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Da una storia vera. Behran, Dall’Eritrea a Lampedusa

Da una storia vera.
Behran, dall’Eritrea a Lampedusa
Racconto con immagini

Behran è uno dei sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre del 2013. Ci mette più di due ore a
nuoto per raggiungere l’isola dei Conigli. E’ tra i pochi che ci riescono. E’ eritreo, ha solo 17
anni.
Il suo viaggio era iniziato due anni prima , nel 2011. Il suo paese è stato definito la “Corea del
Nord africana” perché è retta da una dittatura durissima che
mantiene l’intera società eritrea in una condizione permanente di
miseria.
Il suo è il paese della coscrizione militare obbligatoria per tutti, dai diciassette fino ai
cinquant’anni; uomini e donne sono costretti al servizio militare continuato che non lascia
spazio a sogni di vita normale.
Con il pretesto di armare la nazione per difendersi da una possibile invasione etiope, il
dittatore Isaias Afewerki mantiene l’intera gioventù in uno stato di costrizione nella quale
vige il lavoro obbligatorio a vantaggio del regime.
Verrebbe da pensare che lo stato perpetuo di guerra serva a nascondere il lavoro di massa
esercitato in forma schiavile. Il paese non conosce altro che miseria disperata.
Da questo paese bisogna a tutti i costi andarsene, anche se Behran è consapevole delle immani
difficoltà. C’è il deserto da affrontare ma soprattutto bisogna affrontare la terribile minaccia delle bande dei predoni del Sahara e poi i pericoli dell’attraversamento del
Mediterraneo. Ma probabilmente Behran non sa tutto ciò che dovrà affrontare.
Il primo pericolo è attraversare la frontiera tra l’Eritrea e il Sudan. In caso di arresto da
parte dei militari eritrei il regime sarà spietato: per chi è riportato indietro ci sono i campi di
concentramento del regime. Tutti gli eritrei conoscono il famigerato Track B o la condizione
dei prigionieri nelle isole Dahlak.
Con altri giovani coraggiosi come lui Behran riesce a superare il confine con il Sudan ma invece
di finire in un campo rifugiati gestito dalle Nazioni Unite (Unhcr), è finito nelle mani dei
rashaida, una tribù nomade di lingua araba specializzata nei rapimenti dei migranti a scopo
estorsivo. Dai rashaida ad altri gruppi criminali, di sequestro in sequestro, Behran è portato
nel Sinai, al confine con Israele, dove sorgono nel deserto vere strutture detentive per i
giovani del Corno d’Africa che vogliono raggiungere la Libia.
Sui campi di detenzione in Libia ormai in Italia si sa abbastanza, sui
campi del Sinai praticamente nulla.
Lo scopo di questi campi è estorcere denaro ai parenti rimasti in
Etiopia, Somalia o Eritrea oppure in precedenza emigrati in Europa.
Il metodo è semplice nella sua brutalità: torturare un povero giovane disgraziato e durante le
torture dargli un cellulare in mano e obbligarlo a telefonare ai parenti più prossimi. Difficile
resistere alle urla disperate del proprio familiare: fratello, sorella, figlio, figlia, padre…
Se il denaro non arriva le torture continuano con i carcerieri sempre più irritati. Ci sono
famiglie nel Corno d’Africa che vendono tutto, si indebitano fortemente per pagare il riscatto.
Oppure si fa appello ai parenti già in Svezia, Germania o in altri paesi.
Abusi sessuali, sevizie, frustate, bruciature, ustioni, scosse elettriche, soffocamenti, finte
esecuzioni sono le macabre realtà di queste strutture in territorio egiziano.
Chi non riesce a ottenere il pagamento di migliaia di dollari di riscatto, pagati su conti correnti
europei, rischia l’asportazione di un organo a vantaggio di cliniche europee o americane. Altra
terribile realtà ancora poco o nulla documentata dai media occidentali. Occorre avere molti soldi per arrivare in Europa. Tre-quattromila dollari o euro per un viaggio
senza intoppi verso Lampedusa. Ventimila dollari (ma anche fino a quarantamila dollari) se si
finisce nelle mani di bande criminali in Sudan, Sinai o Libia.
E’ inutile dire che un viaggio in aereo (se fosse possibile) da Asmara a Roma costerebbe molto
molto di meno. Ma l’unica via è affrontare deserto e mare dove molti muoiono.
Behran è tra i “fortunati” che dopo aver visto la morte in faccia molte volte esce dall’inferno
del Sinai e si ritrova sulle spiagge della Libia per affrontare la traversata verso Lampedusa.
Qui abbiamo molte più informazioni perché stiamo per narrare la tragedia del 3 ottobre 2013.
Il barcone con più di cinquecento migranti (quasi tutti eritrei) partì dalla costa libica verso le 23 e 30 del giorno
precedente. Il barcone era strapieno con persone stipate all’inverosimile anche nella stiva
(saranno i primi a morire quando il barcone si rovescerà, prevalentemente donne e bambini).
Tutti dovevano rimanere rigorosamente fermi per assicurare il balance tra prua e poppa.
Verso le prime ore del mattino il barcone ha un’avaria a poche centinaia di metri dalle coste di
Lampedusa. Passano un paio di grosse imbarcazioni ma nessuna si ferma per trasbordare i
migranti.
Ad un certo momento il comandante tunisino del peschereccio (stanno pericolosamente
imbarcando acqua) incendia una coperta per richiamare i soccorsi dalla riva. Sul barcone
qualcuno si muove, forse spaventato dalle fiamme.
E qui avviene ciò che tutti temevano fin dalla partenza: il barcone si rovescia e tutti sono in
acqua. Chi è nella stiva è il primo a morire.
C’è molto gasolio nell’acqua e questo crea un’atmosfera irrespirabile per chi annaspa tra le
onde bevendo acqua di mare mista a gasolio.
Arriva qualche peschereccio che si trova nella zona e i pescatori aiutano come possono. La
Guardia Costiera arriva con colpevole ritardo quando molti sono già affogati.
Alla fine avremo 368 morti e 155 superstiti. Tragedia assurda perché accaduta a poche
centinaia di metri dalla costa in una bella mattina con il mare calmo.Berhan è giovane, nuota con vigoria, non vuole morire come tanti altri compagni nelle acque
ancora scure di Lampedusa. Dopo due ore arriva sulla costa. Ce l’ha fatta ma tanti altri li ha
visti scomparire tra le onde.Ora si trova in Svezia ed è ben integrato nella sua nuova patria. Se l’Italia era quella dei
soccorsi… non ne valeva la pena rimanere.
Istituto “Bernocchi” di Legnano
Fonti:

  • Alessandro Leogrande, “La frontiera”, Feltrinelli 201
  • AA. VV. “Il mondo in una scuola. Storie e viaggi dell’operaio europeo”, Pantarei 2020
  • Marco Aime, “L’isola del non arrivo. Voci da Lampedusa”, Bollati Boringhieri 2018