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Intervista sul T4, sterminio dei disabili

Questi sono appunti che ho utilizzato per un’intervista a un gruppo di studenti dll’università di Salerno (web radio) che mi hanno intervistato nel settembre ’13 sui temi della T4, ossia sullo sterminio dei disabili tedeschi durante la Seconda guerra mondiale.

1) Qual è nella Germania prenazista il valore che viene dato al corpo del disabile e come cambia questo valore nella Germania nazista?

Non c’è dubbio che solo nella Germania nazista si concretizza un progetto volto ad estirpare la presenza dei disabili all’interno del Reich, prima con le sterilizzazioni di massa e poi con lo sterminio di massa. Nella Germania di inizio secolo oppure nella Germania di Weimar (dopo la Grande Guerra) non c’è nulla di tutta questa violenza. Ma nei decenni precedenti l’avvento di Hitler si prepara il terreno alla successiva discriminazione e persecuzione.

Fin dall’inizio del ‘900 in Germania si assiste a tendenze che è poco definire contraddittorie. Da una parte si costruiscono manicomi in ridenti zone del territorio tedesco, strutture spesso all’avanguardia per pulizia, accoglienza e terapie volte a studiare e sconfiggere l’handicap, spesso gli psichiatri tedeschi si rivelano all’avanguardia nel mondo scientifico internazionale; dall’altra si elevano voci che additano i disabili psichici e mentali come attentatori della salute del popolo e si mettono in evidenza i costi spesso molto alti di gestione di queste strutture.

Tutto questo non è prerogativa della sola Germania, anzi possiamo dire che nella comunità scientifica internazionale c’è un’unico verbo, che oggi appare chiaramente pseudoscientico, l’eugenetica elevata a scienza. L’eugenetica non va confusa con la genetica che è una scienza legittima mentre l’eugenetica era una pseudoscienza che ha fatto molto male all’umanità. È inutile dire che oggi nessuno scienziato serio presterebbe un minimo di attenzione a un discorso eugenetico, ma allora era diverso.

Il fondatore dell’eugenetica fu Francis Galton, il cugino di Charles Darwin (è necessario dire che Darwin non c’entra niente in tutto questo).

La parola eugeneica deriva dal greco e vuol dire “buona razza”, in particolare l’eugenica studia il modo migliore per favorire la riproduzione dei “migliori” (cioè i sani) rispetto ai malati, i quali devono essere tenuti lontani dal processo riproduttivo. Per l’eugenetica un matrimonio oppure una relazione sessuale tra un sano e un disabile è paragonabile a un’unione contro natura perché il figlio di questa coppia avrebbe sicuramente ereditato le caratteristiche genetiche negative della madre o del padre vanificando ogni sforzo dello Stato per migliorare la salute biologica del popolo.

Fondamento dell’eugenetica era la necessaria ereditarietà biologica dei caratteri positivi e negativi. Per esempio se un sano sposa un sordo il figlio necessariamente eredita la caratteristica negativa perché ritenuta più forte rispetto alla caratteristica positiva (un ottimo udito). C’erano molti riscontri che dimostravano il contrario ma la comunità scientifica non teneva in considerazione questi casi. Per esempio Graham Bell (l’inventore del telefono) aveva la madre sorda. Lui invece sentiva benissimo. Sposò una donna sorda che gli diede diversi figli tutti con un ottimo udito! Eppure Bell fu tra i più tenaci negli Stati Uniti per ottenere una legge che sterilizzasse i sordi impedendo loro di trasmettere le loro presunte caratteristiche genetiche negative.

Questa è un po’ l’atmosfera che si respirava in Germania all’inizio del secolo. Conformemente a quanto veniva predicato in tutta l’Europa e negli Stati Uniti si puntava soprattutto sulla sterilizzazione come profilassi per migliorare il volto genetico della nazione.

Poi venne il disastro per la Germania della prima guerra mondiale e della brutale sconfitta che segnò un netto ridimensionamento delle ambizioni imperiali della nazione tedesca. La Germania si trovò improvvisamente impoverita e senza speranza di tornare al precedente benessere.

Nella debole repubblica di Weimar le cose cominciano a cambiare in fretta per i disabili. C’è qualcuno che inizia a dire che la popolazione tedesca è peggiorata geneticamente perché in guerra sono morti i “migliori”, i “sani” mentre nei manicomi hanno continuato a vivere una vita senza prospettive centinaia di migliaia di malati “irrecuperabili”. Altri dicono che la miseria del popolo nei primi anni Venti è incompatibile con il benessere dei pazzi i quali richiedono ingenti risorse economiche che invece dovrebbero essere utilizzate per le generazioni sane. Fino ad un punto di svolta che è rappresentato da un testo che fece discutere anche fuori dalla ristretta comunità scientifica.

Due studiosi, un avvocato e uno psichiatra pubblicano, nel 1920, “Il permesso di uccidere esistenze prive di vita”. Nel libro si dice esplicitamente che è necessario e meritorio uccidere i “gusci vuoti” privi di esistenza, le “bocche inutili”, i “mangiatori a sbafo”, le “vite che non meritano di essere vissute” (sono tutte espressioni tratte dal libro).

I due autori sono Karl Binding (giurista) e Alfred Hoche (psicanalista). È inutile dire che questo testo sarà molto valorizzato dal nazismo per mostrare una certa continuità con il recente passato.

I “gusci vuoti di essere umani” per Binding e Hoche sono non solo i malati incurabili ma anche i bambini ritardati e deformi, i “deficienti” adulti (“gli inutili”). Tra le sintomatologie che richiedono un “aiuto alla morte” (perché sono già morti) i due ricordano le turbe psichiatriche, le lesioni cerebrali, il ritardo mentale.

Tutti questi individui sono “zavorra umana”. Compito dello Stato è uccidere per salvaguardare il sangue migliore che si era impoverito dopo la Prima guerra mondiale con la morte di tanti giovani migliori rispetto ai portatori di tare genetiche, che liberi di vivere avrebbero impoverito il sangue del Volk.

Non è ancora arrivato il tempo di uccidere ma il sasso è stato lanciato e i due autori hanno visto che la reazione della comunità scientifica e dell’opinione pubblica è stata tutto sommato favorevole, pur con qualche distinguo. È inutile dire che Hitler sarà uno dei lettori più attenti di questo libro.

I tempi non sono ancora maturi, nella debole repubblica di Weimar non ci sono ancora le condizioni per soluzioni omicide, ma intanto si prepara il terreno per soluzioni radicali.

Fin dal ’33, anno in cui Hitler prende il potere, più che gli ebrei sono i disabili, i malati cronici a essere presi di mira con una campagna di sterilizzazione di massa che coinvolge fino a 400.000 disabili tedeschi. Non sono tutti ma rappresentano una buona parte della popolazione che viveva nei manicomi e nei vari centri di cura.

Non c’è bisogno di alcuna autorizzazione dei singoli soggetti o dei genitori o parenti: semplicemente è lo Stato che si arroga il “diritto” di sottoporre queste persone a dolorose e pericolose operazioni il cui fine è la salvaguardia della salute pubblica del Volk. Con loro sono sterilizzati anche prostitute, vagabondi, disoccupati cronici, alcolisti, tutti accusati di sperperare le risorse pubbliche, di non meritare di essere cittadini del Reich e di attentare alla salute del popolo mettendo al mondo figli affetti dalle loro stesse tare.

Non si alzano voci di dissenso in Germania durante la fase delle sterilizzazioni di massa che inizia subito nel ’33 per concludersi nel ’39 quando ormai con la guerra si creano le condizioni tanto attese dal nazismo per la “soluzione finale” del problema degli “improduttivi”. Né la chiesa cattolica né le chiese protestanti, né la categoria dei giuristi o dei medici hanno qualcosa da dire di fronte alla sterilizzazione di una parte dei cittadini del Volk, ariani sì ma di serie B, non sani ma degenerati per sempre.

Come mai questo atteggiamento di ostracismo sociale nei confronti dei disabili? La crisi del 1929, particolarmente acuta in Germania, spinge l’opinione pubblica, fagocitata anche dalla propaganda tedesca, a diventare insensibile di fronte alle “esistenze che non meritano di essere vissute”.

2) Come si ottenne il consenso dell’opinione pubblica tedesca al progetto di sterminio dei disabili? Quali campagne di persuasione vennero attuate? Come fu possibile convincere la gente?

L’opinione pubblica tedesca è preparata all’idea di sterminare i disabili da un’accorta campagna propagandistica che tocca le scuole e la gente comune.

Un manifesto dell’epoca diceva: “Questo paziente affatto da malattia ereditaria costa, durante la sua esistenza, 60.000 reich-mark al popolo. Connazionale, si tratta anche dei tuoi soldi”.

A scuola invece vengono dati ai bambini problemi di aritmetica di questo genere: “La costruzione di un manicomio costa 6 milioni di marchi. Quante case si potrebbero costruire con questa somma a 15.000 marchi l’una?”

Come dice Marco Paolini in “Ausmerzen” il risultato è un numero per un bambino e una bestemmia per il padre, magari sottoccupato o disoccupato da tempo. Impera la crisi del ’29 e questi numeri sono macigni in chi non ha lavoro e oppure non ce la fa a tirare la fine del mese.

Che cosa studiano nei licei tedeschi? La “genetica”! In un testo scolastico è scritto: “Una singola alcolista nata nel 1810 aveva 890 discendenti nel 1929: la metà era mentalmente ritardata; 141 prostitute; 142 mendicanti; 76 criminali, 7 assassini, 40 dormono all’albergo dei poveri. Questa donna è costata allo Stato 5 milioni di marchi pagati da gente sana e di valore”.

Da notare che nelle facoltà di medicina di tutta la Germania è obbligatorio l’insegnamento dell’”Igiene razziale” in cui vengono diffusi in veste scientifica i principi dell’eugenetica. Non è un caso che la categoria dei medici e quella degli psichiatri sarà la più attiva a sostegno prima della sterilizzazione di massa e poi dello sterminio attuato prevalentemente con il gas e con le “diete da fame”.

Anche la cinematografia tedesca fece la sua parte per creare il consenso tra l’opinione pubblica tedesca. Alla metà degli anni Trenta, nel momento delle sterilizzazioni di massa, sono girati due documentari: “L’eredità” (’35) e “Vittime del passato” (’37) in cui si proponeva l’immagine di una nazione minacciata da orde di malati mentali, costretta a sacrificare fondi cospicui che sarebbe stato meglio investire per i tedeschi poveri ma razzialmente meritevoli.

In questi due documentari proiettati obbligatoriamente in tutte le sale cinematografiche tedesche si vedono, montate a contrasto, immagini di bellissimi giovani del Reich accanto a immagini raccapriccianti di pazzi e “idioti” ripresi in gesti e atteggiamenti volti a suscitare più il disgusto che la pietà nello spettatore.

Soprattutto il secondo, “Vittime del passato”, è stato girato da professionisti che non tralasciano nulla pur di far apparire i disabili nella loro veste peggiore: luci radenti dal basso, la semioscurità, gli ossessivi primi piani. L’obiettivo è chiaro: giustificare la campagna di sterilizzazione di massa e preparare il terreno per il prossimo sterminio, anche se la dirigenza nazista non sapeva quando sarebbe accaduto. L’inizio della guerra (settembre ’39) fornì l’occasione tanto attesa.

“Io accuso” (si sostiene esplicitamente la morte ai disabili) è invece del ’41 quando ormai la prima fase dello sterminio dei disabili era terminato. È un film vero e proprio voluto da Gobbels e girato da un regista allora molto noto.

La protagonista è una tedesca che sviluppa una paralisi progressiva che le impedisce prima di suonare il pianoforte e poi di avere una vita normale. Sarà lei stessa a chiedere al marito di ucciderla. Ci sarà alla fine del film un processo che si concluderà con l’assoluzione del marito e del medico che aveva praticato l’iniezione letale.

Questo è un caso di vera eutanasia. Non fu così per le decine di migliaia di disabili che morirono orrendamente nelle camere a gas senza che nessuno avesse chiesto a loro se veramente volevano morire e se la loro vita era veramente intollerabile.

I risultati di questa campagna di sensibilizzazione non furono quelli attesi perché quando iniziò lo sterminio sistematico dei disabili nacquero forti opposizioni, soprattutto nelle due chiese ma anche tra la gente comune, che non poteva accettare che i propri fratelli morissero nelle camere a gas. Quando fu il momento degli ebrei la società tedesca fu sorda. Evidentemente gli ebrei non appartenevano alla comunità nazionale.

3) Per la prima volta è usato il gas sui disabili. E’ un’affermazione corretta? Quali rapporti intecorrono tra lo sterminio dei disabili e la “soluzione finale del problema ebraico in Europa”?

Effettivamente il gas fu usato per la prima volta per uccidere i disabili tedeschi e austriaci. Prima del 1939-40 non esistevano le camere a gas. Esistevano i gas ampiamente utilizzati sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale ma nessuno fino ad allora aveva pensato di uccidere uomini in uno spazio angusto reso stagno in cui era introdotto il gas. Quindi prima degli ebrei ad Auschwitz, Treblinka e negli altri lager di sterminio il gas viene sperimentato con successo sui disabili.

C’è una differenza rispetto allo sterminio ebraico che non è solo di tipo tecnico. Per i disabili si usa il monossido di carbonio, ossia lo stesso gas che esce dal tubo di scappamento del motore, perché nei sei centri della T4 (Aktion T4) le camere a gas sono piccole e i numeri da gassare non sono elevati.

La camera a gas del castello di Hartheim (Alta Austria) misura 6 metri di lunghezza e 4 di larghezza. L’ideale per arrivi di 50-60 persone alla volta dai diversi istituti per malati mentali di Austria e Baviera.

Ad Auschwitz i “numeri da trattare” sono ben maggiori e i chimici della T4 si rendono conto che il monossido di carbonio è inefficace. A questo punto era necessario trovare una soluzione e fu rapidamente trovata già alla fine del 1941 con lo Ziklon B, un potente gas già utilizzato ampiamente per distruggere ratti e parassiti nelle caserme, nelle stive delle navi e dovunque ci fosse bisogno di interventi radicali. In contenitori da 5 o 10 kg lo Ziklon B divenne il gas simbolo di Auschwitz.

Ma l’esperienza della T4 fu fondamentale quando fu necessario passare alla “soluzione finale del problema ebraico”, ossia lo sterminio di milioni di essere umani.

Uno degli errori della T4 fu quello di creare centri di sterminio in zone della Germania vicino a centri abitati. Scelta necessaria per utilizzare le strade esistenti e strutture (vecchie caserme dismesse, ospedali funzionanti, vecchi castelli requisiti) già pronte. Ma dopo poco tempo chi viveva vicino ad Hartheim o Hadamar sapeva tutto quello che avveniva all’interno: vedeva i malati entrare e poi dopo un’ora circa vedeva il fumo nero uscire dal camino e sentiva un puzzo nauseabondo che altro non era che carne bruciata nei forni.

Quando si trattò di passare allo sterminio degli ebrei questi “errori” non si fecero: vennero scelte nella Polonia orientale aree poco nulla abitate dove lo sterminio poteva avvenire lontano da occhi indiscreti. Penso a Treblinka, Belzez, Chelmno, Sobibor. Anche Auschwitz, nonostante la grandezza dell’area occupata, era ben collegata con la rete ferroviaria che collegava l’Europa centrale ma le strutture di messa a morte erano lontane da centri abitati di una certa grandezza.

Quindi non è sbagliato dire che lo sterminio dei disabili (Progetto T4), attuato dall’autunno del ’39 fino all’estate del ’41, fu una tragica prova generale del più ampio sterminio ebraico in cui la dirigenza nazista sperimentò soluzioni tecniche (gas e forni d’incenerimento), creò personale qualificato (poi in gran parte utilizzato nei lager di sterminio), e cercò di operare economie utili durante la guerra (lo Ziklon B era sicuramente molto più economico del monossido di carbonio in bombole, difficili da procurare in tempo di guerra e difficili anche da trasportare in Polonia).

Ormai agli storici è chiaro che i nazisti cercarono di sterminare tre categorie di persone: ebrei, zingari e disabili. Variarono solo i tempi (prima i disabili, poi ebrei e zingari), i luoghi (la Germania e l’Austria per i disabili, la Polonia per gli ebrei).

Uguale fu l’odio pervicace che fu alla base dello sterminio di tanta gente.

4) Gli scienziati del Reich non risparmiarono neppure i bambini, anzi si accanirono particolarmente con loro. Perché?

E’ vero, prima degli adulti si sperimentano modalità di uccisione di massa con i bambini disabili. L’occasione per dare inizio all’ “uccisione pietosa dei bambini idioti” (prima ancora degli adulti) è il caso del “Bambino-Knauer”.

La richiesta di eutanasia era stata fatta dal padre, un contadino di nome Knauer (siamo in Sassonia). Il bambino era effettivamente malformato: era nato senza una gamba e un braccio ma anche il cervello era leso. Questo accadde tra la fine del ’38 e l’inizio del ’39, prima ancora dell’inizio della T4.

La lettera del padre arriva sulla scrivania di Hitler il quale intuisce subito le potenzialità di questo caso. Hitler dà l’ordine al suo medico personale, il dott. Karl Brandt, di verificare le condizioni del bambino e di somministrare il farmaco che lo avrebbe fatto morire “pietosamente”. Il bambino era effettivamente nelle condizioni descritte dal padre e Brandt lo uccise con un’iniezione. È il primo bambino ucciso.

La stampa dà molto risalto all’intervento del dott. Brandt. L’opinione pubblica non reagisce (si trattava di un bambino nato gravemente malformato e “idiota”).

Si decide di iniziare a uccidere con i bambini molto piccoli sino all’età di tre anni.

Come funziona l’omicidio di Stato? Le levatrici e i medici di famiglia dovevano denunciare la nascita di bambini con “malattie ereditarie gravi”. I primari delle cliniche in cui i bambini erano degenti dovevano rispondere ai questionari del Ministero della Sanità del Reich.

A tre medici veniva chiesto di leggere ogni cartella clinica e di formulare un giudizio sui singoli bambini. I tre medici decidevano della vita o della morte senza neppure visitare il bambino.

Le uccisioni vennero realizzate in una trentina di istituti pediatrici di tutta la Germania. I primari vennero ampiamente informati di quanto accadeva nei loro reparti.

Ai genitori naturalmente non si diceva niente di tutto questo. I genitori venivano informati dai medici di famiglia  che i loro figli potevano avere nuove cure, magari miracolose, in ospedali particolari e dovevano dare il loro consenso.

Se i genitori recalcitravano si facevano pressioni su di loro minacciando di togliere loro la patria podestà oppure di inviarli al servizio obbligatorio di lavoro.

Per i bambini il gas non era necessario, bastavano determinati farmaci in dosi massicce: luminal e morfina furono i più utilizzati. In altri casi venivano lasciati morire letteralmente di fame.

La causa del decesso veniva poi individuata tra le malattie più comuni e comunicata ai familiari. Per i bambini ebrei o di “sangue misto” non ci sono problemi, sono uccisi senza neppure avvisare i genitori della loro morte.

Spesso prima di essere seppelliti si prelevavano i cervelli dei bambini e questo dava agli occhi dei medici una parvenza di legalità e di utilità per la scienza. Capire il funzionamento del cervello per prevenire le malattie ereditarie più pericolose! Per i medici lo studio dei cervelli poteva aprire prospettive di carriera promettenti.

Nella sola prima fase, dal ’39 al ‘41 il numero di bambini uccisi fu di circa 5.000.

È necessario dire che l’uccisione dei bambini piccoli creava meno problemi rispetto agli adulti perché la tenera età dei bambini faceva accettare ai genitori con più facilità la loro morte.

Questi bambini non poterono nascere “due volte” come nel romanzo di Giuseppe Pontiggia (“Nati due volte”): la prima nascita è quella resa difficile dalla loro “diversità”, la seconda è quella resa amorevole dai genitori. I bambini tedeschi uccisi nacquero una sola volta, a loro fu negata la vita e l’affetto dei loro genitori.

Dopo i bambini piccoli si passa ai bambini dai tre anni in su fino agli adolescenti “immeritevoli di vivere”.

Particolarmente toccante è la storia di uno di loro di nome Ernst Lossa narrata da Marco Paolini in “Ausmerzen”. Lossa probabilmente era uno “zingaro bianco”, ossia figlio di vagabondi non zingari che spesso si univano agli zingari veri e propri nei loro vagabondaggi. È inutile dire che nella Germania nazista “legge e ordine” non c’era spazio per chi non aveva lavoro regolare e domicilio riconosciuto dalla legge.

Fatto sta che Lossa dopo essere stato rifiutato da un istituto scolastico perché troppo indisciplinato agli occhi degli operatori educativi venne mandato in uno di questi istituti dove si uccideva con la fame. Ma lui mostrò una resistenza e una voglia di vivere che sembravano vanificare ogni sforzo per prostrare le sue energie e portarlo alla morte.

Alla fine, dopo un anno in questo istituto che si trovava nel sud della Baviera, venne avvelenato da un infermiere per ordine del direttore. Quando morì aveva 13 anni.

5) Il tema della Memoria in Germania e Italia. Si può parlare di Memoria dello sterminio dei disabili in questi due Paesi? Oppure le reticenze o le strumentalizzazioni prevalgono ancora?

Sul tema della Memoria di quanto accaduto è necessario fare una distinzione tra Germania e Italia. L’Italia non è toccata, oppure solo in minima parte da quanto accade in Germania.

Non che sia valida la leggenda di un fascismo “buono” rispetto a un nazismo colmo di orrori. Semplicemente nell’agenda di Mussolini non c’era un progetto di tal fatta che in ogni caso avrebbe incontrato l’opposizione del Vaticano.

È solo la Germania che uccide i propri disabili mentre in altri paesi al massimo si passò alla fase della sterilizzazione di massa come è il caso degli Stati Uniti fin dagli anni Venti del Novecento e della Svezia dagli anni Trenta fino addirittura agli anni Sessanta del secolo scorso.

Finita la guerra e terminato il processo di Norimberga, nel quale furono condannati a morte molti medici nazisti per omicidi ed esperimenti sugli ebrei, tutto venne messo a tacere in Germania negli ambienti della psichiatria e della medicina.

Si può citare il caso di Alice Ricciardi von Platen, allora giovane dottoressa tedesca, la quale riceve l’incarico dall’ordine dei medici di capire che cosa era accaduto nell’ambito del “Progetto Eutanasia” negli anni della guerra.

Quando la von Platen finisce la sua indagine trova davanti a sé un muro di silenzio e apparente indifferenza. Infatti il suo testo, già pronto nel 1946, dovette attendere fino al 1980 per essere pubblicato in Germania con il titolo “Il nazismo e l’eutanasia dei malati di mente”.

Subito dopo la pubblicazione si creò un grande clamore: sembrava che molti tedeschi aspettassero questo momento per approfondire e discutere in modo critico un particolare momento della loro storia.

Ora in Germania non si contano libri, articoli, pubblicazioni sul tema dello sterminio dei disabili. Anche gli psichiatri e i medici tedeschi hanno preso atto di quello che è accaduto e degli errori che sono stati commessi da uomini spesso molto colti che però credettero uccidendo di aiutare il proprio Paese e di far progredire la scienza.

Un altro forte stimolo in Germania è stato fornito da un giovane psichiatra che nel 1980 divenne direttore dell’ospedale psichiatrico di Kaufbeuren (Baviera del sud) dove il direttore Valentin Falthauser aveva ucciso bambini e adulti fino a dopo la fine della guerra. Michael von Cranach, arrivando a Kaufbeuren, si era reso conto che c’era un passato recente che nessuno all’interno della struttura voleva conoscere.

Con molta volontà e vincendo forti resistenze von Cranach non solo riportò alla luce quello che era accaduto nell’istituto di cui ora era direttore ma si diede da fare per far emergere in tutta la Germania anche questa imbarazzante e dolorosa pagina.

Diverso è il caso dell’Italia. Come ho detto il nostro Paese fu debolmente legato a questa vicenda. Enrico Morselli (psichiatra) nel 1923 aveva chiesto una legge che permettesse di uccidere i disabili, per “liberarli dalle loro sofferenze” e per risparmiare risorse. Ma non si fece nulla.

I pazienti del manicomio di Venezia furono deportati in Austria per volontà delle autorità tedesche che nel 1944 controllavano direttamente alcune zone d’Italia. Appena arrivati furono soppressi.

Diverso fu il caso dei pazienti del manicomio di Pergine in Val Sugana (Trento) i quali nel 1940 optarono per vivere nel Reich ma appena arrivati in Germania furono subito uccisi. È il momento della T4.

Questa relativa estraneità del nostro Paese nell’ambito della T4 spiega il forte ritardo rispetto alla Germania o ai paesi di lingua anglosassone dove queste tematiche sono note da tempo.

Eppure qualcosa di imporante è accaduto anche da noi. Mi riferisco alla bellissima performance di Marco Paolini in “Ausmerzen” di qualche anno fa su La7. Da quel momento è come se si fosse aperto uno scenario fino a quel momento celato dalle nebbie della storia. Nelle scuole si è incominciato a parlare dello sterminio dei disabili e tra l’opinione pubblica si notano segni di discreto interesse.

Sarebbe importante che un contributo alla tutela della Memoria arrivasse anche dalle associazioni di volontariato che aiutano i disabili. Anche se mi rendo conto che questo tema non può non scuotere genitori e volontari che vivono ogni giorno accanto ai disabili.

Speriamo che anche questa Memoria si radichi in Italia, non per far concorrenza ad altre Memorie ma solo per rispetto delle vittime. Certo, il cammino da fare è ancora molto lungo.

Giancarlo Restelli, settembre 2013