovia e ricoveri sotterranei.

Raggiunge Vorkuta l’anno successivo. Le baracche sono di legno e le fessure sono riempite di fango. Mentre costruivano il campo i detenuti morivano nelle tende.

I lavori più temuti sono il taglio degli alberi nella taiga e il lavoro nelle miniere di carbone. Dal ’37 fino al ’42 lavora in una miniera di carbone a Vorkuta (la “miniera della morte”).

Chi raggiunge la norma fissata ottiene il max di pane: 600 grammi. Chi non la raggiunge a 50 gradi sottozero ne riceve di meno. Questo è il lavoro di Corneli in quanto controrivoluzionario.

Con le repressioni del ’37-38 (ezovsina, l’era di Ezov) anche Corneli rischia la fucilazione. Il ’39 sembra un anno tranquillo ma nel ’41 la situazione diventa di nuovo critica perché l’Italia è nazione nemica.

Dal ’42 Corneli finisce nella  sezione progetti di una miniera, poi lavora in un sovchoz e poi in un ultimo lager fino al ’46.

Dante ottiene il rilascio nel ’46 (5 anni dopo) ma venne assegnato al confino illimitato in un piccolo villaggio del Nord. Intanto viene raggiunto dalla moglie e dal figlio.

Dante viene nuovamente arrestato nel ’49 (appartenenza a gruppo trotskista) e confinato in un’altra località fuori dal mondo fino al ’54.

Passò altri due anni in Siberia. Nel ’56 è liberato come tanti altri detenuti. Sempre nel ’56 è riabilitato.

Cerca subito di rientrare in Italia ma è impossibile, anzi rimane in Siberia fino al ‘60.

Riuscirà a rientrare a Tivoli nel ’65 per interessamento di Terracini. In totale passò nei gulag di Stalin 29 anni! (1936-1965).

Quando rientrò in Italia pubblicò a sue spese alcuni libri che denunciavano lo stalinismo. Freddezza del Pci. Terracini gli disse di tacere.

Edmondo Peluso (Napoli 1882 – Siberia 1942)

E’ una delle figure più straordinarie della storia del movimento operaio italiano ed europeo.

Nel corso della sua vita conobbe Jack London negli Usa, la figlia di Marx (Laura) e il marito, Paul Lafargue a Parigi. Di lui parlò Lenin in un paio di circostanze. Conobbe e fu amico di Rosa Luxemburg, di Karl Liebknecht, di Bebel, di Clara Zetkin e di Karl Kautsky.

È un viaggiatore instancabile dovunque potesse difendere e far avanzare il movimento proletario: è a Kienthal nel ’16, nel ’17 aderisce all’Ottobre sovietico, nel ’18-19 e a Berlino al tempo del tentativo rivoluzionario spartachista, nel ’21 aderisce al Pcd’I, nel ’22 è a Mosca al tempo del IV congresso dell’Internazionale.

In questi anni viaggia in Spagna, Francia (con i genitori emigranti), Austria, Svizzera, Germania, Cina, Giappone, Stati Uniti, Sud America. Conosceva molte lingue straniere.

Percorso politico prima dell’arrivo in URSS:

Attivo dall’inizio del secolo, comunista, pacifista, espatria per non prestare servizio militare. Giornalista, traduttore, uomo politico. Dal 1898 membro del partito socialista italiano, poi di quello spagnolo, francese, svizzero. Lavora come giornalista in diversi paesi. Nel 1915 arrestato in Austria, nel 1918 espulso dalla Svizzera. Dopo essersi recato in Unione Sovietica, Austria e Ungheria, rientra clandestinamente in Italia nel novembre del 1919. Arrestato nel dicembre successivo per renitenza alla leva. Dal 1921 è membro del partito comunista d’Italia. Arrestato nel 1923 e presto scarcerato, subisce poi quasi un anno di carcere nel 1925/1926. Redattore dell’ “Ordine Nuovo” e dell’ “Unità”, nel maggio 1927 condannato in contumacia a 12 anni dal Tribunale Speciale. Emigra clandestinamente in URSS nel 1927.

Eppure questo “cittadino del mondo”, “rivoluzionario di professione”, comunista con grande esperienza politica e intellettuale fu fucilato il 31 gennaio del ’42 in una prigione siberiana (aveva 60 anni), accusato di essere una spia al soldo dei nemici dell’Urss.

Fu riabilitato nel ’56 perché “il delitto non sussiste”.

Si era stabilito definitivamente in Unione Sovietica nel 1927. Insegnò italiano e storia del movimento operaio presso l’Istituto del marxismo-leninismo e, successivamente, nell’Università per i lavoratori “Stalin“.

Fu arrestato per la prima volta dall’NKVD il 26 aprile 1938. Internato in carcere venne duramente e lungamente interrogato e torturato fino a costringerlo a confessare di aver svolto attività controrivoluzionaria e di spionaggio. Fu accusato, tra l’altro, di aver denunciato alla polizia italiana i componenti del Comitato centrale del PCd’I appena formato. Ripresosi, ritrattò la confessione e si proclamò innocente.

Sottoposto a processo, il 14 maggio 1940 fu condannato a cinque anni di confino, senza detenzione, per spionaggio in base all’articolo 58 del Codice penale.

Nuovamente arrestato, il 31 gennaio 1942 fu condannato a morte. La sentenza fu eseguita mediante fucilazione a Krasnojarsk in Siberia, dopo poche settimane (da Vikipedia).

Peluso fu una delle tante vittime del terrore di Stalin. Fu condannato perché era chiara la sua dissidenza nei confronti della svolta autoritaria rappresentata da Stalin.

Chi l’ha conosciuto lo descrive come un uomo animato dal desiderio di dibattere tutto quello che gli apparteneva ideologicamente e politicamente. E nell’U.S del ‘36-38 bastava poco per finire davanti a un plotone di esecuzione.

Il processo fu voluto dall’Nkvd e si basò su un dossier compilato negli anni precedenti nel quale erano ricostruiti spostamenti e colloqui di Peluso.

A dare il colpo di grazia contribuì una relazione del rappresentante del Pcd’I in seno all’Internazionale nella quale Peluso veniva definito nel ’32 “persona politicamente debole”.

Funzione delle schede riservate del Pci sui singoli militanti. / schede redatte da Robotti e Roasio / due fidi collaboratori di Togliatti

Un documento del 1941 di un giudice istruttore dell’Nkvd equivale a una condanna a morte:

“Peluso è risultato nemico del potere sovietico, ha condotto sistematicamente propaganda contro, ha espresso apertamente menzogne calunniose contro dirigenti del partito e contro il governo sovietico”.

Peluso non rinunciava a dire la sua nemmeno in prigionia. Abbiamo le confidenze di altri deportati i quali riportano fedelmente le sue idee e le sue parole.

– Renato Mieli, “Togliatti 1937. Come scomparvero i dirigenti comunisti europei”, Rizzoli, 1964

Giancarlo Restelli