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Ausmerzen. Lo sterminio dei bambini disabili nel Terzo Reich

Ausmerzen. Lo sterminio dei bambini disabili nel Terzo Reich

Giorno della Memoria 2014

appunti per conferenza

Sono convinto che la memoria non è solo il semplice ricordare: la memoria storica deve sostanziarsi di conoscenze, di riflessioni, in sostanza è necessario guardare in faccia il crimine.

Possiamo trovare conforto nella tradizione ebraica.

La memoria è resa con il verbo zakàr ma la memoria nel mondo ebraico è un obbligo, è una mitzvà.

Accanto al “Ricorda!” (in forma imperativa) compare anche il verbo shamòr, che vuol dire “osserva” ed è rivolto a chi è nato dopo e ha il dovere di mantenere la memoria. Osserva vuol dire “capisci”, “ragiona”, “studia e conosci”.

Quindi “Ricorda” e “Osserva” non vanno disgiunti. In effetti come è possibile ricordare (avere memoria) se non conosco i fatti? Oppure li conosco superficialmente?

Ecco perché dobbiamo affrontare anche ciò che appare orribile e ripugnante perché altrimenti la nostra memoria sarà sempre debole.

Questa sera racconteremo la storia di più di 5000 bambini uccisi in Germania tra il 1939 e il 1941 nell’ambito del Progetto T4 (Aktion T4). Molti altri bambini compresi molti adolescenti furono messi a morte fino alla fine della guerra.

Cercheremo di capire come tutto questo è avvenuto, dove è avvenuto, con quali mezzi e quali erano le motivazioni del crimine.

Come inizia questa storia?

Conosciamo il nome del primo e dell’ultimo bambino ucciso. Tra il primo e l’ultimo ci sono altri 5000 nomi tra il 1939 e il 1945.

Il Bambino-Knauer

L’occasione per dare inizio all’“uccisione pietosa dei bambini idioti” (prima ancora degli adulti) è il caso del “Bambino-Knauer”.

La richiesta di eutanasia era stata fatta dal padre, un contadino di nome Knauer (siamo in Sassonia). Il bambino era effettivamente malformato: era nato senza una gamba e un braccio ma anche il cervello era leso. Questo accadde tra la fine del ’38 e l’inizio del ’39, prima ancora dell’inizio della T4.

La lettera del padre arriva sulla scrivania di Hitler il quale intuisce subito le potenzialità di questo caso. Hitler dà l’ordine al suo medico personale, dott. Brandt, di verificare le condizioni del bambino e di somministrare il farmaco che lo avrebbe fatto morire pietosamente.

Il bambino era effettivamente nelle condizioni descritte dal padre e Brandt lo uccise con un’iniezione. È il primo bambino ucciso.

La stampa dà molto risalto all’intervento del dott. Brandt. L’opinione pubblica non reagisce (si trattava di un bambino nato gravemente malformato e “idiota”).

L’ultimo ucciso

Sappiamo il nome del primo bambino ucciso, Knauer, e sappiamo anche il nome dell’ultimo bambino ucciso il quale probabilmente fu anche l’ultimo disabile assassinato. Si chiamava Richard Jenne e aveva 4 anni.

Saremmo portati a credere che l’ultimo assassinio sia avvenuto tempo prima della fine della guerra e dell’occupazione americana del territorio tedesco. Non è così.

La guerra finì l’8 maggio del ’45 e per poco meno di un mese continuò a funzionare l’ospedale di Kaufbeuren (Baviera del Sud) uccidendo i bambini. L’ospedale si trovava a meno di mezzo chilometro rispetto al comando americano.

L’ultimo bambino fu ucciso il 29 maggio (!) ’45 da una suora capo-infermiera che negli anni precedenti aveva ucciso circa 210 bambini. Quando fu interrogata dagli americani chiese:“Mi accadrà qualcosa?”.

Medici e infermiere dell’ospedale non erano assolutamente in grado di capire che cosa facevano. Nell’ospedale, definito dal rapporto americano, “Campo di sterminio medico”, c’erano anche suore cattoliche. Fu trovato ancora in vita un bambino di 10 anni che pesava meno di 10 chili.

L’ufficiale americano che vide gli orrori di Kaufbeuren redasse due verbali: uno per la stampa in cui si minimizza quello che è stato trovato (per evitare che qualcuno pensasse a una negligenza americana). Un altro per i suoi superiori in cui raccontava la verità di quello che aveva visto.

Tra il primo e l’ultimo ci sono in mezzo altri 5000 bambini.

Prima di assassinare gli adulti disabili si decide di iniziare con i bambini molto piccoli sino all’età di tre anni. E’ più facile perchè il legame con i parenti è meno forte.

Come funziona l’omicidio di Stato? Le levatrici e i medici di famiglia dovevano denunciare la nascita di bambini con “malattie ereditarie gravi”. I primari delle cliniche in cui i bambini erano degenti dovevano rispondere ai questionari del Ministero della Sanità del Reich.

A tre medici veniva chiesto di leggere ogni cartella clinica e di formulare un giudizio sui singoli bambini. I tre medici agivano senza neppure visitare il bambino (+ / – / “rinvio temporaneo”).

Le uccisioni vennero realizzate in una trentina di istituti pediatrici di tutta la Germania. I primari vennero ampiamente informati di quanto accadeva nei loro reparti.

Ai genitori naturalmente non si diceva niente. I genitori venivano informati dai medici di famiglia (non sapevano del progetto di uccisione) che i loro figli potevano avere nuove cure in ospedali particolari e dovevano dare il loro consenso.

Se i genitori recalcitravano si facevano pressioni su di loro minacciando di togliere loro la patria podestà oppure di inviarli al servizio obbligatorio di lavoro.

I bambini venivano uccisi con dosi sempre più massicce di luminal oppure con dosi mortali di morfina. In altri casi venivano lasciati morire letteralmente di fame oppure le dosi di cibo ridotte ogni giorno conducevano alla morte per fame. Specialità dell’istituto di Egfling-Haar era la morte per fame (dott. Hermann Pfannmuller).

La causa del decesso veniva poi individuata tra le malattie più comuni. Per i bambini ebrei o di “sangue misto” non ci sono problemi, sono uccisi senza neppure avvisare i genitori della loro morte.

Spesso prima di essere seppelliti si prelevavano i cervelli dai bambini e questo dava agli occhi dei medici una parvenza di legalità e di utilità per la scienza. Capire il funzionamento del cervello per prevenire le malattie ereditarie più pericolose! Per i medici lo studio dei cervelli poteva aprire prospettive di carriera promettenti.

Nella sola prima fase il numero di bambini uccisi fu di 5.000.

È necessario dire che l’uccisione dei bambini piccoli creava meno problemi rispetto agli adulti perché la tenera età dei bambini faceva accettare ai genitori con più facilità la loro morte.

Questi bambini non poterono nascere “due volte” come nel romanzo di Giuseppe Pontiggia (“Nati due volte”): la prima nascita è quella resa difficile dalla loro diversità, la seconda è quella resa amorevole dai genitori.

I bambini tedeschi uccisi nacquero una sola volta, a loro fu negata la vita e l’affetto dei loro genitori.

 

Eutanasia degli adulti: la T4

Contemporaneamente all’uccisione dei bambini inizia l’uccisione degli adulti. L’uccisione dei bambini rientra nella più ampia decisione di uccidere i disabili tedeschi e austriaci. A mano a mano che le truppe tedesche occuperanno i territori dell’Est, saranno uccisi anche i disabili di questi Paesi.

Il progetto voluto da Hitler nell’autunno del ’39 è affidato al capo della Cancelleria del Fuhrer, Philipp Bouhler e al suo medico personale, Karl Brandt. È evidente l’intenzione di tenere nascosta l’ “eutanasia degli adulti” evitando i ministeri, la burocrazia e che l’opinione pubblica venisse a sapere.

Il documento è firmato da Hitler a metà dell’ottobre ’39 ma retrodatato al 1 settembre dello stesso anno in coincidenza con l’inizio della Seconda guerra mondiale.

“Al capo della Cancelleria del Reich Bouhler e al dott. Brandt viene affidata la responsabilità di espandere l’autorità dei medici, i quali devono essere designati per nome, perché ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile del loro stato di salute, possa essere concessa una morte pietosa”.

Il documento serviva per convincere i recalcitranti. In realtà è illegale perché i “Decreti del Fuhrer” non avevano basi legali. Quindi la morte dei disabili è una decisione personale di Hitler.

Il documento è fuorviante perché vennero uccise decine di migliaia di persone e non tutte“incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile” (casi gravissimi) e la morte nelle camere a gas non fu “pietosa”.

La struttura di messa a morte dei disabili appartiene quindi alla Cancelleria del Fuhrer e ha sede in una villetta anonima di Berlino nella Tiergartenstrasse 4 (nome in codice, T4).

Aderiscono al progetto illustri medici e psichiatri i quali avranno il ruolo di formare i giovani e dare autorevolezza al progetto. I medici della T4 evitavano il servizio al fronte.

Dal ministero dell’Interno partono lettere per tutti i manicomi, case di cura e ospedali ai quali si chiedono, oltre a molte informazioni per depistare, una“descrizione precisa delle capacità di lavoro dei pazienti”.

La casistica prevede: schizofrenia, epilessia, malattie senili, paralisi, debolezza di mente, pazienti in ospedali da più di cinque anni, pazzi criminali, pazienti non tedeschi.

Molti direttori sanitari temendo che le autorità volessero mandare i pazienti a costruire fortificazioni all’Est scrissero che il loro paziente era inadatto a qualunque forma di lavoro condannandoli indirettamente alla morte. Oppure al contrario, molte perizie erano elaborate senza attenzione descrivendo i pazienti come inutili anche se spesso svolgevano piccoli lavori nei loro istituti. Solo in seguito (venendo a conoscenza di quanto accadeva) la selezione fu più accurata.

Non è affatto vero che molti dei trasferiti nelle strutture di morte non sapessero del loro destino: tanti erano pienamente consapevoli, per es. i lungodegenti.

Quando la T4 dispose di tutti i nomi procedette al trasferimento dei singoli in case di cura di cui non si fornivano notizie. Non si chiedeva il permesso ai familiari, a differenza di quanto previsto invece per i bambini.

I familiari erano avvertiti dopo il trasferimento in luogo segreto a causa della guerra. Si parlava genericamente di nuove cure che potevano fare del bene ma potevano anche causare la morte. In ogni caso non erano possibili visite.

Tra di loro c’erano anziani, uomini e donne di tutte le età ma anche molti adolescenti.

C’è una lettera di una madre che merita di essere letta e dimostra che i genitori tedeschi erano contrari a qualunque violenza sui loro figli:

“Oggi ho ricevuto una Sua lettera proprio quando avevo finito di prepararmi per prendere il treno di mezzogiorno per venire a trovare la mia amata figliola all’ospedale. Ero paralizzata dallo spavento leggendo la lettera, una cosa del genere è veramente terribile per una madre. Se avessi saputo che un nuovo trasferimento della mia ragazza sarebbe stato possibile certamente avrei insistito per riportarmela a casa e certamente il carico non sarebbe stato eccessivo. Lei mi informa di non sapere dove essa sia stata trasferita. Ma Lei sicuramente non permetterà il trasferimento senza essere a conoscenza di dove andrà, quindi esigo di sapere dove si trova mia figlia.

All’inizio del ricovero di mia figlia stavo malissimo, perché molte persone mi facevano girare la testa con bruttissime parole. Da quando ho iniziato a venire a trovare regolarmente la mia amata figlia Elisabetta, ho creduto che la mia preoccupazione iniziale fosse ingiustificata, che non era così come diceva la gente. Fino ad oggi ho pensato che la ragazza fosse stata data in buone mani.

Le chiedo sotto la mia responsabilità di riprendere la ragazza nel Suo ospedale, la verrò a trovare. È impossibile per me informare i miei familiari su quanto successo, tutti mi salteranno addosso, accusandomi che non è possibile che come madre io non sappia dove si trova mia figlia. Non posso far niente, come prima cosa devo sapere dove si trova la mia ragazza. Come già detto mi sembra impossibile che Lei possa trasferire una ragazza senza prima aver chiesto ai genitori.

Se succedesse qualcosa alla ragazza siamo in grado di pagare il funerale, io ho sempre paura perché la ragazza è così debole”.

Questa lettera rimase senza risposta.

Il personale che eseguiva i trasferimenti era formato da SS camuffate da infermieri (“Camici bianchi con stivali delle SS”).

Giorni o settimane dopo la morte (per lucrare su quanto gli istituti normalmente pagavano per i loro pazienti) le famiglie venivano informate della morte del loro congiunto (lettere di conforto). Tutte le lettere insistevano sul fatto che la morte aveva liberato paziente e familiari da una grave e irrimediabile situazione.

E invece non era vero che tutti i malati dei manicomi fossero affetti da malattie gravi e incurabili. Molti dei personaggi di Mario Tobino erano degenti del manicomio in cui lui era medico e psichiatra ma erano in grado di rendersi molto utili all’interno del centro (“Le libere donne di Magliano” e “Per le antiche scale”). Non era infrequente che dopo pochi mesi alcuni tornavano alle loro case oppure con un po’ di coraggio avrebbero potuto tornare alle loro case e condurre una vita normale o quasi.

I centri della T4

I centri di messa a morte sono sei: Hartheim (Austria), Sonnerstein, Grafenek, Bernburg, Brandeburgo e Hadamar in Germania.

Si trattava di centri utilizzati in precedenza come ospedali psichiatrici o cause di cura. Solo Brandeburg era stata una prigione.

Da notare che Auschwitz ancora non esiste quando si inizia a uccidere in questi centri della morte.

Per decidere con quale mezzo dare la morte si fece un esperimento in contemporanea e si vide che il gas era più efficace dei medicinali per gli adulti.

Si fece addirittura un esperimento con la dinamite ma si vide che il gas era il mezzo migliore. Si trattava del monossido di carbonio in bombole. Quindi la prima camera a gas fu progettata e utilizzata per uccidere i disabili.

Da notare che quando viene messa in piedi la struttura della T4 lo sterminio ebraico è ancora lontano. Verrà attuato a partire dal 1942 a Treblinka e dal 1943 ad Auschwitz. Quindi non è scorretto dire che lo sterminio dei disabili fu una prova generale dello sterminio ebraico.

La T4 fu fermata nell’estate del 1941 in coincidenza del famoso sermone di von Galen, vescovo di Muster e figura autorevole del mondo cattolico nella Westfalia.

Certo, l’intervento di von Galen è molto coraggioso perché rischia la deportazione in un lager, però è tardivo perché nell’estate del ‘ 41, dopo due anni esatti, sono stati gassati e inceneriti nei sei centri della T4 70.000 disabili di tutte le età.

Hitler sospese la T4 perché non voleva urtarsi con la popolazione tedesca. In ogni caso l’obiettivo minimo era stato raggiunto: su una popolazione di 400mila persone che vivevano nei manicomi e nelle varie case di cura 70mila erano state soppresse.

Fu eliminato l’1 per mille della popolazione tedesca e il 50% dei lungo degenti. Non erano tutti gusci vuoti: l’85-90 per cento dei degenti uccisi erano occupati in piccoli lavori oppure aiutavano altre persone nel proprio lavoro.

Julius Hallenworde

Fu una grande stagione per la medicina tedesca, per certi versi irripetibile. Non era mai capitato e mai più accadrà di poter disporre di una quantità praticamente illimitata di organi umani sui quali condurre ogni tipo di esperimento. Uno dei protagonisti fu un illustre scienziato, Julius Hallenworden.

Il suo nome è ricordato in base ai suoi studi condotti insieme ad Hugo Spatz che portarono alla scoperta nel 1922 della cosiddetta “Sindrome di Hallervorden-Spatz”, una malattia infantile degenerativa del cervello. In base alla sua fama Hallervorden occupò la cattedra di Neuropatologia al Kaiser Wilhelm Institut di Berlino (oggi “Max Planck Institut”).

Hallervorden fu parte attiva della macchina criminale nazista creata per distruggere la vita dei disabili.

Ad Hallervorden occorrevano cervelli per continuare i suoi studi e colse al volo l’occasione che le vittime dell’eutanasia potevano dargli.

Dopo la guerra Hallervorden stesso fu estremamente esplicito circa la sua conoscenza del progetto di eutanasia . Nell’interrogatorio cui fu sottoposto nel luglio 1945 dichiarò:
“Venni a sapere di ciò che si stava facendo e così dissi loro: «se state uccidendo tutta quella gente almeno prendetene i cervelli in modo che possa essere utilizzato del materiale». Allora mi chiesero: «Quanti ne può esaminare?» ed io risposi che potevo esaminarne un numero illimitato, «Più ce ne sono, meglio è» aggiunsi. (…) C’era materiale meraviglioso in quei cervelli, bellissimi difetti mentali, malformazioni e malattie infantili. Naturalmente accettai questi cervelli. Da dove venissero e come arrivassero a me non era affar mio”.

Insieme con il suo tecnico di fiducia Hallervorden lavorò alla rimozione dei cervelli nei centri di eliminazione. Tuttavia i cervelli messi a sua disposizione spesso non coincidevano con le sue ricerche così Hallervorden diresse personalmente la selezione di alcuni bambini per essere certo che le loro malattie coincidessero con i suoi studi. Per esempio esaminò dettagliatamente 33 bambini e adolescenti prima che venissero uccisi a Brandenburg.
Questi 33 vennero tutti uccisi il 28 ottobre 1940. Non si trattava di individui “mentalmente morti” come gli assassini indicavano le loro vittime. Erano ragazze e ragazzi che, in alcuni casi frequentavano, la scuola speciale a Brandenburg-Gorden e provenivano da famiglie con difficoltà sociali. La loro morte fu determinata da Hallervorden in base alle sue linee di ricerca.
La “collezione di cervelli di Hallervorden” non andò perduta. Più di 600 pezzi vennero utilizzati sino al 1990 quando l’Istituto ne ordinò la sepoltura.
Julius Hallervorden non pagò mai alcun prezzo alla giustizia. Al contrario, sino alla sua morte avvenuta nel 1965, fu onorato come luminare della neurologia”.

L’”eutanasia selvaggia”

La T4 ebbe ufficialmente termine nell’estate del ’40 ma iniziò l’”eutanasia selvaggia” perché ora i medici e gli infermieri di propria iniziativa potevano decidere chi uccidere, dove uccidere e come uccidere.

Il messaggio del regime del resto era chiaro: le uccisioni dovevano continuare ma in modo meno vistoso. Esce di scena la Cancelleria di Hitler e subentra il ministero degli Interni e in particolare la sezione medica del ministero.

Il metodo di uccisione non era più il gas in particolari centri ma i farmaci e la fame in molte strutture di cura.

La fine della T4 non coinvolse i bambini che continuarono ad essere uccisi con farmaci e fame come prima. A decidere i bambini da sopprimere non sono più speciali commissioni ma i primari degli ospedali, in particolare nei reparti di pediatria.

Fa scuola in questo momento l’ospedale psichiatrico di Kaufbeuren diretto dal dott. Valentin Falthauser il quale vantava nel suo istituto una dieta totalmente“priva di grassi” (“Dieta E) basata solo su cavoli e rape cotte in acqua. Dopo tre mesi il paziente era morto nei“reparti della fame”.

Il motto del centro di Eglfing era: “Noi non diamo loro grassi, così se ne andranno da sé”.

I farmaci più usati con gli adulti sono il veronal, il luminal, la morfina. Gli adulti erano già indeboliti dalle varie diete e quindi i farmaci agivano con efficacia.

Ernst Lossa

Particolarmente toccante è la storia di un adolescente di nome Ernst Lossa narrata da Marco Paolini in “Ausmerzen”. Lossa probabilmente era uno “zingaro bianco”, ossia figlio di vagabondi non zingari che spesso si univano agli zingari veri e propri nei loro vagabondaggi. È inutile dire che nella Germania nazista “legge e ordine” non c’era spazio per chi non aveva lavoro regolare e domicilio riconosciuto dalla legge.

Lossa potrebbe essere definito al massimo un piccolo teppistello di strada, un ragazzo “difficile”, di quelli che oggi hanno il sostegno a scuola e vengono seguiti dai servizi sociali. Ma al tempo dei nazisti questi ragazzi talvolta facevano una brutta fine.

Fatto sta che Lossa dopo essere stato rifiutato da un istituto scolastico perché troppo indisciplinato agli occhi degli operatori educativi venne mandato in uno di questi istituti dove si uccideva con la fame. Ma lui mostrò una resistenza e una voglia di vivere che sembravano vanificare ogni sforzo per prostrare le sue energie e portarlo alla morte.

Alla fine, dopo un anno in questo istituto che si trovava nel sud della Baviera, venne avvelenato da un infermiere per ordine del direttore. Quando morì aveva 13 anni.

Perché tutta questa violenza sulla parte più debole della nazione?

Non basta fare riferimento a una ideologia aberrante quale il nazismo per spiegare quanto è accaduto ai disabili durante tutta la seconda guerra mondiale.

Le uccisioni avevano uno scopo ben preciso: attuare dei risparmi nel momento in cui la Germania era impegnata in una lotta mortale contro i suoi nemici.

La soppressione di alcune centinaia di migliaia di disabili avrebbe portato indubbi vantaggi sul bilancio dello Stato:

– avrebbe permesso di liberare posti letto per i soldati che tornavano dal fronte feriti

– avrebbe convogliato risorse mediche e infermieristiche verso il fronte o a vantaggio della popolazione tedesca

– avrebbe aumentato la dotazione di generi alimentari per i civili

– avrebbe messo a disposizione della scienza cervelli e altre parti anatomiche per studiare e fare esperimenti

Quindi furono considerazioni utilitaristiche (interessi economici) alla base della T4. Fare riferimento al Male Assoluto del nazismo non serve, è fuorviante.

In caso di guerra tutto ciò che è accaduto in Germania può oggi ritornare!! Anche all’interno delle cosiddette democrazie. Non dimentichiamo che la Germania alla vigilia della conquista elettorale del potere da parte di Hitler è una democrazia (la Repubblica di Weimar), una delle più avanzate nell’intero Europa, ma questo non impedisce alla “peste bruna” (il nazismo) di affermarsi con le elezioni e mantenersi poi al potere con una dittatura che i poteri forti della Germania accettarono ben volentieri.

E poi con le crisi economiche i tradizionali riferimenti mutano e tutto potrebbe essere messo in discussione.

Vorrei concludere con una riflessione sull’oggi di Mario Paolini (il fratello):

“Per farsi carico dei disabili servono risorse, e non bastano le prebende della domenica: quelli meno gravi contribuiscono con il lavoro, ma per gli altri occorrono soldi, per dar loro da mangiare, per assisterli, per vestirli. Soldi di tutti, soldi dei sani a favore dei malati, dei deboli.

Finchè regge l’economia è relativamente facile, con la crisi le cose cambiano, antiche saggezze popolari mal represse tornano ad affacciarsi e basta poco per creare consenso attorno a pensieri razzisti: noi contro di loro, loro che ci rubano il pane, loro che non hanno niente, loro che per mantenerli dobbiamo rinunciare ai nostri diritti.

Noi da una parte e loro dall’altra è ancora astratto, ma quando entrano in gioco le tasche non c’è più posto per gli alibi. Si deve scegliere: o da una parte o dall’altra. E spesso si sceglie senza conoscere, prendendo a prestito i pensieri di altri perché è sempre difficile capire di persona”.

Inquietante!

Esistono antidoti a tutto questo? Il futuro ci apparirà sempre minaccioso? Possiamo trovare gli anticorpi alle derive di esclusione? Difficile rispondere. L’unica cosa che possiamo fare è vigilare, vigilare e vigilare attentamente.