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Boris Pahor e Graziano Udovisi

“Boris Pahor e Graziano Udovisi,

dal fascismo di confine alla tragedia delle foibe”

Appunti per conferenza

“Ancora oggi per molte persone che si definiscono di sinistra resta difficile parlare delle foibe senza sudare freddo, senza guardarsi le spalle, senza ricorrere a continue giustificazioni, senza cambiare argomento”.

John Foot, “Fratture d’Italia”, Rizzoli

Ricostruiremo gli avvenimenti con due testimoni importanti che sono Boris Pahor, famoso scrittore della minoranza slovena in Italia e Graziano Udovisi, l’unico sopravvissuto ad un infoibamento.

Boris Pahor è oggi un arzillo giovanotto di 97 anni, vivente, nato nel 1913 a Trieste. Ormai i suoi libri sono molto letti in Italia e nel mondo. Ma dovette attendere il 2008 con “Necropoli” per avere in Italia il successo che meritava da tempo.

Graziano Udovisi invece è nato a Pola nel 1925 ed è morto l’anno scorso. Milite nella Milizia Territoriale fascista specializzata nella lotta senza quartiere ai partigiani venne infoibato nel maggio del ’45 dai partigiani di Tito. Sopravvive miracolosamente e ha raccontato in molte interviste e in particolare in “Foibe, l’ultimo testimone” la sua vicenda.

La nostra storia inizia con il 4 novembre 1918. Vittoria italiana nella Grande Guerra: l’Italia acquisisceTrento e Bolzano, Gorizia e Trieste, Istria e alcune zone della Dalmazia / dal 1924 anche Fiume

– con il trattato di Rapallo, 1920, inizia l’occupazione italiana / l’Italia è ancora liberale. È l’Italia responsabile dei 650mila morti della Grande Guerra.

Gli italiani in Istria sono circa un terzo rispetto agli slavi (500mila tra sloveni e croati) ed abitano prevalentemente le città costiere mentre le campagne sono decisamente slave.

2/3 di slavi contro 1/3 di italiani: possiamo affermare che lo Stato italiano non aveva alcun diritto nell’occupare queste terre tranne il diritto della forza dopo aver vinto la prima guerra mondiale contro l’Austria.

C’è una espressione per capire la politica dello stato italiano (dal ’25 interamente fascista) in queste terre che dovevano essere italianizzate con la forza e rapidamente:

Snazionalizzazione forzata e in tempi rapidi / Italianizzazione forzata degli slavi / dovevano diventare buoni italiani e in fretta

– Voleva dire: proibizione di parlare lo slavo; italianizzazione dei cognomi slavi (1928) e della toponomastica; chiusura delle organizzazioni assistenziali, culturali, scolastiche slave (1923); riduzione del credito fondiario per allontanare la maggior quantità possibile di slavi dall’Istria  /

– La lingua slovena è proibita:“Qui è proibito parlare” (sloveno a Trieste) di Boris Pahor (2009)

– nascono gli “allogeni”, ossia gli istriani slavi che diventano “stranieri” nel territorio italiano, praticamente cittadini di serie b. Da notare che diventano “stranieri” in casa loro

– repressione del clero sloveno e croato: allontanamento dei sacerdoti che difendono la comunità slovena

– riforma Gentile: nelle scuole è proibito parlare slavo e quindi è proibito l’insegnamento delle lingue straniere (regressione culturale dei giovani slavi).

– repressione degli insegnanti slavi: cacciata dalle scuole e arrivo di maestri italiani razzisti

– la violenza squadrista (molti episodi) / Narodni Dom (Casa della cultura slovena a Trieste) / 20 luglio 1920

– trasferimenti di personale statale sloveno

– roghi di libri sloveni

– l’esodo slavo: circa 30-40mila partenti

Boris Pahor (Trieste, 1913), “Il rogo nel porto” / Zandonai, 2008

“Il rogo nel porto” narra, attraverso gli occhi di un bambino di 7 anni, l’incendio del Narodni Dom, ossia della Casa della cultura slovena a Trieste il 13 luglio 1920 ad opera dei fascisti.

Era un bell’edificio progettato dall’architetto divisionista Max Fabiani nel 1904 che rappresentava il simbolo della nuova presenza slovena a Trieste. Come tale era guardato con odio o preoccupazione dalla borghesia triestina che assisteva alla crescita quantitativa ma soprattutto qualitativa della presenza slava a Trieste.

Un tempo gli slavi erano uomini di fatica, contadini e balie ora invece c’erano giornalisti, avvocati, uomini di cultura, affaristi… molti triestini non riuscivano a capire come gli “sciavi” fossero riusciti a tanto.

Da notare che da soli due anni gli sloveni a Trieste sono cittadini italiani in seguito alla Vittoria del 4 novembre 1918.

In quel momento Pahor ha sette anni ed è testimone muto della tragedia

Da notare che l’incendio del N.Dom è uno dei primi atti di violenza del fascismo in Italia.

ATrieste il fascismo si segnala subito per due componenti:

–         violenza antislava

–         carattere antioperaio

Sotto gli Asburgo gli sloveni disponevano di tutti gli atti amministrativi nella loro lingua, oltre al tedesco e all’italiano. Anche le funzioni religiose sono in sloveno.

Ora con il fascismo devono mimetizzarsi.

–         Secondo Elio Apih si trattò di “genocidio culturale”

–         Secondo Marina Cattaruzza invece non si trattò di una politica razzista di discriminazione e di eliminazione ma piuttosto di “assimilazione radicale”

L’ ”italianizzazione forzata” non riuscì ad intaccare il profondo nazionalismo etnico della minoranza slovena, molto più forte della italianità dei triestini, in gran parte nostalgici dei miti asburgici

Pahor, come scrisse lui stesso, “Non seppe diventare italiano”. Frequentò quattro classi della scuola slovena e poi il suo percorso scolastico fu un fallimento (doveva imparare in fretta una lingua che non conosceva) fino al momento in cui iniziò a frequentare il seminario di Capodistria nel quale non si poteva parlare sloveno.

Molti racconti di Pahor sono ambientati nella scuola italiana dove da un giorno all’altro le scuole slovene sono assimilate in quelle italiane.

– Il racconto “Il naufragio” è ambientato nel 1924.

Il protagonista è un altro bambino, si chiama Branko, è un bambino che prima della chiusura delle scuole slovene “sapeva recitare cinque pagine a memoria dell’antologia come se fosse niente”, mentre ora in italiano non sa dire, e sbaglia in continuazione, “quanto fa sei per sei; sette per sei: 55!”, dice il bambino e il padre si arrabbia perché è consapevole che il figlio andando avanti così non potrà fare altro che il suo mestiere: vendere il burro in piazza e vivere nella miseria per tutta la vita.

Il bambino conosce bene le tabelline in sloveno ma è in italiano che fatica a memorizzare i numeri.

Le difficoltà scolastiche di Bronko accentuano i dissidi in famiglia tra padre e madre. Il padre non sa capacitarsi come il figlio vada così male a scuola.

Nel racconto Branko deve scrivere un racconto descrivendo un naufragio in mare. Di fronte al maestro compie il primo errore: “Le difficoltà cigolano” e poi la seconda che provoca la reazione del maestro e il riso scomposto dei compagni: “Il piroscafo s’annegò”.

E pensare che era stato il padre a dettargli il racconto.

“Annegato? Affondato? Se ci avessero lasciato la nostra scuola slovena, non sarebbe naufragato nessuno!” (il padre, Stefan).

Legato alla scuola è un altro racconto significativo: “La farfalla sull’attaccapanni”.

Così Pahor presenta il maestro italiano: “Capelli neri e impomatati, lucidi come il catrame. Sotto il naso sottili baffetti appuntiti. All’occhiello il distintivo del fascio littorio”.

Julka / Giulia / dice a un compagno una frase in sloveno. Il maestro la sente e perdendo il controllo di sé la appende all’attaccapanni per le trecce. “Non voglio più sentire quella brutta lingua”; “Devo imparare solo italiano, scrivetelo mille volte!”.

In “Mio cigino Ciril” un personaggio dice: “Da noi non è come nel resto del mondo. Se non dimentichi la tua lingua, ti aspettano olio di ricino e incendi. Se non conosci quella altrui, ti deridono”.

“Fiori per un lebbroso” racconta un fatto vero, ossia la morte per avvelenamento di Lojze Bràtuz / italianizzato in Luigi Bertossi / organista in una picola chiesa nel goriziano, colpevole di far cantare in sloveno. Fu ucciso facendogli ingurgitare olio di ricino e olio di motore. Dopo un’agonia durata qualche giorno morì.

Il titolo fa riferimento al fatto che nonostante la proibizione delle autorità molti giovani e meno giovani rimasero a lungo fuori dal piccolo cimitero in cui la salma di Lojze fu seppellita e la tomba fu letteralmente coperta di fiori lanciati da un muro vicino. Appunto come i fiori che si danno a un lebbroso, a distanza perché si teme il contagio.

Non è l’unico episodio ai danni della chiesa slovena. Dobbiamo ricordare l’allontanamento, consenziente il Vaticano, dell’arcivescovo di Gorizia, monsignor Sedej e dell’arcivescovo di Trieste, Luigi Fogar, che non si rassegnavano a discriminare i fedeli slavi nelle loro diocesi.

Mettere in evidenza l’alto contributo dato dalla resistenza slava alla lotta contro il fascismo negli anni Venti e Trenta e poi iniziata la guerra. Il caso della Risiera.

Dal 1930 al ’41 furono comminate 9 condanne a morte e il tribunale speciale per la Difesa dello Stato condannò 450 slavi all’ergastolo oppure a molti anni di carcere.

Con la guerra nei Balcani la situazione per le popolazioni slave precipita

– L’Italia invade la Jugoslavia il 6 aprile del 1941 e acquisisce molti importanti territori: Lubiana e parte della Slovenia, la costa dalmata e la Croazia

– Iniziano repressioni indiscriminate ai danni delle popolazioni slave per combattere il terrorismo dei partigiani di Tito (Fronte di liberazione sloveno): la Circolare n.3C di Roatta: “Non dente per dente, ma testa per dente”; “Si ammazza troppo poco”; “Dobbiamo combattere tutte quelle tendenze contenute nella frase “bono italiano”, scrive Roatta. Intere zone sono evacuate bruciando le case, la popolazione è deportata.

Il massacro di Podhun (vicino a Villa del Nevoso, 7 giugno del ’42): 92 sloveni uccisi, il paese devastato. Podhun come Marzobotto, Sant’Anna di Stazzema e Oradour sur Glame. Asprezza della resistenza comunista: a Podhun 16 soldati italiani uccisi

– I lager del duce: Gonars, Renicci, Arbe (Arbissima!) e decine di altri lager in funzione antislava (almeno un centinaio, Capogreco) con 30mila sloveni deportati, anche famiglie intere.

– Come lo stesso Pahor ricorda su 300mila abitanti della Provincia italiana di Lubiana 13mila furono fucilati e poi morti nella deportazione. 30mila furono invece i deportati nei “campi del duce” / 130 secondo capogreco

– Tra il 1927 e il ’43 il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato mise in piedi 131 processi a carico di 544 imputati sloveni e croati della Venezia Giulia: di questi 40 furono giustiziati, quasi tutti slavi. Cinque furono fucilati nel dicembre del ‘41

– Le cifre della repressione militare italiana: 729 criminali italiani in Jugoslavia. 1.936 è il totale degli ufficiali italiani, su tutti i fronti di guerra,  di cui fu chiesta l’estradizione. Nessuno pagò.

– I soldati italiani proteggono ebrei e serbi dalla ferocia degli ùstacia e dei nazisti

– Italiani, brava gente? Sicuramente no in questo periodo

Boris Pahor

Dopo l’8 settembre Pahor aderisce al fronte di Liberazione comunista, benchè fosse socialista moderato. Venne arresato dai domobranci nel gennaio del ’41 e fu deportato a Dachau e poi a Natzweiler-Strutthof sui Volgi, Dora Mittelbau e infine Bergen Belsen. Si salva perché grazie a un medico diventa infermiere a Dora Mittelbau. La sua odissea nei KZ verrà raccontata in “Necropoli” / 2008

L’8 settembre del ’43 e la prima fase delle foibe

– Che cosa sono le foibe? Sono cunicoli sotterranei, profondi anche decine e decine di metri, scavati dalle acque

– 8 settembre’43: Avviene il primo massacro di italiani (vittime: min. 500/600, max. 1000)

– Perché le foibe? Modo rapido per occultare l’omicidio ma anche suprema forma di disprezzo (rifiuto). Ma si uccide anche annegando in mare

– Le foibe tristemente più importanti sono in Istria

– caratteri della reazione slava del ‘43: dalla jacquerie contadina alle prime forme di organizzazione politico-ideologica del movimento comunista di Tito

– Chi finisce nelle foibe? Possidenti italiani, quadri del PF, responsabili delle violenze precedenti ma anche impiegati comunali, carabinieri, guardia di finanza, esattori delle tasse, dirigenti e capisquadra operai, avvocati, levatrici, medici, ma anche minatori dell’Arsia… Vale l’equazione italiano=fascista=possidente=ateo

– Non si guarda alle responsabilità individuali

– Nelle foibe tanti colpevoli ma anche molti innocenti: Norma Cossetto di Santa Domenica di Visinada e le tre sorelle Radecca di Fàsana (Albina, 21 a., Caterina, 19 a.,  e Fosca, 17 a.). Molti sono uccisi in veri e propri regolamenti di conti in cui la politica non c’entra nulla, altri per vecchi rancori. Don Tarticchio di Rovigno

– L’arrivo dei tedeschi (primi di ottobre ’43) e fine della mattanza.

La Risiera di San Sabba con la nascita del Litorale Adriatico tedesco campo di transito e di sterminio / 3-4mila vittime: tanti slavi!

 

Graziano Udovisi

“Mai e poi mai l’Istria è stata terra slava”

“Foibe, l’ultimo testimone”, Aliberti Editore, 2010

Udovisi nasce a Pola nel 1925. Nel 1943 si diploma all’istituto magistrale. Dopo l’8 settembre 1943 si arruola volontario nel Reggimento italiano comandato da Libero Sauro, figlio di Nazario. Il reggimento si chiama Milizia Difesa Territoriale. Si tratta di una formazione armata direttamente controllata dalle autorità naziste del Litorale e non da Salò. Altrimenti si sarebbero chiamate Guardia nazionale repubblicana

–         Nel Litorale sono presenti anche la Decima Mas, gli alpini del Reggimento Tagliamento, i bersaglieri del battaglione Mussolini

–         A Trieste ci sono gli aguzzini dell’Ispettorato di via San Michele e l’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza in funzione anti partigiana

–         a Trieste la Guardia Civica giura fedeltà ai tedeschi (è creata dal podestà) e combatte con loro

Nel 1944 frequenta il corso allievi ufficiali e diventa sottotenente della Mdt.

Il suo primo comando si svolge dall’ottobre 1944 al febbraio ’45 a Pòrtole, poi finisce per qualche tempo all’ospedale per una appendicite.

Il 30 aprile ‘45 insieme al suo reparto abbandona Rovigno con una motobarca, destinazione Pola. Trova rifugio a casa dei genitori. Il 2 maggio reparti titini entrano a Pola e danno la caccia ai “nemici del popolo”.

Seconda fase delle foibe / 1° maggio- 12 giugno ’45

-L’esercito di Tito (IV armata) arriva a Trieste (1 maggio ’45) e nei giorni successivi anche a Gorizia, Monfalcone, Pola, Fiume e in tutti i piccoli centri dell’Istria.

-L’esercito anglo-americano arriva con il ritardo di un giorno (pomeriggio del 2 maggio) (2° divisione neozelandese del generale Freyberg): troppo tardi per controllare Trieste. A Trieste Freyberg controlla solo il porto e la linea ferroviaria, la città è nelle mani dei titini. E’ la spartizione voluta da americani e jugoslavi

– Iniziano le violenze: gli infoibamenti, gli arresti arbitrari di notte, le deportazioni verso i gulag (Borovnica), le torture, gli interrogatori polizieschi. Gli anglo-americani stanno a guardare

– I gulag di Tito: Borovnìca (per militari italiani sbandati) e Goli Otok (dopo la rottura con Stalin nel ’48)

Il 5 maggio Udovisi si presenta al comando titino e viene fatto prigioniero e torturato. Era andato al comando per difendere i suoi uomini dicendo che avevano preso la via di Trieste (in realtà si nascondevano a Pola).

Il 14 maggio viene infoibato a Fianona ma riesce a salvarsi.

Nel luglio del ’45 fugge a Padova dove viene riconosciuto e arrestato. Viene processato a Trieste e condannato con l’accusa di “collaborazionismo con il tedesco invasore”. Viene rinchiuso prima a Padova, poi a Venezia, Udine, Gorizia, Trieste e Civitavecchia.

Sconterà due anni di carcere dei tre a cui era stato condannato.

Nel dopoguerra è insegnante elementare e si stabilisce nel reggiano.

Nel maggio del 2009 insieme a un consigliere regionale di Alleanza Nazionale di Reggio Emilia è ricevuto a Roma da Fini e Alemanno con l’intento di ottenere la medaglia d’oro al valor civile (ultimo testimone delle foibe istriane ma anche perché si presentò davanti alle autorità slave per difendere i compagni).

– Secondo Udovisi furono infoibate più di 20mila persone (foibe ma anche annegamenti, fucilazioni…) / genocidio solo perché italiani

– Del “fascismo di confine” non dice nulla / stupore di Udovisi di fronte alla prima fase delle foibe: “Avevano fatto del male o avevano bistrattato qualche slavo istriano?”

Graziano Udovisi è sicuramente un personaggio ingombrante. È un fascista convinto, si mette agli ordini dei nazisti, dà la caccia ai partigiani italiani e sloveni. Il suo comandante è Libero sauro, colui che nel ’44 aveva proposta alle autorità tedesche di deportare tutta la popolazione slovena come condizione per stroncare la guerriglia partigiana.

Visto che però fare storia non vuol dire condannare due volte ma cercare di capire le ragioni anche degli avversari (Ragazzi di Salò). Dobbiamo mettere in luce che il lui è vivo

–         il senso del disonore dell’8 settembre. L’8 settembre è il “giorno della nostra disfatta” / 1800 soldati italiani si fanno disarmare da 8 partigiani

–         la certezza che il comunismo slavo avrebbe decretato la morte della comunità italiana istriana nei modi più barbari

–         a spingerlo nella MDT non è tanto Mussolini o i tedeschi quanto la necessità che avverte di difendere con le armi la sua stessa popolazione

Udovisi è presente quando estraggono i corpi dalla foiba di Vines: “Da quel momento per me l’esercito partigiano comunista slavo è diventato il torturatore di noi italiani. Dopo il triste ritrovamento molti giovani aderirono volontariamente, in difesa della popolazione e del territorio, all’MDT… spettava quindi a noi giovani istriani prendere le difese dei civili e della nostra terra contro gli invasori dell’esercito di Tito che, a tutti i costi, volevano impossessarsi della penisola”.

Consuetudine degli slavi ad “ammazzare nei modi più barbari” / “il pensiero inorridisce di fronte a tanta malvagia disumanità”.

Certo, possiamo discutere all’infinito su queste idee, frutto di razzismo antislavo, di odio ideologico in ogni caso dobbiamo tener conto dlle idee di Udovisi.

Racconto del suo infoibamento

Da Pola sono trasferiti a Fianona il 13 maggio. Dopo sevizie varie di notte vengono portati sull’orlo della foiba di Fianona. Udovisi è legato con il filo di ferro al gomito con un altro italiano che dopo la tortura ha perso i sensi. Legano Udovisi al collo del povero disgraziato e tutti in colonna di notte raggiungono l’orlo della foiba. Si butta nella foiba nel momento in cui sente il crepitio del mitra. Non è colpito dalle pallottole e precipita nella foiba profonda 30 metri. Cadendo in una foiba piena d’acqua sente che il legaccio al polso si è allentato. Nuotando per salire a galla porta in salvo Giovanni Radetticchio prendendolo per i capelli.

Il suo racconto compare anche in Giulio Bedeschi “Fronte Italiano: c’ero anch’io” (Mursia, 1987).

È condannato a due anni di carcere: “Dall’ottobre del ’43 all’aprile del ’45 avevo combattuto strenuamente i partigiani slavi, loro sì invasori e infoibatori, cercando di salvare tutti i concittadini sparsi nei paesi istriani, oltre a fare del mio meglio per mantenere e salvare il territorio italiano”. Udovisi tende a svincolare la MDT rispetto agli obiettivi e alla natura di Salò.

Chiede il riconoscimento di combattente per tutti coloro che hanno combattuto per la MDT

– va bene la buona fede ma Udovisi combattè per i tedeschi di cui non dice nulla. Non dice nulla neppure dei partigiani italiani ma è chiaro che li vede come nemici del popolo istriano essendosi messi al servizio di Tito

– “italianissima Istria” / crede nel “ritorno”

“Ventimila persone innocenti sono scomparse per amore verso la patria in quei profondi pozzi che passano alla storia quali foibe del martirio italiano”

– Carlo Borsani sull’8 settembre ‘43: “E noi scriveremo che, quando tutto sembrava ruinare, i migliori, gli umili, gli sconosciuti, gli eterni protagonisti della storia, hanno compiuto il miracolo della resurrezione della patria”

Perché le violenze? Come si possono interpretare? “Epurazione preventiva”, non “pulizia etnica” o “vendetta”

– epurazione preventiva (“Epurare subito!”) non “pulizia etnica” o “olocausto italiano” o “genocidio nazionale” (le vittime sarebbero state molte di più). Napolitano l’anno scorso ha usato l’espressione “pulizia etnica”: è un errore!

– bilancio delle vittime: 4/5mila di cui un parte infoibata. Molti antifascisti del Cln sono infoibati o deportati nei gulag di Tito. A Fiume il movimento autonomista è debellato. Sono uccisi anche reduci da Dachau. Il maggior numero delle vittime a Trieste, Gorizia, Fiume

– Le foibe più importanti in questa fase sono nella zona di Trieste e Gorizia

– Quante vittime a Basovizza? Da poche centinaia a 2500 / testimonianza di due sacerdoti slavi

– Risultati delle prospezioni nelle foibe: a essere infoibati non sono solo i fascisti e i responsabili delle violenze o delle repressioni partigiane (erano fuggiti per tempo, tranne qualche raro caso), ma italiani e anche sloveni e croati appartenenti alla “zona grigia” del consenso all’Italia fascista (in diversi casi senza colpe specifiche), in ogni caso persone che avrebbero potuto organizzarsi contro il nuovo potere comunista.

Le violenze non possono essere interpretate solo come vendetta alla politica vessatoria dello stato italiano nel Ventennio fascista.

– violenza etnica

– violenza sociale: italiani ricchi sfruttatori

Finisce il terrore: gli jugoslavi se ne vanno da Trieste: 12 giugno 1945

– Il 9 maggio ’45 Truman decide di far allontanare Tito da Trieste e Stalin acconsente tacitamente perché a lui interessava di più consolidare le sue nuove acquisizioni nell’Est europeo che non favorire Tito

– Il 12 giugno le truppe jugoslave se ne vanno dalla Venezia Giulia ma non dall’Istria. Quindi Trieste e Gorizia sono nelle mani anglo-americane, il resto dell’Istria è saldamente nelle mani di Tito. Gran parte delle vittime muoiono nei cosiddetti 40 giorni dell’occupazione jugoslava

– Mattanze di cetnici serbi, domobranci sloveni e ùstascia croati da parte dei comunisti di Tito. Denuncia di Pahor nel 1975 (12mila domobranci fatti sparire dai titini)

L’ Esodo dei giuliani e dalmati

A questo punto bisogna parlare dell’esodo e delle tante persone coinvolte: circa 300mila, probabilmente 350mila, ossia l’80-85 per cento di tutta la popolazione italiana dell’Istria e della Dalmazia.

Perché se ne andarono?

–          instaurazione di un regime dichiaramene antiitaliano

–          provvedimenti discriminatori contro gli italiani: sequestri, confische, soppressione della proprietà privata con obbligo della nascita delle cooperative, riforma agraria, l’instaurazione di un sistema poliziesco, negazione delle libertà individuali, elezioni farsa, incapacità di risollevare l’economia, generale confusione, repressione della chiesa italiana (allontanamento dei preti italiani), chiusura delle scuole italiane (cacciata dei maestri), divieto di parlare italiano, senso di pericolo, mancanza della certezza del diritto…

–          Il ricordo delle foibe / in parte

–           “Bastava poco”….

Come furono accolti in Italia?

–          Italia ingrata: i 109 campi profughi

–          “fascisti andatevene!”, “i magna pan de bando”, “puzzate!”, “ci portate via il lavoro!”, come succede oggi / “siete italiani?”

–          l’atteggiamento del Pci: i “banditi giuliani”, i casi di Ancona, Venezia e Bologna

I numeri dell’esodo

–          203mila accertati

–          quanti: 250/300mila? (storici più seri)

–          350mila secondo le organizzazione degli esuli

–          Il dramma dei “Rimasti” (poche decine di migliaia): chiamati “fascisti in Jugoslavia” e “comunisti” in Italia

Quali sono le responsabilità politiche?

Effettivamente ci fu una sorta di congiura del silenzio in Italia sulle foibe, dagli anni ’50 fino a circa 10-15 anni fa, perché le responsabilità politiche sono evidenti.

–          Il fascismo snazionalizzatore

–     Tito e il comunismo jugoslavo

–          Pci e Psi / Togliatti e Nenni / Porzus

–          Roosevelt, Churchill e Truman

–          La Dc di De Gasperi

–          Il Vaticano con Pio XII

Quindi potrei dire che tutto l’arco costituzionale italiano dei primi anni Cinquanta è corresponsabile con quello che è accaduto.

Giancarlo Restelli