“Traditi, disprezzati, dimenticati”
Gehrard Schreiber
Se vogliamo capire fino in fondo la tragedia dei militari italiani disarmati e internati in Germania dopo l’8 settembre del ’43 dobbiamo fare riferimento a questa eccezionale sintesi effettuata dal primo storico che si è occupato degli IMI, Gehrard Schreiber, nel lontano 1992.
Da notare che Schreiber è tedesco e questo vuol dire che non è stato uno storico italiano il primo ad occuparsi di questo capitolo della nostra storia.
“Traditi, disprezzati, dimenticati”. Perché?
Traditi dal loro re e dal governo Badoglio che nelle ore successive alla comunicazione dell’armistizio lasciano in fretta e furia Roma non dando alcuna indicazione operativa ai propri ufficiali e soldati i quali improvvisamente si trovano a gestire una situazione assolutamente nuova e per certi versi devastante. Il risultato finale sarà il collasso dell’esercito italiano nella pagina peggiore della propria storia e 650.000 militari sfruttati a vantaggio del Reich nelle fabbriche belliche.
Disprezzati dai tedeschi nel momento della cattura e dell’internamento in Germania e in Polonia. Disprezzati perché secondo i tedeschi l’Italia non doveva tradire il camerata tedesco, soprattutto in quel difficile frangente della guerra.
E’ inutile dire che la totalità degli ufficiali e soldati imprigionati non aveva avuto alcuna parte nelle trattative che portarono all’armistizio il quale fu gestito solo da un ristrettissimo numero di persone legate al re e a Badoglio.
Il peso del pregiudizio antitaliano pesò molto nelle condizioni di vita e di lavoro provocando grandi sofferenze e un’alta percentuale di morti.
Dimenticati dalla Repubblica sorta dalla Resistenza e dalla guerra di Liberazione nazionale contro fascisti e occupatori tedeschi.
La Repubblica fu matrigna nel confronti dei sopravvissuti dei campi di concentramento (includerei sia gli IMI sia la vasta categoria di ebrei e di deportati per motivi politici). Poche le provvidenze per chi tornava dai lager e dagli stalag privo di tutto, ancora minore il riconoscimento del ruolo di combattenti all’interno della guerra italiana.
Anche la memoria del 25 Aprile non fu mai in grado di collocare opportunamente questi ex-soldati e ufficiali nel quadro di una Memoria comune. Da qui la sensazione per molti IMI ed altri ex-deportati di essere stati dimenticati da tutti.
Eppure doveva essere chiaro che anche gli IMI dovevano essere inclusi nella storia della Resistenza italiana (A. Natta, “L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania”, 1997) soprattutto per il loro deciso NO a ogni ipotesi di arruolamento nelle milizie di Salò durante la loro prigionia. Purtroppo non fu così.
Da notare che i tanti governi italiani dal ’45 in avanti non hanno mai messo sotto pressione la Germania per il riconoscimento economico del lavoro svolto dagli IMI nel Reich durante la guerra.
La necessità di mantenere buoni rapporti politico-economici con la Germania occidentale escludeva qualunque iniziativa di Roma verso il governo tedesco.
E così anche lo sfruttamento del lavoro fu cancellato oppure fu causa di ulteriori amarezze per gli ex-schiavi di Hitler (indennizzi miserrimi).
Insomma, fu un grande dramma che si consumò nella tragicommedia dell’armistizio, nelle inaudite sofferenze della prigionia e si prolungò lungo i decenni della seconda metà del Novecento quando l’oblio dei mass media e dell’opinione pubblica rendeva quel silenzio ancora più inaccettabile.
Ben vengano quindi libri come questo di Rita Cavallari che contribuiscono a far uscire la vicenda degli IMI da un cono d’ombra durato troppo a lungo.
G. Schreiber, “I militari italiani nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945; traditi, disprezzati”, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1992