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“Perché siamo ancora fascisti?”. La mancata defascistizzazione in Italia (1945-48)

La mancata defascistizzazione in Italia

Francesco Filippi in un suo saggio del 2020 si chiede “Ma perché siamo ancora fascisti?”.

Dopo 76 anni dal 1945 e dopo poco più di un secolo dalla fondazione a Milano dei Fasci di combattimento una parte della popolazione italiana guarda ancora al fascismo come esperienza tutto sommato positiva.

E’ un problema complesso e la risposta non facile. Tenteremo di rispondere chiedendoci: “Ma il nostro Paese ha mai fatto i conti con il fascismo? C’è mai stata una profonda epurazione nello Stato? Nell’alta burocrazia? Tra coloro che allora avevano in mano industrie e finanza?

E’ molto probabile che tutto questo non sia accaduto e il passaggio solo formale da uno Stato fascista a una Stato democratico può spiegare molte cose.

La “mancata defascistizzazione italiana” ha una sua storia. In sintesi.

25 luglio: il fascismo senza Mussolini

Dopo il terremoto del 25 luglio del ’43 il nuovo governo Badoglio ordina la soppressione del PNF. E’ vero che le statue di Mussolini e i fasci littori ovunque vengono scalpellati ma la struttura dello Stato rimane integra intanto che si prepara l’8 settembre.

Avevano ragione le sinistre a dire che il governo Badoglio non era altro che un “fascismo senza Mussolini”. Molti prefetti, questori e podestà erano rimasti al loro posto e così molti stretti collaboratori di Mussolini ora badogliani.

Nessuno in quei giorni vuole scagliare la prima pietra… Anche ai livelli più bassi l’epurazione fu portata avanti con il contagocce.

8 settembre: il fascismo di nuovo al potere

Con l’8 settembre nel nord tutto il nord diventa parte della neonata RSI mentre nel sud il governo del re non procede meglio sul terreno dell’epurazione. A mano a mano che il territorio viene liberato dagli anglo-americani il governo Badoglio lascia al proprio posto i funzionari ai vari livelli.

Una legge del dicembre ’43 dovrebbe allontanare dai pubblici poteri i funzionari più esposti ma la norma non viene applicata altrimenti anche Badoglio e il re sarebbero stati incriminabili.

E poi chi avrebbe giudicato visto che tutti i magistrati collusi con il fascismo sono rimasti al loro posto.

Una legge dell’estate del ’44 sembra più incisiva perché colpevolizza il fascismo in quanto tale.

L’Alto Commissariato all’Epurazione

Nasce un Alto Commissariato all’Epurazione (nelle zone liberate) con la presidenza di Carlo Sforza, liberale e oppositore di Mussolini nei primi anni venti. Il numero di processi è però basso.

L’impotenza di Parri

Neppure il governo Parri (giugno-novembre ’45) che avrebbe dovuto attuare lo spirito della Resistenza seppe come muoversi. Tra veti incrociati dei vari partiti nel suo governo l’epurazione non avanzò di un passo. Il “Vento del nord” sembrava quietarsi.

Alla fine del ’45 questi sono i numeri:

– 40.000 persone coinvolte nei processi per collaborazionismo con il fascismo

– 6.000 condannati di cui 250 alla pena di morte (91 esecuzioni effettive)

– Si trattava in gran parte di “pesci piccoli”. Gli “squali” del regime ebbero pochi problemi

Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Danimarca, Norvegia fanno di meglio

La legge avrebbe dovuto incriminare tutti i quadri alti e intermedi della RSI, oltre ai combattenti e alle milizie di Salò e naturalmente anche ampie fette di apparato statale e del “consenso” attivo al fascismo durante il Ventennio.

L’”epurazione selvaggia”. Il “Sangue dei vinti”

Proprio mentre i tribunali ordinari mostrano la fiacca è ampiamente diffusa la giustizia partigiana tipica di ogni guerra civile combattuta con asprezza.

I dati ai noi disponibili delle fucilazioni sommarie sono:

– Torino, 3200 omicidi di fascisti

– Bologna, 1749

– Venezia, 1239

– Genova, 871

– Palermo, 720 (molti delitti sono mafiosi)

– Milano, 700 circa

In totale i fascisti uccisi sono 15.000 circa tra aprile e agosto ’45. E’ la “Resa dei conti”, il “Sangue dei vinti”.

In gran parte si trattava di “pesci piccoli”, squadristi antemarcia, capi locali del PNF, piccoli funzionari… I leader del fascismo seppero in gran parte evitare vendette e processi. Uno per tutti il generale Rodolfo Graziani.

A questo punto arriva l’Amnistia Togliatti.

L’Amnistia Togliatti

Il testo migliore per fare i conti con questo vero e proprio “colpo di spugna” sulle responsabilità del fascismo e dei singoli fascisti è quello di Mimmo Franzinelli, “L’Amnistia Togliatti: 1946 colpo di spugna sui crimini fascisti” (2016).

Da notare che il decreto non fu firmato solo da Togliatti (in quel momento ministro della Giustizia) ma dall’intero governo De Gasperi in cui c’erano anche il socialista Romita all’Interno, il comunista Gullo all’Agricoltura e Nenni vicepresidente del Consiglio.

L’articolo n. 1 prevede l’amnistia (quindi la stessa cancellazione della colpa) per tutti coloro che erano stati condannati a pene inferiori a cinque anni (buona parte dei detenuti esce dal carcere).

L’articolo n. 2 cancella invece tutte le sentenze dei tribunali partigiani e dei pochi processi contro esponenti di Salò. Il risultato finale è un enorme colpo di spugna che svuota le carceri e impedisce di portare a giudizio altri fascisti. Alla fine furono 10.000 i fascisti che uscirono in un paio di mesi dal carcere.

Infatti venne liberata gente come Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Carlo Scorza, Renato Ricci, Paolo Orano e tanti altri fedelissimi di Mussolini. Ne beneficiarono magistrati e collaborazionisti, stragisti e delatori, torturatori di partigiani e “cacciatori di ebrei”.

Anche i torturatori dei partigiani e degli antifascisti uscirono presto dal carcere sulla base di sentenze che oggi appaiono ridicole.

Una norma della legge, i cui effetti furono devastanti, prevede pene pesanti solo per “sevizie particolarmente efferate” (!). Anzi la legge distingue tra “torture normali”, “sevizie” e “sevizie particolarmente efferate”.

Una sevizia è sempre una sevizia. E così accigliati magistrati fascisti discussero a lungo quanto lo stupro di gruppo ai danni di una partigiana potesse essere classificato “tortura normale”, “sevizia” o “sevizia particolarmente efferata”.

Quando era chiaro che la donna era stata stuprata e seviziata a lungo, spesso con danni irreparabili agli organi genitali, i giudici decisero per “sevizie normali” perché la partigiana era in ogni caso abituata all’”amore di gruppo” in baita con i partigiani (!).

Anche le sevizie con il filo elettrico ai genitali attraverso i fili di un telefono da campo vennero considerate una semplice tortura perché altrimenti i torturatori avrebbero usato la “corrente ordinaria”. Allo stesso modo i partigiani appesi al soffitto e presi a calci e pugni come un sacco da pugile furono considerati “torturati”.

Scrisse bene un anonimo ragioniere di Venezia quando disse che Togliatti era ministro della Grazia… non della Giustizia.

Due casi limite dell’Amnistia Togliatti: Gaetano Azzariti e Mario Cortellini

Poté capitare che un personaggio come Gaetano Azzariti, già presidente del Tribunale della Razza dal ’38 al ’43 potesse diventare stretto collaboratore di Togliatti nel suo ufficio di Ministro di Grazia e Giustizia.

Il capo dei comunisti italiani che collabora strettamente con uno dei responsabili del razzismo anti ebraico dal ’38 in avanti! L’Italia è davvero un paese “strano”.

Ma non è finita qui. Azzariti concluse la sua carriera come presidente della Corte Costituzionale negli anni cinquanta.

Altro caso clamoroso (degno di un film di Totò) fu quello di Mario Cortellini, responsabile dei sequestri ai danni degli ebrei a Venezia.

Poi, dopo la Liberazione, lo vediamo a capo dell’Ufficio Recupero Beni Ebraici. Da sequestratore di beni a restitutore degli stessi beni, magari alle stesse persone.

I partigiani tornano in montagna

Di fronte all’amnistia “svuota-fascisti” alcune centinaia di partigiani comunisti tornano in montagna in evidente contrasto con il loro leader.

Sembrava che De Gasperi volesse far intervenire l’esercito ma l’intervento dei maggiori dirigenti del Clnai evitò il peggio e i partigiani, seppure riluttanti, scesero dalle montagne.

L’epurazione contro i partigiani

L’epurazione ci fu ma contro i partigiani e gli antifascisti che erano entrati nell’amministrazione statale subito dopo l’insurrezione.

De Gasperi con determinazione sostituì tutti i prefetti nominati dal Clnai con funzionari di carriera. Mario Scelba, ministro degli Interni dal ’47, epurò con solerzia dalla polizia tutti i partigiani che vi erano entrati dopo l’aprile del ’45.

Nel 1960 si calcolò che 62 dei 64 prefetti in servizio erano stati funzionari sotto il fascismo. La stessa cosa per tutti i 135 questori e per i loro 139 vice. Solo cinque di essi avevano partecipato in qualche modo alla Resistenza.

Lo Stato democratico si dimostrava non solo incapace di processare il proprio passato ma anche di esprimere una politica basata su un’elementare senso di giustizia.

Perché Togliatti volle una legge simile?

Potremmo rispondere per dimostrare che “i comunisti non mangiano i bambini”, ossia per piacere alla piccola e media borghesia italiana e ottenere vantaggi elettorali.

Lo scrisse lui stesso: “Da un lato bisognava far capire a determinate masse di ex fascisti che non vogliamo mantenerli al bando, dall’altro lato far capire che siamo un partito ragionevole che è capace in momenti determinati di dire una parola pacificatrice”.

Togliatti sperava con l’amnistia di rimanere al governo nonostante la Guerra Fredda e lo stretto legame del PCI con l’URSS. Nel maggio del ’47 fu ripagato da De Gasperi con l’esclusione del PCI e PSI dal governo!

Naturalmente non dobbiamo addossare la colpa a Togliatti e alla sua amnistia, caso mai la legge del 22 giugno del ’46 può essere vista come un evidente passo in avanti verso la “continuità dello Stato” tra fascismo e democrazia.

Il ruolo degli Alleati

E’ fondamentale tenere in considerazione che gli anglo-americani non avevano nessun interesse a promuovere in Italia una radicale epurazione che avrebbe eccitato gli animi, fatto il gioco delle sinistre e creato problemi alla ripartenza dell’economia.

Come in Germania gli anglo-americani furono paghi del processo di Norimberga, in Italia sembrarono soddisfatti della fucilazione di Mussolini e dei maggiori dirigenti.

Non dimentichiamo che in Italia c’era il maggior partito comunista dell’Occidente, chiaramente alleato alla Russia di Stalin. Tenere lontano il PCI e l’alleato Psi dal potere era un chiodo fisso nella politica alleata.

La “mancata Norimberga italiana”

Neppure i criminali di guerra italiani furono estradati per essere processati nei vari paesi dove l’esercito italiano si era macchiato di veri e propri crimini contro l’umanità in Etiopia, Grecia, Slovenia, Croazia e Montenegro.

Le autorità anglo-americane in Italia non vollero mai istituire una “Norimberga italiana” ora che l’Italia doveva svolgere un ruolo di primo piano nel confronto USA-URSS.

In totale erano poco più di 1200 i presunti criminali di guerra italiani. Iniziando da Graziani e Badoglio c’era il fior fiore dei vertici dell’esercito e dell’amministrazione civile italiana nei territori occupati.

Nessuno pagò di deportazioni di civili, villaggi incendiati, istituzione di lager, fucilazioni sommarie… anzi alcuni fecero brillanti carriere negli anni cinquanta.

Vediamo nel dettaglio quanto l’Italia post ’45 è molto simile all’Italia precedente.

La magistratura

Nel caso della magistratura l’epurazione fu un completo fallimento. Sarebbe stato importante epurare la magistratura da ogni compromesso con il fascismo rimuovendo giudici e avvocati compromessi con il passato regime. Una nuova magistratura poi avrebbe epurato con piena legittimità.

Non potendo rimuovere tutti i magistrati si sceglie di esaminare i magistrati più compromessi con il regime, non analizzando le loro sentenze ma i loro scritti. Passa il principio della non punibilità del magistrato che applica la legge dello Stato.

Eppure tra di loro ci sono i responsabili delle sentenze contro i comunisti, i socialisti, i democratici, gli antifascisti; c’è chi ha represso gli scioperi o le proteste di operai e contadini; chi ha collaborato con i tedeschi per deportare i lavoratori verso i lager nazisti.

Solo a 400 magistrati (10%) vengono incolpati addebiti di varia natura. Con le varie amnistie e indulti fecero ben poco carcere.

Fuori anche i carnefici degli ebrei

Da ricordare che anche chi contribuì a incarcerare gli ebrei dopo l’8 settembre, a denunciarli e a collaborare con i nazisti nella loro deportazione ad Auschwitz non ebbe problemi con la giustizia.

Nessuno venne messo in carcere o tanto meno condannato per la promulgazione delle Leggi Razziali nel ’38 oppure per la deportazione ad Auschwitz.

Saranno questi uomini sopravvissuti al regime e scampati all’epurazione a guidare la nuova Italia.

La pubblica amministrazione

Un generale repulisti avrebbe dovuto privilegiare all’inizio la rimozione dei prefetti fascisti quali cinghia di trasmissione tra i poteri centrali e periferici dello Stato. Il fascismo anzi aveva esaltato la figura del prefetto dotandolo di forti poteri.

Nel settembre del ’47 la Commissione per l’epurazione del personale dell’Amministrazione civile presenta i propri dati:

– sono 137 i prefetti nel luglio del ’43

– si aprono indagini su 82 di loro (60%)

– 74 vengono prosciolti

– solo 8 (!) (6% del totale) viene deferito al secondo grado di giudizio

– cifre simili per viceprefetti, segretari e personale delle prefetture

Intanto i “Prefetti della Liberazione” vengono ad uno a uno rimossi da funzionari statali in precedenza fascisti.

I funzionari pubblici

385.500 sono dipendenti della Pubblica Amministrazione

– 218.000 vengono sottoposti a indagine (57%)

– nel luglio’45 sono 26.000 pratiche sono “iniziate” (!)

– quelle concluse sono 17.000 (meno dell’8%)

– condanne solo per 738 funzionari (0,3%)

– rinviati a giudizio, 0,19% di tutto il personale

Si va avanti fino al 1958 ma quasi tutti i dipendenti pubblici rimangono al loro posto o vengono riammessi con il pagamento degli stipendi arretrati.

Nemmeno con l’apparato burocratico di Salò si riesca a fare pulizia. Molti sono pronti a saltare sul carro dei vincitori oppure si tengono alla larga per un po’ di tempo.

Fino alla metà degli anni settanta avremo nello Stato personale di formazione fascista.

Alla fine degli anni quaranta andarono in pensione i vecchi magistrati del Ventennio. Poi avremo i “giovani” che avevano studiato sotto il fascismo.

L’università e la scuola

Il mondo della scuola era stato fortemente fascistizzato perché giudicato prioritario nella formazione dei giovani.

Ricordiamo nel 1924 l’imposizione del giuramento al re e alla patria dei docenti universitari e nel 1931 il giuramento al fascismo. Solo 12 docenti universitari su poco più di 1200 non giurano.

Anche l’espulsione dei docenti ebrei con le Leggi Razziali del ’38 non provoca nessuna protesta nella scuola “ariana”.

Dopo il 25 luglio ’43 anche in questo settore si tenta l’epurazione ma è difficile trovare un criterio valido per colpire. Tutti i docenti hanno chiesto la tessera e manifestazioni di sudditanza nei confronti del fascismo le hanno fatte tutti.

Per farla breve nessun professore universitario perse il lavoro per accuse di filofascismo.

Un caso significativo è quello di Carlo Antonio Avenati, professore di Storia e Dottrina del Fascismo a Napoli durante il Ventennio.

Inizialmente epurato approfittando di amnistie e amnesie nel 1954 ritorna in università. Visto che la sua cattedra era stata abolita, terminò la sua carriera come docente di storia del Risorgimento.

Anche Giuseppe Bottai può tornare all’insegnamento nel 1951 ma decide di andare in pensione.

Tolta l’anzianità dei singoli, l’università del dopoguerra sarà praticamente uguale a quella del Ventennio.

Anche tra gli insegnanti di scuola media e superiore nessuno perde il posto per attività filofascista.

Questo vuol dire che l’educazione dei giovani post ’45 venne affidata, con gli stessi programmi, agli stessi docenti dei loro padri.

Il mondo economico

I big della finanza e dell’industria avevano espresso alte forme di consenso e di collaborazione con il fascismo. Anche in questo settore l’epurazione sarebbe stata importante.

Finita la guerra si capisce subito che per ricostruire al più presto è opportuno che chi comanda stia al suo posto come garanzia per una rapida ripresa economica.

Il caso Valletta

Il caso più emblematico è quello della Fiat che durante il Ventennio ha avuto molti benefici dal fascismo e ha approfittato della guerra per fare lauti affari.

Con la caduta del fascismo Giovanni Agnelli ha lasciato il posto a Vittorio Valletta. Nel marzo del ’45 il CLN decreta l’epurazione di Valletta e il commissariamento della FIAT.

Quando compare davanti alla Commissione per l’epurazione, a guerra finita, Valletta vanta i milioni di lire che ha passato al CLN Alta Italia, le benemerenze per aver appoggiato in fabbrica i partigiani e altro. Vanta (ed era vero) importanti amicizie con l’amministrazione anglo-americana in Italia.

C’è da dire che le autorità americane sono poco interessate a una politica di epurazione che metta in difficoltà la ripresa economica. Morto Mussolini e i gerarchi più importanti per loro la defascistizzazione è già finita.

Già nel febbraio del ’46 Valletta è pienamente reintegrato nell’azienda dove rimarrà fino al ’66.

Pirelli e Marzotto

Caso molto simile è quello di Alberto Pirelli. Negli anni trenta ricopre cariche di prestigio nel mondo industriale grazie al fascismo.

Epurato da una prima commissione del CLN, viene reintegrato nelle sue funzioni nel ’46.

Potremmo parlare anche di Gaetano Marzotto nel Veneto. Riesce a uscire bene per ostentati finanziamenti alla Resistenza.

Mondadori e Rizzoli

Anche colossi editoriali come Mondadori e Rizzoli rischiano provvedimenti epurativi.

Arnoldo Mondadori fugge in Svizzera nei giorni della fine del fascismo. Torna al comando della sua casa editrice già nella primavera del ’45.

Oltre ai massimi dirigenti le case editrici più importanti non hanno difficoltà a riprendere la loro linea editoriale, naturalmente… democratica.

Gino Boccasile, da Mussolini ai partigiani alla pubblicità

Caso clamoroso nella politica è la ricomparsa di Gino Boccasile, famoso disegnatore al servizio del fascismo nella RSI. Suoi alcuni famosi e incisivi manifesti politici.

Catturato dai partigiani si mise a disegnare manifesti antifascisti per loro. Finita la guerra fece una bella carriera nell’industria privata sempre come disegnatore pubblicitario.

Nel giornalismo

Tutti i quotidiani erano stati irregimentati al regime. Direttori e giornalisti avevano operato e scritto a favore del regime fino all’ultimo minuto.

Alcuni importanti direttori di quotidiani erano sicuramente impresentabili. La stragrande maggioranza dei giornalisti invece si adattò alla nuova aria che si respirava.

Casi clamorosi furono quelli di Giorgio Bocca ed Enzo Biagi al “Resto del Carlino”.

Bocca ancora nel ’42 era fortemente antisemita mentre Biagi dava giudizi lusinghieri al film nazista “Suss l’ebreo”. Poi faranno scelte coraggiose e queste andranno a loro merito.

Anche nel mondo del giornalismo dobbiamo mettere in evidenza come i nuovi valori antifascisti e democratici vennero difesi da giornalisti che avevano imparato il mestiere sotto la dittatura.

Nel mondo politico

Anche nel nuovo mondo politico ispirato ai valori della Costituzione repubblicana assistiamo a situazioni paradossali. Tornano in pista personaggi come:

– Amintore Fanfani. Giura al fascismo come docente universitario nel ’36 e nel ’38 collabora con la redazione de “La Difesa della Razza”. E’ tra i firmatari del “Manifesto della razza” (1938). Nel ’43 è in Svizzera e poi pronto a ripartire nelle file della DC

– Fernando Tambroni, tessera fascista dal 1926 fino al ’43

– Luigi Einaudi, Antonio Segni, Giovanni Leone (tre futuri presidenti della repubblica) hanno solide cattedre universitarie durante il fascismo. Einaudi è anche senatore del Regno

– Il monarchico Enrico De Nicola è il primo presidente della Repubblica. E’ il presidente della Camera al tempo della Marcia su Roma fino al ’24. Poi si ritira dalla vita politica attiva

– La DC è il maggior partito in cui avviene il riciclaggio politico degli ex fascisti

– Anche il PCI è aperto ai fascisti in cerca di nuove collocazioni politiche. Verranno chiamati i “Fascisti rossi”

– Pietro Ingrao, partecipe più volte negli anni trenta ai Littoriali della cultura e dell’arte prima di aderire al Pci nel 1940. Fu l’ “eterno secondo dei Littoriali” secondo A. Giannuli

Nel mondo culturale

Il discorso sarebbe lungo elencando i tanti uomini di cultura che aderirono al fascismo spesso con fervida convinzione e poi fecero finta di niente oppure diedero giustificazioni discutibili.

Roberto Rossellini

Il caso più clamoroso è forse quello di Roberto Rossellini. Appena finita la guerra gira il trittico della Resistenza:

– Roma città aperta (1945)

– Paisà (1946)

– Germania anno zero (1948)

Pochi ricordano che durante la guerra girò:

– La nave bianca (1941)

– Un pilota ritorna (1942)

– L’uomo della croce (1943)

La Costituzione antifascista

Con la Costituzione antifascista del’48 è stabilito che “è vietata la riorganizzazione del disciolto partito fascista” (Disposizioni transitorie e finali) ma si permette al MSI di iniziare la propria attività politica (dicembre ’46).

E’ un partito che è frutto dell’Amnistia Togliatti (due terzi del Comitato centrale del partito). Senza l’amnistia sarebbero stati tutti in carcere. Almirante, Servello, Rauti, Pisanò… devono ringraziare il Guardasigilli.

Non passa un mese dalla promulgazione della Costituzione e nel febbraio del ’48 una nuova amnistia regolarizza molte posizioni rimaste aperte nella pubblica amministrazione che in alcuni settori rischiava la paralisi.

L’Articolo 7

Non dimentichiamo che nella Costituzione repubblicana e antifascista trova spazio il Concordato clerico-fascista firmato da Mussolini e dal cardinal Gasparri l’11 febbraio del ’29. In quell’occasione Mussolini fu definito l’”Uomo della Provvidenza”.

Da notare che rimangono in vigore leggi e codici fascisti, ora in palese contraddizione con la Costituzione.

Due film sul tema del fallimento dell’epurazione:

– “Anni difficili” di Luigi Zampa (1948)

– “ L’arte di arrangiarsi” di Luigi Zampa (1954)

In conclusione

Tutti questi provvedimenti fanno sì che all’inizio degli anni cinquanta siano davvero pochi i detenuti in carcere per collaborazionismo con il nemico tedesco o per il reato di fascismo.

Per tutti coloro arriva nel 1953 un’amnistia finale che svuota definitivamente le carceri.

A questo punto a dieci anni dalla fine del fascismo e a otto anni dalla Liberazione nessun fascista è più in carcere.

Tutto ciò avrà gravi conseguenze sul piano della memoria inculcando nelle giovani generazioni l’idea che il fascismo era stato, tutto sommato, un regime mite e chi vi aveva appartenuto non aveva commesso nessun reato grave. Tutto ciò influirà nella percezione del fascismo nei decenni successivi.

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è , bisogna che tutto cambi”, dice Tancredi allo zio principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa.

Per fare in modo che nulla cambiasse per la classe dirigente di questo Paese era necessario che le cose mutassero solo apparentemente.

La continuità dello Stato, degli apparati di potere e dei padroni del vapore poteva essere assicurata solo da un’apparente radicale cambiamento quale è stato l’instaurazione della repubblica con la promulgazione della Carta Costituzionale.